D urante il giugno dello scorso anno la città di Bristol balzò agli onori della cronaca globale per l’abbattimento della statua di Edward Colston, schiavista britannico, a seguito delle proteste targate Black Lives Matter scaturite in tutto il mondo. A prescindere dal dibattito riguardo alla legittimità dei monumenti dedicati a personaggi controversi, non ci sono dubbi che la caduta della statua di Colston abbia costituito un momento iconico per le società occidentali.
Tutto, ovviamente, era partito dall’altra parte dell’Atlantico: un luogo in cui le proteste per i diritti delle minoranze hanno raggiunto il loro acme nel corso del 2020. Negli Stati Uniti il confronto tra i vari strati della popolazione è arrivato al termine di un processo estremamente lungo, fatto di schiavitù, segregazione o grosse limitazioni della libertà individuale. Per arrivare fino alle statue e al dibattito sul free speech.
Lo scontro è ripartito con veemenza qualche mese fa: per la precisione lo scorso 25 marzo, quando nello stato della Georgia la deputata afroamericana Park Cannon è salita alla ribalta dopo essere stata arrestata, colpevole di aver provato a bussare alla porta dell’ufficio di Brian Kemp, governatore repubblicano locale. Kemp era impegnato a firmare una controversa legge elettorale, che secondo Cannon (e i Democratici) potrebbe limitare in maniera consistente il diritto al voto degli afroamericani. Sui social network le immagini dell’arresto hanno suscitato reazioni di grande sgomento, ricordando gli arresti di tanti attivisti negli anni delle lotte per i diritti civili.
Da questo momento in poi si è aperta una nuova (o una vecchia) pagina politica negli Stati Uniti, ricordando all’amministrazione Biden che la sfida sui diritti delle comunità afroamericane, asioamericane e ispaniche non è affatto chiusa: soprattutto per quanto riguarda il diritto di voto, da sempre oggetto di operazioni politiche tutt’altro che limpide.
La sfida sui diritti delle comunità afroamericane, asioamericane e ispaniche non è affatto chiusa: soprattutto per quanto riguarda il diritto di voto.
Riavvolgendo il nastro fino alle scorse elezioni, tra gli 81 milioni di voti conquistati da Biden alcuni sono stati più importanti di altri. In alcune aree il dominio repubblicano sembrava pressoché inarrestabile e l’ex vicepresidente di Obama è riuscito a sovvertire la tendenza: si tratta, in particolare, di Georgia e Arizona, due stati che hanno permesso ai Democratici di conquistare agevolmente la vittoria. Merito della gestione scellerata della pandemia da parte di Donald Trump, si è detto sul momento: senz’altro un’ottima spiegazione, che però esclude innumerevoli altri fattori, tra cui spicca il cambiamento demografico, un elemento di grande rilevanza in questa vicenda.
Il cambiamento demografico
Il 26 aprile 2021 è stato pubblicato il nuovo censimento degli Stati Uniti, un prezioso appuntamento decennale per tracciare lo sviluppo demografico del paese. Il rapporto ha confermato una tendenza che molti osservatori avevano segnalato negli anni precedenti, ovvero il cambiamento della composizione demografica di aree storicamente a maggioranza bianca: tra queste il Texas, la Georgia e l’Arizona, tre stati in cui Biden ha fatto registrare risultati ottimi alle ultime elezioni, se non addirittura sorprendenti.
Stando ai dati riportati dallo U.S. Census Bureau, nel decennio appena trascorso il Sud del paese ha rappresentato la regione con il maggior tasso di crescita demografico, superiore al 10%; poco dietro il West, che si è fermato al 9,2%. Netto il distacco con il resto del paese: tanto il Midwest che la costa orientale hanno registrato tassi di crescita inferiori alla media nazionale del 7% circa. In particolare, stati come Illinois e West Virginia hanno addirittura perso abitanti.
La crescita della popolazione è concentrata soprattutto nei grandi agglomerati urbani e suburbani, sempre secondo il censimento: a trainare l’aumento demografico in Texas, per esempio, sono state le contee dove si trovano Dallas, Fort Worth, Austin, San Antonio e Houston. Si tratta di aree con un notevole potenziale economico e di grande impatto sullo sviluppo di una nuova identità demografica. Basta considerare che durante le scorse elezioni Biden ha vinto in appena 500 delle 3006 contee in cui si divide il paese, ma queste rappresentano più del 70% del PIL nazionale: i Democratici dominano la parte più dinamica dell’America e si tratta di un trend destinato all’incremento.
Gli Stati Uniti stanno vivendo un intenso cambiamento nella composizione della loro popolazione.
Proprio la crescita demografica si presta a un’ulteriore analisi: non conta quanto cresce la popolazione, ma quali fasce crescono più delle altre. Negli ultimi anni, gli Stati Uniti stanno vivendo un intenso cambiamento per quanto concerne la composizione della loro popolazione: afroamericani, asioamericani e latinos ora stanno crescendo a ritmi superiori rispetto ai bianchi, determinando sempre più spesso l’esito delle campagne elettorali locali e nazionali. Un fattore che gioca a favore del Partito Democratico, dato che generalmente queste comunità rappresentano un serbatoio importante di voti progressisti.
Se consideriamo i tre stati citati in precedenza (Arizona, Georgia, Texas), possiamo osservare come l’evoluzione demografica abbia impattato sul numero dei cittadini aventi diritto al voto. I dati del Pew Research Center hanno considerato il mutamento per ogni stato della percentuale di cittadini bianchi aventi diritto al voto tra il 2000 e il 2018, segnalando come in Arizona il loro numero sia passato dal 75% al 63% del totale, in Georgia dal 68% al 58% e in Texas dal 62% al 51%. Ovviamente, non sono le uniche aree che vivono questa trasformazione: la quota di potenziali elettori bianchi è in calo anche in Florida, Pennsylvania, North Carolina, Wisconsin e Michigan, solo per limitarci agli stati più determinanti storicamente per il risultato elettorale nazionale. Dietro questi numeri ci sono persone, quartieri e città che cambiano profondamente faccia, dando vita ad aree multiculturali e dinamiche.
Lo sviluppo demografico è ciò che spaventa i Repubblicani, proprio perché le persone, i quartieri e le città sono i fattori principali di successo per una campagna elettorale: per tali motivazioni, tutte le roccaforti repubblicane potrebbero essere a rischio col passare del tempo. Dunque, l’elefantino si trova ora di fronte a una scelta: adeguare il proprio messaggio al cambiamento demografico (roba dura da fare nel breve) o provare a ostacolare la strada verso le urne per le minoranze. Attualmente, ha scelto la seconda strada.
Come i Repubblicani stanno limitando l’accesso al voto
In apertura di un editoriale pubblicato a ridosso del 4 luglio, Ezra Klein ha scritto: “Questo fine settimana, i cieli americani saranno illuminati da fuochi d’artificio per celebrare la nostra tradizione libera e democratica, anche se i governi locali repubblicani stanno limitando i diritti di voto e i Rep a livello nazionale hanno fatto ostruzionismo sulla proposta di legge democratica che tutela la partecipazione elettorale delle minoranze”. Una posizione dura, che ben riassume il clima politico.
A fine marzo in Georgia è stata approvata una nuova legge elettorale che secondo i Democratici limiterà in modo preoccupante l’accesso al voto, in particolare per gli afroamericani. La legge è stata approvata dal Congresso locale, a maggioranza Repubblicana, e poi firmata dal governatore Brian Kemp, a sua volta Repubblicano. Prevede varie restrizioni, tutte mirate a scoraggiare il voto per le categorie che hanno fatto la fortuna elettorale di Biden di recente.
A fine marzo in Georgia è stata approvata una nuova legge elettorale che limiterà l’accesso al voto, in particolare per gli afroamericani.
Tra le restrizioni troviamo un processo più complesso per quanto riguarda i requisiti di identificazione necessari per il voto postale, mentre attualmente basta una firma: una scelta che potrebbe rendere il voto più difficile per le persone con un reddito più basso, spesso senza documenti identificativi. Tra le altre cose, la legge ha proibito la fornitura di cibo e acqua alle persone in fila per votare: un atto che d’ora in poi sarà considerato un reato. Come sottolineato dal Brennan Center for Justice, si tratta di un provvedimento ad hoc studiato per scoraggiare gli afroamericani: infatti, proprio nei seggi di queste comunità ci sono spesso file molto lunghe. I Repubblicani hanno dichiarato che le nuove regole serviranno solo per evitare che vengano commessi brogli, rendendo il voto più sicuro. Secondo un’analisi del New York Times, però, lungo le 98 pagine della legge ci sarebbero almeno 16 provvedimenti che potrebbero limitare l’accesso al voto, confondere gli elettori o conferire maggior potere ai legislatori repubblicani locali.
Questa proposta è arrivata in seguito al successo dei Democratici in Georgia, sia alle elezioni nazionali che alle suppletive per i due seggi al Congresso: una vittoria che ha fatto suonare il campanello d’allarme tra i Repubblicani. Infatti, la Georgia non è l’unico stato che sta lavorando a questo tipo di leggi; secondo quanto riportato dai media statunitensi, ci sarebbero quasi 20 stati in cui le restrizioni di voto hanno già superato almeno una fase del processo legislativo. Non è un caso che i tre con il maggior numero di bills sul tema siano Arizona, Georgia e Texas.
Queste pratiche non rappresentano una novità nella storia americana: la cosiddetta voter suppression, ovvero l’insieme delle tattiche per limitare il peso elettorale delle minoranze, è un elemento fondamentale della strategia repubblicana alle urne. Gli Stati Uniti infatti sono uno dei paesi democratici con il più basso tasso di affluenza elettorale al mondo, soprattutto a causa del loro sistema di voto e delle sue complessità. L’Election Day per esempio cade sempre in un giorno feriale e molti cittadini non possono prendersi un permesso per andare a votare; i seggi possono essere molto lontani dalla propria residenza oppure molto affollati, e bisogna impiegare una giornata intera spesso per poter votare; inoltre, la registrazione volontaria alle liste elettorali è necessaria per presentarsi al voto. A tutto questo si sommano una serie di altre norme che possono limitare l’affluenza in maniera strategica, come la cancellazione di persone dalle liste elettorali. Non solo: in Ohio, ad esempio, vige la regola dello use it or lose it, secondo la quale chi non vota per sei anni di seguito e non risponde a una lettera inviata dal governo perde il diritto di voto.
Ovviamente, non finisce qui. Ci sono molti altri modi per condizionare il voto e tra questi il più importante strumento di “manipolazione” elettorale è il gerrymandering, un sistema che riguarda i collegi elettorali. In breve, si tratta di ridisegnare ogni dieci anni i collegi in modo da ottimizzare il risultato a proprio favore, sfruttando il meccanismo maggioritario caratteristico delle elezioni statunitensi. Con questo accorgimento si possono disegnare dei distretti elettorali omettendo sistematicamente gli elettori orientati a votare un partito piuttosto che un altro. La maggior parte delle volte questo fenomeno ha riguardato gli afroamericani, che oggi votano in larga parte per i Democratici.
La cosiddetta voter suppression è un elemento fondamentale della strategia repubblicana alle urne.
Tuttavia, l’ampia diffusione dell’early voting e del voto per posta durante le scorse elezioni ha reso più semplice votare soprattutto per coloro i quali sono stati più svantaggiati dall’attuale sistema. A questo si è aggiunta una mobilitazione al voto di alto livello in molti stati, come nella stessa Georgia, dove grazie agli sforzi della Dem Stacey Abrams la comunità afroamericana è andata a votare con ottimi numeri. Sforzi che potrebbero essere vanificati dai recenti provvedimenti allo studio dei Repubblicani. Ma a questo punto la domanda sorge spontanea: cosa può fare l’amministrazione Biden per contrastare tutto questo?
Come contrastare la voter suppression?
Successivamente alla sua approvazione, Biden ha definito la nuova legge elettorale della Georgia come “un’atrocità” e un “attacco alla Costituzione”, paragonandola alle leggi Jim Crow, che dopo l’abolizione della schiavitù furono responsabili della segregazione razziale negli stati del sud. Biden ha aggiunto che il dipartimento di Giustizia esaminerà la legge. Sotto la spinta del presidente, il Dipartimento di Giustizia ha recentemente fatto causa allo Stato della Georgia per le leggi restrittive approvate dai repubblicani locali. Politicamente, però, sbloccare la situazione non è semplicissimo.
Per intervenire su questo tema, il Partito Democratico ha già presentato la H.R. 1, una proposta di legge denominata For the People Act che ha l’obiettivo di tutelare il voto delle minoranze (e al tempo stesso, di tutelare i risultati elettorali dei Dem): ad esempio, come ha scritto il Washington Post, questa proposta contiene una serie di standard nazionali per la registrazione degli elettori e per il voto postale, richiedendo che il principale funzionario elettorale di ogni stato – il segretario di stato nella maggior parte dei casi – stabilisca un sistema automatico di registrazione degli elettori. In questo modo, si possono raccogliere le informazioni degli individui dai database governativi e registrarli, a meno che non scelgano intenzionalmente di non partecipare. In sostanza: il governo centrale supererebbe buona parte delle restrizioni poste dai singoli stati. Attualmente la H.R. 1 è stata approvata alla Camera, ma fare lo stesso al Senato sembra più complesso.
È più complesso per un semplice motivo: per approvare la maggior parte delle leggi al Senato (quasi tutte, tranne quelle di bilancio) sono necessari 60 voti favorevoli; al momento i Democratici ne hanno a disposizione 51 e i Repubblicani non hanno intenzione di cedere su questa misura. Si tratta del cosiddetto filibuster, ovvero l’ostruzionismo attraverso cui l’opposizione blocca l’approvazione di un provvedimento di legge forte della mancanza numerica di voti. Già nel 2019, una legge simile venne approvata alla Camera dai Democratici; fu però successivamente affondata in Senato dal Partito Repubblicano.
Biden ha paragonato la nuova legge elettorale alle leggi Jim Crow.
Per risolvere il problema, si è aperta una discussione sulla necessità di superare la norma che prescrive i 60 voti a favore, che sistematicamente crea delle sabbie mobili al Senato: non tutti ne sono convinti, persino all’interno del Partito Democratico. I suoi sostenitori affermano che la quota dei 60 voti rappresenta l’unico modo per far sì che i partiti riescano a collaborare, costituendo una garanzia del processo democratico. Inoltre, gli stessi Dem si interrogano su cosa possa succedere qualora il filibuster venga abolito e i Repubblicani conquistino la vittoria alle elezioni, garantendo loro la massima libertà legislativa. Alexandria Ocasio-Cortez non ha dubbi al riguardo: il filibuster, a suo parere, va abolito senza se e senza ma.
La discussione sul filibuster caratterizzerà la prima parte della presidenza Biden, che se finora è stata particolarmente attiva sul piano del sostegno economico alle famiglie e ai lavoratori (prova ne è lo Stimulus package da 1.900 miliardi di dollari), adesso è chiamata a una riforma parlamentare che potrebbe cambiare il volto politico degli Stati Uniti. Consapevoli che quello demografico è già cambiato.