V ic Chesnutt è morto suicida il giorno di Natale del 2009, a 45 anni. Era un musicista, e dal 1993 era anche quadriplegico in seguito a un incidente d’auto. Vic non avrebbe voluto morire, ma la sua quadriplegia gli rendeva impossibile sottoscrivere un’assicurazione sanitaria, che nel 2009 – a presidenza Obama già avviata – era ancora l’unico modo per essere curati negli Stati Uniti senza rovinarsi economicamente. La famiglia di Vic Chesnutt aveva già accumulato 50.000 dollari di debiti per le cure sanitarie, e lui sapeva che non avrebbe avuto la possibilità di farsi curare ancora. Vic prese un’overdose di miorilassanti, entrò in coma, e se ne andò. Ci lascia una produzione musicale struggente e il rimpianto di non aver potuto vederlo suonare ancora.
Quella di Vic Chesnutt è una situazione molto comune fra gli americani, e lo era ancora di più prima che Barack Obama introducesse il Patient Protection and Affordable Care Act, abbreviato in ACA ma conosciuto con il nome comune di Obamacare. Quello di Obama è stato il primo tentativo riuscito di creare un sistema sanitario che permettesse a tutti gli americani di ricevere cure adeguate a prescindere dalle condizioni economiche e lavorative: ci avevano già provato – e avevano fallito – i coniugi Clinton durante la prima presidenza di Bill. Il provvedimento, a sua volta ribattezzato “Hillarycare”, non riuscì a passare l’esame del Congresso. Lo stesso Barack Obama impiegò i primi due anni della sua presidenza per trovare un compromesso fra le esigenze sanitarie degli americani e la loro resistenza a una sanità socializzata, che offra cure gratuite a tutti. Il compromesso fu un sistema di assicurazioni non-profit a basso costo, con la massima libertà per gli Stati di organizzarsi mantenendo però i requisiti minimi: i premi assicurativi dovevano essere alla portata di tutti e non era possibile escludere alcuna malattia o condizione pre-esistente. Un sistema molto complesso e molto più intricato della semplice istituzione di una sanità nazionale pagata con le tasse, che fornisse assistenza a tutti a prescindere dalla nazionalità e dall’adesione a programmi di tutela preesistenti; ma con l’Affordable Care Act, Vic Chesnutt avrebbe potuto curarsi e forse sarebbe ancora vivo.
Obama è stato il primo a creare un sistema sanitario che permettesse a tutti gli americani di ricevere cure adeguate a prescindere dalle condizioni economiche e lavorative.
L’Affordable Care Act, va specificato, non copre tutti i cittadini americani. Ha solo ridotto drasticamente il numero di persone rimaste scoperte: da 41 a 28 milioni. È un sistema con numerose falle e problemi, ma era il miglior sistema possibile al momento in cui è stato promosso. Perché un conto è fare leggi per un paese diviso in regioni, e un conto farle per una federazione di stati, ognuno con la sua costituzione, le sue leggi, un governatore che è un piccolo presidente. L’introduzione di qualsiasi riforma federale è molto complessa e incontra grossi ostacoli: ricordiamo il caso del matrimonio egualitario, introdotto da Obama solo nel suo secondo mandato, quando i benefici per il paese superavano i rischi per la presidenza. Il sistema sanitario è la cosa su cui i politici americani, e in particolare il partito Repubblicano, si giocano la credibilità e la vittoria alle elezioni di medio termine; e l’Obamacare, in particolare, è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna di Trump, nonché uno dei punti deboli di quella di Hillary Clinton, che non ha voluto disconoscere o criticare il lavoro del suo predecessore.
Vista da una prospettiva europea, l’idea di voler rinunciare anche alle poche tutele introdotte dall’amministrazione Obama è lunare: eppure gli americani che hanno votato per Donald Trump lo hanno fatto anche per abolire l’Affordable Care Act, o meglio, l’Obamacare, come lo ha sempre chiamato il candidato repubblicano nel tentativo di sfruttare il sentimento anti-establishment dei suoi elettori. In un paese come l’Italia, l’idea di trovarci da un giorno all’altro senza ospedali pubblici e cure mediche accessibili scatenerebbe il panico fra la popolazione, abituata a pensare che un ricovero per una brutta influenza costi al massimo qualche giorno di lavoro. Negli Stati Uniti, l’annuncio dell’abolizione dell’Affordable Care Act è un obiettivo importante per i trumpiani, che non vedono di buon occhio l’obbligo di assicurazione o di pagare una penale annuale per sfuggire al pagamento del premio (95 dollari o un massimo dell’1% del reddito, da scalare da eventuali crediti fiscali) e che si oppongono per principio a tutto quello che porta l’impronta di Obama, un presidente che fino dalle primarie è stato fatto oggetto di violentissimi attacchi personali, fra cui il cosiddetto “birther movement”, un movimento mirato a metterne in discussione il diritto alla candidatura in quanto nato sul suolo americano. Una teoria della cospirazione priva di fondamento, alla quale Trump – molto prima di candidarsi – aveva aderito con particolare entusiasmo. Non è strano, quindi che Paul Ryan, Speaker della Camera dei Rappresentanti e promotore della prima bozza di riforma, sostenga che l’Obamacare è stato un “completo disastro” e abbia promesso un piano “molto, molto migliore”.
I Repubblicani hanno una strategia rischiosa: spingere per ottenere uno smantellamento dell’Affordable Care Act anche in assenza di una nuova legge e poi ricominciare da capo.
Peccato che i repubblicani siano già al secondo tentativo fallito di far passare una legge sostitutiva dell’ACA. Il primo disegno di legge (denominato American Health Care Act, AHCA) non è passato all’esame del Congresso; il secondo, il fu Better Care Reconciliation Act che a detta di alcuni sarebbe stato ancora più punitivo nei confronti dei milioni di americani che sono costretti a fare affidamento sulle poche coperture pubbliche (il cosiddetto Medicaid, il programma federale di aiuti alle famiglie a basso reddito), è passato al Congresso con grande giubilo dei repubblicani, ma non è riuscito a raccogliere voti sufficienti al Senato. La linea del Grand Old Party, ora, è di spingere per ottenere uno smantellamento dell’ACA anche in assenza di una nuova legge, e di ricominciare da capo. Una strategia rischiosa dal punto di vista politico – con due fallimenti già all’attivo non è improbabile che anche una terza legge si schianti contro i dubbi dei senatori repubblicani meno ortodossi – ma soprattutto dai risvolti disastrosi per i cittadini americani. Secondo una stima recente del Congressional Budget Office (un ente non-partisan), lo smantellamento dell’ACA lascerebbe scoperte 32 milioni di persone entro il 2026, fra cui 19 milioni che perderebbero l’assistenza a cui hanno diritto tramite Medicaid. I premi assicurativi salirebbero anche del 50% e finirebbero per raddoppiare entro un decennio. Un disastro umanitario inconcepibile per un paese occidentale, soprattutto uno ricco come l’America.
In Europa sarebbe impensabile che un presidente della Repubblica o del Consiglio dicesse, senza mezzi termini, che la sua intenzione è di lasciar fallire il sistema esistente per rimpiazzarlo più tardi. Il Parlamento, giustamente, griderebbe allo scandalo. Invece Trump ha proprio detto questo: in una dichiarazione del 18 luglio, ha annunciato che il governo non farà nient’altro che assistere alla dissoluzione di un sistema che loro considerano malato ai limiti della malvagità. Un fallimento che il governo è in grado di accelerare, volendo, rifiutandosi di rimborsare le assicurazioni che coprono i costi delle spese sanitarie per i cittadini a basso reddito, oppure non attuando le misure necessarie a far sì che tutti siano assicurati con prezzi proporzionati alle loro disponibilità economiche. In questo modo saranno gli americani a pagare, letteralmente e metaforicamente, per garantire a Trump e ai repubblicani il risultato che desiderano.
L’unica vera voce di dissenso in questi anni è stata quella di Bernie Sanders, che da solo porta avanti la causa della sanità nazionalizzata. È una voce che continua a rimanere inascoltata, e lo sarà finché i repubblicani avranno il controllo del governo: la logica individualista degli Stati Uniti è che ognuno pensa a sé e non è tenuto a farsi carico dei problemi degli altri. Per cui può capitare che durante le discussioni ci siano deputati (ultimo in ordine di tempo a fare notizia: John Shimkus, dell’Illinois) che domandano ad alta voce perché mai un uomo dovrebbe pagare per fare sì che una donna riceva le necessarie cure prenatali, o senatori che sono parte di una commissione interamente maschile che fanno presente che le donne dovrebbero pagare premi assicurativi più alti, perché in media hanno bisogno di più cure mediche. Tutte cose inaudite in Europa, ma anche in Canada e nei paesi dell’America Latina. In questo, gli Stati Uniti sono orgogliosamente isolati, e a meno di un miracolo rischiano di esserlo ancora di più nei prossimi anni.