N
ei primi tre mesi della presidenza Trump, il giornalista e scrittore Michael Wolff è stato alla Casa Bianca come osservatore esterno. Poco dopo, nel gennaio 2018, è uscito Fuoco e furia. Dentro la Casa Bianca di Trump, un libro di indiscrezioni, aneddoti e rivelazioni sul presidente degli Stati Uniti. La tesi principale del libro è che Donald Trump sia mentalmente instabile e del tutto incompetente. La reazione di Trump è stata rabbiosa, in una conferenza ha sostenuto che l’opera è piena di invenzioni e falsità e ha definito il suo autore “notoriamente inattendibile”. La diffusione e l’enorme successo del libro, oltre quattro milioni di copie vendute in tutto il mondo, sono costati il posto di lavoro anche a Steve Bannon, ideologo dell’estrema destra americana e principale fonte di Wolff.
A giugno è uscito in Italia Assedio. Fuoco su Trump, il sequel del best seller. Lo schema è lo stesso del primo libro: raccogliere informazioni e unire i puntini delle testimonianze di tutte le persone che hanno avuto a che fare con Trump (in maggioranza suoi ex collaboratori, tra cui di nuovo Bannon) e comporre un ritratto impietoso del presidente: quello di un completo incapace.
Cosa c’è di paradigmatico in Donald Trump dei tempi che stiamo vivendo? E cosa invece, secondo lei, costituisce un’anomalia?
Credo che il populismo sia un fenomeno reale, e in quanto prodotto e riflesso di questo fenomeno, Trump può essere pienamente integrato nel paradigma odierno. Ma l’anomalia del caso Trump si dà nel fatto che siamo in presenza di una persona che non corrisponde a nessuno dei parametri che definiscono come un presidente dovrebbe essere. In un certo senso forse anche questo può essere ricompreso nel paradigma, infatti il populismo ci porta a odiare i politici. Gli americani hanno avuto l’opportunità di votare qualcuno che è caratterialmente, filosoficamente, sessualmente l’esatto opposto di quello che un politico dovrebbe rappresentare. Quindi forse è anche questo parte del paradigma, ma direi che è anche abbastanza anomalo, perché mai prima d’ora nel panorama politico c’è stato qualcuno come lui. Sono sicuro che ci sono stati diversi leader politici pazzi nella storia, ma lui non ha nemmeno le caratteristiche di un leader. Trump è un attore, tutto quello che lui desidera è avere l’attenzione su di sé, non c’è nessuna reale altra agenda che viene perseguita, non è nemmeno veramente attratto dal potere, lui vuole solo essere al centro dell’attenzione. In questo ci vedo dei tratti anomali.
I media americani, e anche quelli europei, seguono ormai da quasi tre anni le oscillazioni del presidente, in alcuni casi schierandosi apertamente contro di lui, secondo lei c’è qualcosa che sbagliano?
I media negli Stati Uniti semplicemente non hanno capito Trump. Non hanno capito l’ascesa di Trump, non hanno capito l’intera tornata elettorale del 2016, non hanno capito più recentemente la vicenda con la Russia. Gran parte dei media americani avverte una enorme frustrazione per il fatto di non essere riuscita a distruggere Donald Trump. In aggiunta a questo credo che loro abbiano frainteso anche il carattere del personaggio, o meglio che non abbiano trovato un modo per esprimerlo adeguatamente. I reporter politici, i reporter di Washington, portano con sé un certo modo di pensare e non l’hanno assolutamente modificato da quando Trump è stato eletto. Continuano a far leva sull’assunto che la politica sia una questione di cause ed effetti, fai questo e succede quest’altro. Ma con Trump questo assunto è saltato completamente e loro non riescono ad accettarlo. Trump non si cura del rapporto di causa-effetto delle cose che fa e dice, è come se vivesse solo l’attimo presente, se decide di fare qualcosa è perchè in quel momento è spinto o motivato o ispirato a farlo. Tutto quello che fa e dice può essere ritrattato in un momento successivo, non c’è coerenza verso un obiettivo, non c’è una direzione o una strategia. Ma per quanto insensate siano le sue azioni, i media continuano a cercare di applicare una logica. È difficile comprendere questo suo personaggio se fai informazione: tu hai la necessità di raccontare i fatti accaduti in un dato arco di tempo, nel caso di Trump sei costretto a inseguire la sua ultima esplosione, il suo ultimo tweet. Quello che ottieni è una sequenza infinita di istantanee. Per questo è stato utile scrivere un libro, mi ha consentito di avere una visuale più ampia e di poter tornare indietro. Magari un fatto al quale avevo dedicato un capitolo si trasformava in un paragrafo perchè con l’andare del tempo capivo che la sua rilevanza era inferiore del previsto.
Parliamo di Steve Bannon. La sua figura è stata centrale nell’ascesa di Trump. Nel suo primo libro però Bannon rivela informazioni quantomeno imbarazzanti sulla presidenza. Cosa non ha funzionato in questa relazione?
Credo che quella tra Trump e Bannon sia stata una relazione tossica, un matrimonio disfunzionale. Hanno avuto bisogno l’uno dell’altro e allo stesso tempo si sono odiati. Trump è il presidente degli Stati Uniti grazie a Steve Bannon, su questo non c’è alcun dubbio, e Bannon è diventato un personaggio rilevante della politica globale proprio perché Trump è stato eletto. Trump non sopportava il fatto di dovere a Bannon la sua elezione e dall’altra parte Bannon non mancava di battere cassa per il suo credito nei confronti del presidente. Bannon è molto più intelligente di Trump e lo detesta per le sue incapacità e per l’indifferenza verso le questioni politiche a lui più care. Sa bene che Trump ha portato il populismo all’apice negli Stati Uniti ma che può essere anche lo stesso che distrugge questo movimento. In un certo senso anche se dall’esterno lui continua, attraverso i suoi agganci con lo staff presidenziale, a fare pressione per imporre la sua agenda politica, non è un lavoro facile. C’è bisogno dell’impegno costante di un team di persone per ricordare a Trump quello in cui crede, perché se lo dimentica istantaneamente. Da una parte vediamo che Trump segue alcune delle direttrici politiche fondamentali di Bannon, come ad esempio la linea dura con la Cina, ma sono abbastanza convinto che da un momento all’altro potrebbe firmare un accordo di compromesso che modifica le linee essenziali della politica seguita finora.
Crede che Bannon abbia intenzione di fare il suo ingresso in politica, in prima linea?
Steve è un opportunista, è sempre in cerca di un progetto nuovo da seguire. Sicuramente lui ha un core filosofico: il populismo, la working class, e persegue con relativa coerenza degli obiettivi, ma la cosa importante per Steve Bannon è che in questo momento si sta divertendo tantissimo. Non avrebbe mai pensato di arrivare dove è oggi, venendo dai margini della scena politica di trovarsi nel centro nevralgico di tutto, e si sta godendo ogni minuto. Sì, credo di sì, che stia anche valutando un suo ingresso personale in politica, ha molte opzioni di fronte a sé. Oltreutto è un provocatore, e in questo momento si sta chiedendo quale può essere la cosa più provocatoria che potrebbe fare, e anche la più divertente.
Molta propaganda trumpiana è legata all’idea del muro, la costruzione di una barriera fisica sul confine tra Usa e Messico. Questa idea ispira anche molti politici europei, ad esempio in Italia Salvini sta cercando di imporre un blocco navale degli arrivi, ostacolando anche le operazioni di salvataggio dei naufraghi. Crede che il muro di Trump diventerà mai realtà?
Il muro non sarà mai costruito, non è mai stato credibile il fatto che venisse costruito, nessuno ha mai pensato di costruirlo veramente. L’immigrazione è un problema reale, Trump ha fatto suo questo tema sebbene non gliene importasse granché: nei suoi golf club lavorano da sempre immigrati irregolari messicani. Insieme ai suoi consulenti politici ha lanciato questa idea del muro, uno dei suoi ex collaboratori mi ha detto: “È un idiota” e mi ha raccontato che ha reagito con molto entusiasmo a questa idea del muro senza avere la più pallida idea di come farlo. È un’affermazione senza fondamenta, è un annuncio pubblicitario, una pura metafora. Ma poi ovviamente si è prodotta questa strana circostanza per cui la base elettorale di Trump crede veramente che ci sarà, e si aspetta che venga costruito. Questo potrebbe portare delle complicazioni per Trump.
Cosa narra la figura di Donald Trump dell’America di oggi?
Trump dice molte cose interessanti dell’America di oggi, in molti hanno detto come la sua elezione rappresenti una reazione contro il potere e l’establishment. Io credo che Trump sia l’incarnazione di una enorme divisione nel paese, non solo politica, ma anche culturale. C’è una parte del paese che ha ricevuto una notevole quantità di istruzione nelle passate generazioni, in opposizione a un’altra parte che non l’ha ricevuta. Direi che siamo di fronte a una frattura, che si estende a tanti aspetti, una frattura nell’istruzione, una frattura nel reddito, ma anche una profonda frattura nelle aspirazioni. Trump rappresenta un lato di questa spaccatura, la parte che dice: “Non stiamo ottenendo nulla da tutto questo, siamo lasciati indietro, stiamo morendo, fanculo”. Tutto assume tratti paradossali perché si tratta di Donald Trump. È naturale domandarsi come un ricco playboy sia diventato il simbolo dei lavoratori e del ceto medio impoverito americano. Qualcuno ha detto che Trump incarna l’idea che una persona povera ha di un ricco, e in un certo senso è così. Lui era un personaggio televisivo, la caricatura dell’uomo di successo, e in questo c’è l’ironia della sorte. Se qualcuno avesse inventato questa storia non avrebbe mai scelto di farla andare così: sarebbe stata troppo poco credibile.
Con le sue recenti pubblicazioni ci ha raccontato la storia di Donald Trump, qual è invece la storia di questi due libri?
Non sono un reporter politico, ero abituato ad occuparmi soprattutto di media e spettacolo, proprio per questo Trump era molto nelle mie corde, perché non mi occupavo di politica. Oltretutto lo conosco abbastanza bene, siamo entrambi di New York. L’ho intervistato la prima volta i primi di giugno del 2016, e ho scritto questo articolo che ha ricevuto molta attenzione, da quel momento sono diventato un punto di riferimento su Trump e ho pensato: “Ok, seguiamo questo personaggio”. È stato un periodo di lavoro molto intenso, ho seguito la campagna elettorale, le convention, dentro di me pensavo: “Non voglio più occuparmi di politica”. Avevo promesso alla mia famiglia che dopo le elezioni saremmo potuti finalmente andare in vacanza. Non pensavo minimamente che sarebbe stato eletto. Durante la election night, verso le otto e mezza di sera, è stato chiaro che Trump avrebbe vinto. Mentre tutto il paese esclamava all’unisono: “Oh dio, è successo veramente”, io ho subito pensato: “Ok, niente vacanze, si torna a lavoro”. Poi avevo questo buon contatto con Bannon e gli ho chiesto di farmi entrare alla Casa Bianca come osservatore: Bannon mi ha detto che dovevo chiederlo direttamente a Trump e così è stato. Sono andato da lui e gli ho chiesto se potessi fare l’osservatore. Lui ha pensato che stessi cercando un lavoro, gli ho detto: “No no, voglio scrivere un libro”, allora ha perso immediatamente interesse per la cosa e ha detto qualcosa come: “Ah be’, un libro, sì, fai pure, chi se ne importa”. Ed eccomi qui.