G li uccelli è inesauribile. Innumerevoli tentativi di analisi del testo non sembrano aver fatto molto più che grattarne la superficie e nessuna griglia concettuale pare essere in grado di imbrigliare il caos che è l’oggetto stesso della pellicola. Se è vero che la paura è la materia del cinema di Alfred Hitchcock è anche vero che nulla, nella sua filmografia, somiglia al terrore archetipico suscitato dall’attacco di migliaia di stormi impazziti in una cittadina della California all’indomani dell’arrivo di Melanie Daniels, una donna apparentemente qualunque cui prestò volto e corpo l’esordiente Tippi Hedren. Il resto è storia: la storia spesso dimenticata delle torture subite da Hedren sul set de Gli uccelli su cui oggi – nel pieno della coda lunga dello scandalo Weinstein che ha recentemente coinvolto anche Uma Thurman ferita sul set di Kill Bill – vale la pena tornare. Ha scritto l’attrice Jessica Chastain su Twitter: “Quando la violenza contro le donne è utilizzata come snodo narrativo per rendere più forti i personaggi, allora abbiamo un problema. Essere picchiate e violentate non rende più potenti, eppure in tanti film c’è un momento in cui le donne risorgono come fenici. Non abbiamo bisogno di un abuso per essere potenti. Già lo siamo”.
L’umiliazione femminile al centro de Gli Uccelli
La lettura femminista del film a opera di Camille Paglia ne Gli uccelli di Alfred Hitchcock (Libri Liberal, 1999) offre più di uno spunto interessante. Tratto da un racconto del 1952 di Daphne du Maurier, il film ne modifica in maniera sostanziale la storia e introduce al suo centro Melanie Daniels che, nelle parole di Paglia e di Hitchcock stesso è “una ragazza ricca e superficiale i cui giochi seduttivi si concludono con una traumatica umiliazione”. È davvero così semplice, all’apparenza: la pellicola che successe alla fama planetaria di Psycho racconta di una donna di buona famiglia che, seguendo un flirt più o meno casuale, si sposta dalla rutilante San Francisco alla quiete di una cittadina chiamata Bodega Bay per perseguire le attenzioni di un uomo, Mitch Brenner; e, nel farlo, porta con sé l’apocalisse. Allo spettatore non viene concesso altro. La domanda esiziale – perché gli uccelli sembrano seguire Melanie Daniels? – non riceve mai spiegazione. È l’ingresso di un cineasta di fama internazionale in un territorio insondato a dispetto delle apparenze: non si tratta del mistero di un assassinio o di un caso di spionaggio, né di quello paradossalmente familiare a Hitchcock dell’inconscio umano; è quello della natura in tutta la sua potenza indomita che sembra essere legata in maniera più o meno indissolubile alla potenza femminile. Questo, se non altro, diventa chiaro quando nel bel mezzo de Gli uccelli Daniels viene considerata dagli abitanti di Bodega Bay la causa diretta del disastro che ne sovverte l’ordine.
Trovatasi traumatizzata in una stanza, tra abitanti spaventati come sopravvissuti a un naufragio dopo un attacco terribile degli uccelli, “l’ultima cosa che Melanie si aspetta o si merita è l’improvviso, terribile isolamento in cui si trova come nuda di fronte al tribunale della comunità offesa”. Qui, continua Paglia, “una madre stridula, come una cacciatrice di streghe nella Seduzione del male di Arthur Miller, avanza contro Melanie il cui punto di vista è colto dalla macchina da presa e quindi da noi: ‘Dicono che è cominciato tutto da quando sei arrivata qui. Chi sei? Cosa sei? Da dove sei venuta? Credo sia tu la causa di tutto questo. Sei cattiva! Cattiva!’”. La sequenza porta l’autrice a concludere che si tratti, in qualche modo, del nocciolo del film: “Se le accuse della donna sono troppo irrazionali e sensazionalistiche per essere accettate in termini letterali, hanno tuttavia un potere mitico dal quale è impossibile liberarsi: in un certo senso, Melanie è realmente una specie di vampiro in sintonia con i messaggi occulti della natura”.
Gli uccelli è l’ingresso di un cineasta di fama internazionale in un territorio insondato: la natura in tutta la sua potenza indomita sembra legata in modo più o meno indissolubile alla potenza femminile.
Tanta sintonia, però, ha un prezzo. Daniels viene ripetutamente punita: sull’acqua, quando un gabbiano le becca la fronte ed è “al culmine del potere, come Cleopatra che veleggia sul Cyndus nella sua grande barca a remi” e secondo Hitchcock “la ragazza inaffidabile e frivola si scontra per la prima volta con la realtà”; in una cabina telefonica, quando i vetri le si frantumano letteralmente in faccia; infine quando Melanie si avventura per qualche ragione nella camera da letto della casa di Mitch Brenner e viene beccata fino quasi alla morte prima di entrare nello stato semicatatonico con cui la lasciamo alla fine del film.
La punizione esemplare di Tippi Hedren
La genesi de Gli uccelli è legata a una falsa partenza. Nel 1960, sull’onda del successo di pubblico di Psycho, Hitchcock avrebbe dovuto girare Marnie con Grace Kelly nei confronti della quale si dice nutrisse un affetto particolare. Non fu possibile: la protagonista de La finestra sul cortile di lì a poco si sarebbe ritirata dalle scene per diventare una principessa a tempo pieno. Il copione fu messo da parte ma una serie di fatti di cronaca legati agli uccelli attirarono l’attenzione del regista che ricordò di aver opzionato il racconto di Du Maurier. Trovato lo sceneggiatore, Evan Hunter, non restò che trovare un volto per Melanie Daniels. Il caso fornì un’opportunità: guardando la televisione, Hitchcock si imbatté nello spot della bibita dietetica Sego che vedeva protagonista Tippi Hedren. Non ci pensò due volte. Nella sua autobiografia intitolata Tippi e uscita nel 2016 (non in Italia) l’attrice racconta di aver ricevuto una telefonata – data esatta: venerdì 13 ottobre del 1961 – nella quale le venne semplicemente detto che un “noto regista” voleva incontrarla. L’ordine impartito agli Universal Studios era stato semplicemente “trova la ragazza” e da quel momento fu così che il regista si riferì a Hedren in sua assenza: “La ragazza”.
La spilla
Dopo cinque giorni, Hedren venne a sapere che era Alfred Hitchcock a chiedere di contattarla; voleva metterla sotto contratto a 500 dollari alla settimana, sebbene non sapesse per cosa. Firmò comunque. Era un’esordiente: a parte la pubblicità, aveva avuto solo una piccola parte per la quale non era neppure finita nei titoli di coda. Si trovò improvvisamente sommersa di attenzioni. Le venne assegnata una costumista straordinaria (Edith Head, vincitrice di numerosi Oscar) per rifarle l’intero guardaroba e lo stesso cineasta, assieme a sua moglie Alma Reville, diventò il suo insegnante di recitazione. Le fu richiesto di fare una prova su schermo riprendendo scene iconiche da tre film di Hitchcock: Rebecca, Caccia al ladro, Notorius; furono costruiti per lo scopo set elaborati e cuciti abiti ad hoc per il valore di 25.000 dollari – circa 200.000 dollari di oggi – ma Hedren non conosceva ancora la ragione di quanto stava accadendo. L’attrice racconta che furono giorni felici con un neo: le fu imposto di incontrare l’avvocato di Hitchcock nel suo ufficio e questi le domandò di “prendersi cura della sua reputazione con riferimento particolare alla disponibilità nei confronti degli uomini”. Se ne andò sbattendo la porta. Tre settimane dopo arrivò un invito a cena: il regista e la moglie regalarono all’attrice una spilla con tre uccelli, chiedendole ufficialmente di interpretare Melanie Daniels ne Gli uccelli.
La cabina telefonica
Nel corso delle riprese de Gli uccelli, le attenzioni di Hitchcock divennero indebite. Le faceva recapitare in camerino ceste di carboidrati con scritto “mangiami” per paura che perdesse peso e l’attrice venne a sapere che troupe e comprimari avevano ricevuto l’ordine di “non toccare la ragazza”. Racconta Hedren: “Diventò uno schema di cui all’inizio non mi resi davvero conto. Ogni volta che parlavo con un maschio del cast o della troupe il mio scambio successivo con Hitchcock era glaciale. Capitava che recitasse una barzelletta oscena o offensiva e mi criticasse senza ragione. Lo faceva al mio fianco sui sedili della sua limousine, guardandomi negli occhi. O si perdeva in monologhi infiniti e senza senso solo per sentirsi parlare e ricordarmi chi era il padrone. Non reagivo in alcun modo; guardavo semplicemente fuori dal finestrino pensando ‘Portatemi via da qui’”. Un giorno, davanti a un hotel, nella stessa limousine, Hedren racconta che Hitchcock provò a baciarla buttandosi su di lei. “Gridai: ‘Cosa?’ e poi ‘Smettila’. Lo spinsi via. Schizzai fuori”.
Hedren si accorse che Hitchcock la spiava dal retro della famosa limousine di fronte a casa sua, che la faceva tallonare e che aveva fatto analizzare la sua calligrafia.
Hedren immagina, ma non dà per certo, che questo incidente possa aver avuto un riverbero diretto su quanto successe dopo, durante la già menzionata lunga sequenza di attacco en plein air che culmina con la scena della cabina telefonica. Scrive Paglia: “Un’auto fu veramente fatta esplodere durante gli esterni girati a Bodega Bay per garantire la verosimiglianza delle reazioni della Hedren. ‘La prova del fuoco’ di Melanie, come la definì Hitchcock, fu anche la sua. Nonostante vi fosse una lastra di vetro protettiva, i suoi occhi bruciarono e rimasero rosso fuoco per diversi giorni, rendendo necessario l’uso di gocce medicinali oftalmiche”. Più grave fu proprio quel che accadde a Hedren nella cabina, che le avevano assicurato essere di vetro infrangibile e immune all’attacco di tre uccelli meccanici. A Paglia l’attrice ha raccontato che “il vetro andò in frantumi davanti alla mia faccia e piccole schegge di vetro mi finirono nelle guance. La mia reazione la vedi direttamente nel film”.
Le cose peggiorarono. Hedren si accorse che Hitchcock la spiava dal retro della famosa limousine di fronte a casa sua, che la faceva tallonare e che aveva fatto analizzare la sua calligrafia. In un angolo del set, racconta che il regista le abbia chiesto insistentemente di toccarlo (lei se ne andò). “Non potevo parlare di tutto questo a nessuno”, scrive Hedren. “Erano i primi anni Sessanta. Molestie sessuali e stalking erano parole che neppure esistevano. In ogni caso si trattava di Alfred Hitchcock, una delle superstar Universal, e io ero solo la fortunata modella bionda che aveva salvato dall’anonimato. Chi di noi era di maggior valore agli occhi degli studios, io o lui?”. Le avance continuarono, così come gli insistenti ma negati inviti a cena o bere un bicchiere. Continua l’attrice: “Come poteva Hitchcock infliggermi la sua ossessione, forzarmi in quella situazione opprimente che non avevo richiesto, che non meritavo, che non ho fatto nulla per incoraggiare correndo il rischio di spezzare del tutto la mia concentrazione?”.
La camera da letto
“Era un grande regista. Ero in debito”, scrive Hedren in Tippi. “Gli dovevo il 100% della dedizione, concentrazione, e talento che dovevo profondere ne Gli uccelli, e gli dovevo il rispetto professionale che ogni attore deve al proprio regista. Non gli dovevo la mia dignità, né l’abbandono dei valori che mi erano stati impartiti da bambina e nei quali credevo con tutto il cuore. Non gli dovevo né il mio corpo né la mia anima”.
Eppure stava per arrivare il test (o la punizione) della camera da letto. Hedren confessa di aver sempre trovato la scena poco plausibile (Paglia la vede diversamente e la considera una nuova presa di potere da parte del personaggio): nel bel mezzo dell’attacco sempre più feroce degli uccelli Melanie Daniels è rinchiusa con Mitch Brenner, sua madre e sua sorella in casa. In un breve momento di quiete dopo la tempesta, la donna sale al piano di sopra – per nessun motivo apparente, in effetti – e viene attaccata dai pennuti; stavolta, però, non ha possibilità di chiedere aiuto. È la scena più terribile: decine di belve assatanate si scagliano contro Melanie e per pochissimo non la ammazzano. Nel film l’assalto dura un minuto. Sul set avrebbe dovuto essere girato con uccelli meccanici ma l’attrice racconta che l’aiuto regista, suo buon amico, non riuscì neppure a guardarla negli occhi nel dire che invece sarebbero stati usati uccelli in carne e ossa perché “quelli finti non funzionavano”. Le riprese durarono cinque giorni all’interno di una vera e propria gabbia. “Non ero spaventata, ero scioccata e ripetevo a me stessa: ‘Non mi farò spezzare da lui, non mi farò spezzare da lui’”. Hitchcock gridava “Azione” mentre corvi, colombe e piccioni venivano scagliati contro l’attrice: “Era brutale e senza sosta”, ricorda. Non riusciva più a parlare, la troupe osservava a sua volta ammutolita e quando un uccello legato alla spalla di Hedren la beccò sull’occhio e lei disse “basta”, con “la poca voce che era rimasta”, fu lasciata da sola e nel silenzio nella gabbia. Il medico la vide qualche giorno più tardi, dopo alcuni incidenti domestici con la figlia – Melanie Griffith – che l’aveva sentita gridare “no” nel sonno, e consigliò riposo assoluto per una settimana. Hitchcock disse che era “impossibile, perché non restavano da girare che scene con lei”; gli fu risposto: “Stai cercando di uccidere la tua attrice?”.
“Rovinerò la tua carriera”
È possibile fare un grande numero di inferenze sulle intenzioni di Alfred Hitchcock, sulla sua perversione e sull’incapacità di gestire il rifiuto; basti sapere che i tormenti di Hedren non finirono con Gli uccelli, anzi.
Il copione di Marnie fu tirato nuovamente fuori dal cassetto; l’attrice era impegnata contrattualmente con il regista. Sempre nella sua autobiografia, Hedren racconta che sul set della pellicola basata sulla storia di una donna frigida (che verrà peraltro stuprata dal marito) per via di un grosso trauma, il cineasta provò a violentarla dopo averla isolata ed essenzialmente relegata a un bungalow che comunicava con il suo ufficio privato attraverso una porta posteriore. “Non sono mai entrata nei dettagli e mai lo farò. Dirò soltanto che mi ha afferrato e mi ha messo le mani addosso. Era sessuale, era perverso, era orribile e io non avrei potuto provare più repulsione. Più resistevo, più diventava aggressivo. Cominciò ad aggiungere minacce, come se potesse fare qualcosa di peggio di quanto stava facendo”. Continua: “Mi ha guardato direttamente negli occhi e mi ha detto: ‘Rovinerò la tua carriera’”.
Le riprese dell’attacco degli uccelli nella scena della camera da letto durarono cinque giorni, all’interno di una vera e propria gabbia.
Hedren riuscì a sfuggire all’agguato e se ne andò, come aveva già fatto più volte, sbattendo la porta. Hitchcock non le parlò mai più. Mentre filmavano Marnie, non si rivolse mai direttamente a lei. Sembra che impedì che fosse candidata a un Oscar per la parte. Diffuse commenti sgradevoli sulla sua professionalità. A chiunque chiamasse per un ingaggio rispondeva “non è disponibile”, cosa che accadde anche con François Truffaut che la voleva per il suo Fahrenheit 451. “Feci cinquanta film dopo Marnie” ricorda l’attrice, “e diversi episodi per le serie tv. Ma non mi è mai più stato offerto un ruolo importante come quelli nei film di Hitchcock, i due film per cui mi aveva scelta e per cui mi aveva ossessivamente preparata prima di punirmi quando, ai suoi occhi, gli feci l’irreparabile torto di rifiutarlo. Forse mi aveva rovinato la carriera, ma era in mio potere impedirgli di rovinare la mia vita”.
Fatto abbastanza singolare, anche la carriera di Hitchcock subì un rallentamento drastico dopo Marnie. Dal 1927 al 1964 l’autore aveva sfornato film al ritmo di uno o addirittura due all’anno; dal 1964 al 1976 ne portò a compimento solo quattro prima di morire il 29 aprile del 1980.
Nel frattempo, nel 1970, le riprese di Satan’s Harvest portarono Hedren in Africa dove ebbe modo di innamorarsi dei grandi felini: dei leoni, nello specifico. Assieme al marito dei tempi, Noah Marshall, già produttore de L’esorcista, l’attrice trasformò gradualmente la sua casa ad Acton, in California – l’ampiamente fotografata Shambala Preserve – in un rifugio per animali selvaggi in difficoltà: lo scopo iniziale fu girare il film Roar, che tra decine di incidenti vide la luce undici anni più tardi e costò 17 milioni di dollari senza rientrare minimamente nelle spese; più tardi Hedren abbracciò il ruolo di attivista animalista e ancora oggi ospita decine di creature. In un momento di difficoltà, diede in pegno la pelliccia indossata ne Gli uccelli creata per lei da Edith Head.
La ragazza che ha parlato
Nel 1983 Donald Spoto ha pubblicato un libro intitolato Spellbound By Beauty: Alfred Hitchcock and His Leading Ladies. A lui Tippi Hedren, dopo vent’anni dall’uscita de Gli uccelli, rivelò parte di quello che aveva passato con il regista. Curiosamente Paglia non sembra aver dato peso alla confessione dell’attrice che fu invece trasformata in un film del 2012 con Sienna Miller intitolato The Girl, la ragazza, come Hitchcock soleva chiamarla. In una recente intervista Hedren ha dichiarato, a proposito della pellicola biografica: “Ho parlato con Sienna della mia crescita e dell’educazione alla moralità dei miei genitori. Continuavo a dirle: ‘Rendimi forte. Assicuratene. Altrimenti non sarà vero’”.
In un tweet dell’11 ottobre 2017, nel pieno della bufera Weinstein appena cominciata, Hedren – oggi 88enne – scrive: “Niente di nuovo, né si tratta di un fenomeno limitato all’industria cinematografica. Ho avuto a che fare con le molestie sessuali per tutta la vita sia durante la mia carriera di modella che durante la mia carriera di attrice. Hitchcock non è stato il primo. In ogni caso, non ne volevo più sapere: me ne sono andata e non mi sono mai guardata indietro. Hitch ha detto che avrebbe rovinato la mia carriera e gli ho detto di fare quel che doveva fare. Ci sono voluti cinquant’anni, ma è arrivato il momento che le donne protestino esattamente come stanno facendo. Buon per loro!”.