L ohfelden è una piccola cittadina industriale nel distretto di Kassel, in Assia, nel cuore della Germania centrale. La sera del 14 ottobre 2015, diversi cittadini di Lohfelden e dintorni sono riuniti in una grande sala conferenze. Da due mesi la Cancelliera Angela Merkel ha scelto di non chiudere le porte a centinaia di migliaia di richiedenti asilo, inaugurando la cosiddetta Willkommenspolitik. L’amministrazione locale ha ora deciso di aprire un centro di prima accoglienza anche a Lohfelden. A parlarne con la cittadinanza c’è Walter Lübcke: 66 anni, politico della CDU, Presidente del distretto governativo di Kassel e convinto sostenitore della linea dell’accoglienza. Il dibattito non è facile, ci sono diversi contestatori, forse appartenenti a gruppi di estrema destra. A un certo punto della serata, proprio in risposta a chi lo contesta senza sosta, Walter Lübcke sbotta ed esclama: “Vale la pena di vivere in questo paese. Qua bisogna impegnarsi per certi valori e coloro che non sostengono questi valori possono andarsene quando vogliono. È la libertà di ogni tedesco”. Dopo un attimo di esitazione, dal pubblico si levano proteste, tra cui quella di un uomo che urla a tutta forza “”Buuh!”, “Che schifo!”, “Vattene!”.
Poche ore dopo la serata di Lohfelden, il video di questa sola parte dell’intervento di Lübcke, un frammento della durata di 1 minuto e 6 secondi, viene pubblicato su YouTube. Il contenuto viene poi immediatamente condiviso su diversi canali e profili social della destra più o meno radicale. Il politico dell’Assia inizia subito a ricevere centinaia di email, incluse diverse minacce di morte, che vengono anche ripetute online. Nei mesi e negli anni successivi al 2015, il video della breve frase senza contesto di Lübcke continua a comparire più o meno sporadicamente nei canali della destra anti-immigrazione, dove viene utilizzato per accusare i politici tedeschi di disinteressarsi della loro popolazione e presentato come prova dell’esistenza di un piano di “sostituzione” degli autoctoni con i nuovi arrivati.
La notte tra l’1 e il 2 giugno del 2019, Walter Lübcke è sulla terrazza di casa sua quando qualcuno sbuca dal buio e lo uccide con un colpo di pistola alla testa. Le prime reazioni in Germania alla notizia della morte di Lübcke sono confuse. Gli ambienti dell’attivismo anti-nazista e diversi media collegano velocemente l’omicidio alle campagne d’odio contro il politico cristiano-democratico. Altri settori più istituzionali e gli stessi inquirenti restano inizialmente più cauti e non escludono alcuna pista.
Il 15 giugno 2019, sulla base di una traccia di DNA rinvenuta sui vestiti del corpo di Lübcke, le squadre speciali SEK arrestano un uomo che vive a pochi chilometri dal luogo del crimine: Stephan Ernst, 45 anni, strettamente legato agli ambienti neonazisti. Le indagini vengono quindi prese in consegna dalla GBA, la Procura generale federale che si occupa dei reati più gravi, inclusi quelli contro lo Stato. Non c’è più alcun dubbio: l’omicidio di Walter Lübcke è stato un atto di terrorismo di estrema destra.
Narrazione anti-immigrazione e violenza
Nell’acceso dibattito politico che segue la conferma della natura terroristica dell’omicidio di Walter Lübcke, sul banco degli imputati finiscono velocemente le forze anti-immigrazione, a partire dalla destra identitaria Alternative für Deutschland (AfD), accusata di aver letteralmente e consapevolmente sdoganato la violenza verbale contro fautori e sostenitori della Willkommenspolitik. Annegret Kramp-Karrenbauer, Presidente della CDU ed erede designata di Angela Merkel, dichiara che, di fronte all’assassinio di Walter Lübcke non si potrà “mai più pensare alla possibilità di lavorare da cristiano-democratici con un partito come AfD”.
Il Presidente della Repubblica federale di Germania, Frank-Walter Steinmeier, ammonisce: “Dove la lingua si imbarbarisce, il crimine non è lontano”. Una dichiarazione non casuale, che da un lato apre specifiche questioni nel campo della libertà di espressione, ma che dall’altro si riconnette chiaramente con il principio tedesco della streitbare Demokratie (“democrazia combattiva”), un paradigma costituzionale secondo cui la difesa dell’ordine liberal-democratico tedesco vada sempre perseguita attivamente, anche limitando sostanzialmente la libertà di espressione di forze anti-democratiche.
Secondo il paradigma costituzionale tedesco la difesa dell’ordine democratico va sempre perseguita attivamente, anche limitando la libertà di espressione di forze antidemocratiche.
La destra identitaria AfD, da parte sua, risponde alle accuse in connessione all’omicidio Lübcke parlando di una caccia alle streghe nei propri confronti e dichiarando di non avere mai avuto niente a che fare con inviti alla violenza. Per molti questa difesa rappresenta una mistificazione delle conseguenze della comunicazione e del marketing politici nell’attuale fase storica: la raccolta del dissenso più o meno aggressivo contro l’immigrazione e il multiculturalismo è stata infatti l’essenza stessa del successo di AfD negli ultimi tre anni. Si tratta però di domandarsi se AfD sia un sintomo di una radicalizzazione sociale sistemicamente inevitabile o se invece ne sia l’elemento propulsore fondamentale, senza il quale questa stessa radicalizzazione non sarebbe comparsa né avrebbe mai attecchito.
Svastica e lupi solitari
Il 25 giugno 2019, Stephan Ernst confessa l’omicidio di Walter Lübcke. Diversi media riportano che Ernst avrebbe dichiarato alla polizia di aver ucciso Lübcke per le posizioni sull’immigrazione del politico CDU, e che il suo odio sarebbe nato dopo aver visto di persona proprio il dibattito del 14 ottobre 2015 a Lohfelden. Il 2 luglio, Ernst ritira sorprendentemente la sua confessione, ma molto probabilmente si tratta di una tattica legale: pochi giorni prima, infatti, la polizia ha trovato la pistola del delitto, esattamente dove indicato dallo stesso indagato.
Nel frattempo, emerge un profilo più chiaro del presunto attentatore. Militante neonazista fin da giovanissimo, brevemente membro del partito neonazista NPD, Ernst sarebbe stato in contatto con specifici gruppi neonazi come il Freier Widerstand Kassel, l’organizzazione terroristica Oldschool Society (sciolta nel 2015 per detenzione di armi e esplosivo) e la rete Combat 18 (un ampio network neonazista e suprematista bianco nato nel Regno Unito e attivo in diversi paesi europei e nord-americani). Non solo, la militanza neonazista di Ernst è palesemente dimostrata da numerosi arresti e condanne per crimini motivati da estremismo e odio razziale, tra cui l’incendio di un palazzo abitato dalla comunità turca nel 1989, il posizionamento di una bomba tubo di fronte a un centro rifugiati nel 1993, la partecipazione a un attacco neonazi a una manifestazione sindacale nel 2009.
Occorre domandarsi se AfD sia il sintomo di una radicalizzazione sociale sistemicamente inevitabile o se invece ne sia l’elemento propulsore.
In relazione alle attività di Ernst, emerge poi come l’uomo sia stato per anni sotto osservazione da parte dell’intelligence dello stato dell’Assia e schedato nel database della polizia federale BKA con la classificazione di estremista di destra. Il monitoraggio di Ernst da parte delle forze di sicurezza, però, è avvenuto solo fino al 2009, anno in cui Ernst d’un tratto non è stato più considerato pericoloso. In verità, sembra che Ernst non abbia invece mai smesso di avere contatti col neonazismo organizzato, sia tramite attività online che sul territorio. Dopo essere stato arrestato per l’omicidio Lübcke, infatti, Ernst è ora anche sotto accusa come presunto responsabile dell’accoltellamento di un giovane rifugiato iracheno nel gennaio 2016. Il fatto che Ernst sia stato eventualmente attivo come neonazista anche dopo essere stato escluso dai radar dell’intelligence è un dettaglio che, come si vedrà, è significativo alla luce della storia recente del neonazismo tedesco e della capacità dello Stato di contrastarlo.
Nella sua iniziale confessione, Ernst ha dichiarato di aver agito da solo. Altre due persone sono al momento indagate con lui, ma solo in merito alla fornitura e alla vendita della pistola che ha ucciso Walter Lübcke. Se questa versione sarà confermata, Ernst si sarebbe quindi mosso in base al concetto di führerlosen Widerstand (“resistenza senza comando”), un modello distintivo del terrorismo di estrema destra, utilizzato per sfuggire al controllo e al monitoraggio a cui sono sottoposti i gruppi più riconoscibili e mettere così in atto le azioni più violente tramite soggetti autonomi e gruppi più piccoli. Come si è però anche più volte visto analizzando l’estremismo e il terrorismo islamista, le azioni dei cosiddetti lupi solitari hanno ugualmente una geometria più o meno fitta di contatti, facilitatori, taciti sostenitori, potenziali aiutanti e, soprattutto, un ecosistema ideologico di cui l’atto terroristico è solo fase conclusiva.
Un’impressionante scia di sangue
Mentre il dibattito politico in Germania si concentra sulle dinamiche contingenti che possano avere favorito il riemergere del terrore neonazista, spesso esaurendosi eccessivamente nel processo politico ad AfD, è fondamentale prendere atto del fatto che la violenza dell’estrema destra tedesca abbia una storia lunga, consolidata e talvolta sconosciuta all’estero.
Il terrorismo neonazista in Germania iniziò con sistematicità alla fine degli anni ‘60, vale a dire quando i vari partitini e gruppuscoli post-nazisti si resero conto che la via politica e parlamentare non era praticabile. La violenza della destra radicale si è espressa negli anni in modo eterogeneo, soprattutto nella Germania occidentale, solitamente colpendo d’improvviso e scomparendo poi nuovamente nella clandestinità. Si va dall’attentato contro il leader studentesco Rudi Dutschke nel 1968 (in cui agì un “lupo solitario” che, però, ricevette pistole e munizioni da ambienti neonazisti) e si arriva all’efferato omicidio del rabbino Shlomo Lewin e della sua compagna Frida Poeschke nel 1980, che impose una nuova consapevolezza del mai risolto problema dell’antisemitismo in Germania.
Durante gli anni ‘80 ci fu un’ulteriore accelerazione della violenza. La bomba all’Oktoberfest nel 1980 a Monaco causò 12 morti e 213 feriti, mentre in quegli anni iniziarono a comparire anche i più chiari episodi di terrorismo razzista, come quando nel 1982 il neonazista Helmut Oxner sparò sulla folla di Norimberga e, una volta confrontato dalla polizia, esclamò: “Niente paura, sparo solo ai turchi!”. Con la Riunificazione tedesca emerse anche il fenomeno del neonazismo della ex DDR, che assurse all’attenzione internazionale in occasione delle violente aggressioni di massa contro stranieri nei disordini di Rostock-Lichtenhagen nell’agosto 1992. Dagli anni ‘90 in poi, i pestaggi, le aggressioni e gli attacchi esplosivi della destra radicale non hanno mai smesso di comparire nelle cronache tedesche.
Secondo le stime di un report presentato dal Ministero degli Interni tedesco del 2018, solo a partire dal 1990 le vittime di quella che viene chiamata “criminalità motivata politicamente – settore estrema destra” sono state 83.
Negli anni 2000 si è sviluppata la scioccante storia della cosiddetta NSU-Nationalsozialistischer Untergrund (“Clandestinità Nazionalsocialista”), un gruppo terroristico razzista che, come si vedrà, rappresenta la concretizzazione più devastante del terrorismo neonazista tedesco. Dal 2015 in poi, con la cosiddetta crisi dell’immigrazione e la già citata Willkommenspolitik, il neonazismo ha infine iniziato a incunearsi nelle contraddizioni del multiculturalismo e dell’immigrazione, puntando a forme di consenso capaci di muoversi al di là del classico bacino militante neonazi e adottando tattiche di vero e proprio entrismo nel nuovo nazional-populismo. In questo senso sono stati negli ultimi anni significativi i vari episodi di attacchi contro centri di asilo e per rifugiati, i cui autori sono talvolta persone radicalizzate in poco tempo, partite dai rally anti-immigrazione e passate all’estremismo militante in pochi mesi.
Il numero delle vittime del neonazismo in Germania è impressionante. Nel 2018 il Ministero degli Interni tedesco ha presentato uno specifico report: solo a partire dalla Riunificazione tedesca del 1990, le vittime del terrorismo neonazista e di quella che viene chiamata “criminalità motivata politicamente – settore estrema destra” sono state 83. La cifra potrebbe essere però addirittura parziale. Secondo diverse ricerche indipendenti, per esempio da parte del quotidiano Die Zeit o di varie associazioni anti-naziste e antirazziste, le vittime dell’estremismo di destra negli ultimi ventinove anni sarebbero state anche più del doppio.
Secondo la fondazione Amadeu Antonio, così chiamata in memoria di un uomo di origine angolana assassinato da un gruppo di neonazisti nel 1990, le vittime dell’estremismo di destra in Germania dal 1990 a oggi sarebbero addirittura 196. La differenza nel calcolo delle vittime è determinata dell’effettiva catalogazione di un omicidio come principalmente motivato dalla discriminazione (razziale, sessuale, sociale) e da criminalità politica di estrema destra. Proprio le ambiguità nel calcolo della dimensione della violenza di estrema destra sono significative di diversi elementi da non sottovalutare: il primo elemento è la penetrazione del neonazismo nelle aree geografiche e metropolitane più disagiate, in cui il rancore sociale si intreccia talvolta con il fanatismo neonazista. Il secondo elemento, spesso sottovalutato e praticamente sconosciuto al di fuori della Germania, è il ruolo simbolico e culturalmente strutturante del neonazismo nel mondo della criminalità tedesca (fuori e dentro le carceri, così come in contesti specifici come alcune biker-gang e diverse tifoserie di calcio). Diversi gruppi o individui criminali tedeschi autoctoni, al pari di quanto storicamente avvenuto nel mondo anglosassone con le fratellanze del suprematismo bianco, hanno da tempo assunto simbologie neonaziste e scelto l’ibridazione con l’estremismo di destra.
Il fantasma della NSU
Quando si parla però di neonazismo strutturato e immediatamente riconoscibile nella sua dimensione terroristica, la storia della NSU-Nationalsozialistischer Untergrund è il fantasma che ritorna in continuazione nella storia recente della Bundesrepublik. L’ombra bruna della NSU è immediatamente ricomparsa anche in occasione dell’omicidio di Walter Lübcke. Nel network del principale indagato ci sono collegamenti con personaggi e gruppi riconducibili alla NSU e, come scoperto da Die Welt nel settembre 2019, il nome di Ernst comparirebbe 11 volte in un report dei servizi di sicurezza dell’Assia sul neonazismo locale e sulla NSU. Come già indicato, l’omicidio Lübcke potrebbe quindi suggerire una sottovalutazione analitica da parte dell’intelligence della minaccia proveniente da un soggetto di estrema destra. Sottovalutazione di cui la stessa storia della NSU è a dir poco emblematica.
La NSU si forma nel 1998, seguendo proprio il modello della Führerloser Widerstand e sotto l’influenza di testi del neonazismo anglosassone come The Turner Diaries (vera e propria bibbia del suprematismo bianco americano e delle sue più estreme strategie genocide). Il nucleo principale del gruppo NSU è formato da due uomini, Uwe Mundlos e Uwe Böhnhardt, e una donna, Beate Zschäpe. I tre sono originari di Jena, si conoscono da anni e fanno parte di quella generazione che è stata bambina nella DDR e adolescente alla caduta del Muro.
In più di dodici anni di attività dalla fine del 1998 al 2011, la NSU si rende responsabile in tutta la Germania di 15 rapine di auto-finanziamento, 3 attentati esplosivi e, soprattutto, degli efferati omicidi razzisti di 9 commercianti di origine straniera (8 di origine turca e 1 di origine greca), oltre che dell’omicidio di una giovane poliziotta tedesca. I 9 commercianti assassinati dalla NSU sono proprietari di negozi di fiori e frutta, ristoranti kebab, sartorie e chioschi. Gli uomini vengono scelti casualmente, solo in base alla loro etnia, e vengono assassinati sul loro posto di lavoro a Norimberga, Monaco di Baviera, Amburgo e in altre città tedesche. Gli omicidi razzisti avvengono tra il 2000 e il 2006 e tutte le vittime vengono uccise tramite vere e proprie esecuzioni organizzate con metodicità. Arma degli attacchi è sempre la stessa pistola, una Česká CZ 83 calibro 7,65 mm Browning. Per anni la NSU uccide indisturbata in tutta la Germania, anche grazie a quello che deve essere una solida rete di supporto logistico e ideologico, che aiuta il trio a vivere e muoversi in clandestinità.
Quando la polizia e le autorità intuiscono un collegamento fra i vari omicidi, lo fanno seguendo piste completamente sbagliate: regolamenti di conti legati alla mafia turca, traffico di droga, racket o faide familiari. Le ipotesi vengono formulate malgrado nessuna delle vittime abbia reali precedenti di questo tipo e, di conseguenza, in base a un profiling prettamente etnico delle vittime. Già nel 2006 alcuni familiari degli uccisi protestano per chiedere un impegno contro una scia di sangue sempre più evidente, ma la matrice politica degli assassinii non viene presa ufficialmente in esame e anche i media continuano per anni a chiamare gli omicidi Döner-Morde (omicidi del döner kebab), suggerendo implicitamente che si tratti di questioni interne alle comunità turca.
La storia della NSU è emblematica per capire come l’intelligence abbia sottovalutato la minaccia proveniente dall’estrema destra.
La NSU viene infine scoperta solo nel 2011. Il 4 novembre di quell’anno Uwe Mundlos e Uwe Böhnhardt compiono una rapina in una banca di Eisenach, nel centro della Germania, e scappano con un bottino di 72 mila euro. La polizia locale, però, riesce a individuarli. I due allora si barricano in una roulotte in cui soggiornavano nell’area e qua, in base alle ricostruzioni, si tolgono la vita dopo aver appiccato un incendio al loro mezzo. La loro complice, Beate Zschäpe, viene catturata quattro giorni dopo, non prima di essere anch’essa riuscita a incendiare l’ultima casa nascondiglio della NSU a Zwickau, in Sassonia. La cura con cui il trio, anche in punto di morte o poco prima della cattura, prova a distruggere prove e documenti sulla loro cellula terroristica continua a suggerire e confermare quanto il network della NSU fosse radicato.
Al tempo stesso, sempre poche ore dopo la morte di Mundlos e Böhnhardt, sono la stessa Zschäpe e forse un altro complice a spedire ad almeno 15 indirizzi di media e associazioni un video di rivendicazione della NSU. Il video, di cui vengono ritrovate anche decine di esemplari nei nascondigli del trio, è un orripilante montaggio in cui la NSU si presenta come servitore della patria e la Pantera Rosa – il cartone animato – si muove tra le foto delle vittime degli attentati del gruppo. Alcune delle foto del video sono quelle scattate dagli stessi assassini subito dopo gli omicidi.
Una volta emerso in tutta la sua carica di fanatismo razzista e neonazista, il caso NSU scuote e sciocca la Germania, costringendo d’un tratto i tedeschi a guardare il volto contemporaneo di un passato che la Bundesrepublik pensava di aver bonificato tramite una fitta rete di tabù linguistici, cautele istituzionali, elaborazioni intellettuali. Se la Germania aveva pensato di lasciarsi il peccato originario del nazionalsocialismo alle spalle tramite la Riunificazione, liquidando ad esempio il neonazismo di strada della ex DDR come un colpo di coda del disagio sociale post-socialista, la storia della NSU getta la società civile tedesca nello sgomento e impone inevitabilmente una viscerale ripoliticizzazione del rapporto del paese con il proprio passato. Il 23 febbraio 2012 si svolge a Berlino una cerimonia di Stato per le vittime della NSU. In un’atmosfera dolorosa e surreale, la Cancelliera Angela Merkel chiede ufficialmente scusa a vittime e familiari a nome della Repubblica Federale di Germania, promettendo di fare piena luce su quanto avvenuto.
La débâcle dell’intelligence
A distanza di 7 anni, però, non si può dire che la promessa di Merkel sia stata davvero mantenuta. Il processo contro la NSU inizia il 6 maggio 2013: sul banco degli imputati ci sono solo Beate Zschäpe e altri quattro fiancheggiatori. Questo nonostante le autorità tedesche e altre ricerche indipendenti abbiano stimato che la NSU avesse un network complessivo di cento o addirittura duecento persone (con vari gradi di coinvolgimento).
Il processo contro la NSU si svolge al centro dell’attenzione mediatica. Le udienze coinvolgono centinaia di testimoni e decine di avvocati, tra cui quelli dei parenti delle vittime, costituitisi parte civile. Cinque anni dopo, l’11 luglio 2018, Beate Zschäpe viene condannata all’ergastolo, mentre gli altri 4 imputati ricevono pene minori tra i 10 e i 2 anni e mezzo di carcere. L’insoddisfazione per il risultato del processo viene solo parzialmente mitigata dai risultati delle diverse commissioni parlamentari di inchiesta sulla NSU, aperte sia a livello federale che in otto singoli Bundesländer in cui si è svolta l’attività terroristica del gruppo.
Soprattutto le due commissioni d’inchiesta federali promettono inizialmente risultati più completi, essendosi poste l’obiettivo di indagare come sia stato possibile che la NSU non sia stata scoperta prima, nonostante la storica penetrazione dell’intelligence tedesca negli ambienti di estrema destra. Da tempo il BfV-Bundesamt für Verfassungsschutz (l’Ufficio per la protezione della Costituzione, vale a dire l’intelligence interna tedesca) persegue una strategia di monitoraggio del neonazismo che conta su una fitta rete di informatori nei gruppi neonazisti e giunge anche ad operazioni di massiccia infiltrazione strutturale degli stessi gruppi al fine di circoscriverli e controllarli.
Nel caso della NSU l’intera strategia non ha però raggiunto alcun risultato. Un serrato controllo sul neonazismo sarebbe dovuto arrivare anche dai vari uffici del LfV-Landesbehörde für Verfassungsschutz, che sono le declinazioni locali dell’intelligence interna. Proprio questa frammentazione federale tra i vari uffici di intelligence, aggiunta a quella in polizie locali, sembra aver contribuito alla débâcle dei servizi sul caso della NSU. Sono però emersi anche gravi errori, omissioni e ambiguità più concrete e molti hanno definito il caso NSU come il più clamoroso fallimento dei servizi di sicurezza tedeschi fin dalla loro creazione. Alcune delle mancanze più determinanti sono state imputate all’intelligence dello stato della Turingia, regione originaria del gruppo NSU. Dopo anni di dibattiti e interrogativi, la ricerca di responsabilità concrete da parte delle commissioni d’inchiesta parlamentari si è però molto spesso arenata, talvolta anche a causa dello scontro tra le impostazioni politiche dei vari membri, giunti ad accusarsi vicendevolmente di voler coprire gravi colpe di settori dell’intelligence e, dall’altra parte, di voler sfruttare il caso NSU per una battaglia ideologica con teorie complottistiche.
In occasione degli aggressivi rally e raid dell’estrema destra nella città di Chemnitz, è emerso il persistere di laceranti contrasti politici interni all’intelligence.
Ad oggi, sul ruolo dell’intelligence tedesca nel caso NSU restano alcuni punti chiave mai davvero chiariti. Nell’ambiente in cui la NSU ha operato c’era certamente una fitta rete di cosiddetti V-Männer, confidenti e informatori speciali dei servizi. Diversi di questi sono stati identificati per nome e molti di loro sono stati ascoltati dai giudici e dalle commissioni d’inchiesta. Un impiegato del LfV dell’Assia è stato più volte interrogato perché personalmente presente in un internet caffè di Kassel nel momento in cui la NSU uccise nell’aprile 2006 il proprietario Halit Yozgat, l’attenzione mediatica su questo dettaglio è stata considerevole; l’uomo ha però negato qualsiasi tipo di coinvolgimento e la sua versione è stata fino ad oggi accettata dai giudici. Continua tuttavia a non essere chiaro come mai nessuno avesse idea di quanto stesse avvenendo e nessuna solida informazione sul caso NSU abbia mai raggiunto i servizi in più di 12 anni: uno scenario che ha di conseguenza aperto un dibattito sull’affidabilità di gran parte degli informatori e sulle modalità dei loro contatti con i funzionari dell’intelligence. Alcune ricerche e indagini, invece, suggeriscono che i servizi abbiano trascurato specifiche informative e soffiate che avrebbero potuto sgominare il trio neonazista molti anni prima della sua scoperta finale.
Tra le circostanze più controverse c’è poi sicuramente anche il caso della distruzione da parte dell’intelligence federale, a pochi giorni della morte di Mundlos e Böhnhardt e della cattura di Zschäpe, degli atti sull’operazione Rennsteig, una manovra di infiltrazione nel neonazismo per certi versi molto legata alla vicenda della NSU. La distruzione degli atti in questione è stata definita accidentale da parte dei servizi, ma la circostanza ha causato enorme tensione ed è stata infine la causa principale delle dimissioni di alcuni quadri dell’intelligence nazionale e locale, incluso l’allora Presidente nazionale del BfV, Heinz Fromm, che ha lasciato la sua carica nel luglio 2012. Alcuni degli atti riguardo la NSU rimarranno a lungo secretati.
Nel frattempo, analisi e ricerche sulla NSU continuano a essere sviluppate da svariati gruppi, giornalisti e ricercatori, tramite numerose pubblicazioni e anche grazie a strumenti specifici come il NSU-Watch, un blog indipendente (in lingua tedesca, inglese e turca) che da anni segue dettagliatamente l’evoluzione del caso, raccogliendo praticamente tutti i documenti disponibili in merito e lavorando sotto il significativo slogan “Aufklären & Einmischen – Chiarire & Impicciarsi”.
Dopo gli anni dello scandalo, oggi ci sono segmenti dei servizi che hanno migliorato la loro capacità di contrasto del fenomeno neonazista, come dimostrano alcuni risultati recenti di indagini e operazioni. Il caso Lübcke ha però sicuramente riaperto il tema dell’efficacia dell’intelligence contro il terrorismo neonazista. Già nel settembre 2018, inoltre, in occasione degli aggressivi rally e raid dell’estrema destra nella città di Chemnitz (nati in seguito all’uccisione di un uomo del luogo da parte di due richiedenti asilo), è emerso il persistere di laceranti contrasti politici interni all’intelligence: Hans-Georg Maaßen, il nuovo Presidente del BfV che aveva sostituito proprio Fromm nel 2012, è stato così dimissionato dal governo Merkel perché sostanzialmente considerato troppo indulgente con la destra radicale.
Neonazismo e infiltrazione nello Stato
Nel maggio 2019 il Ministero degli Interni tedesco ha dichiarato che in Germania sono al momento attivi 24.000 neonazisti, 12.000 dei quali vengono considerati pronti alla violenza. Se Stephan Ernst verrà riconosciuto colpevole dell’omicidio di Walter Lübcke, sarà solo uno tra questi 12.000. Una galassia che, come si è visto, poggia la propria cultura estremista su una storia lunga e fitta di violenze e in cui le vicende della NSU hanno assunto nel tempo un ruolo simbolico specifico (come dimostrano anche i macabri richiami alla NSU in alcune canzoni di gruppi nazi-rock tedeschi).
La simbologia della NSU, a dire il vero, ha ultimamente risollevato anche un altro aspetto del neonazismo tedesco, vale a dire la sua penetrazione in alcuni settori delle forze di polizia e dell’esercito. Nel dicembre 2018, Seda Başay-Yıldız, avvocata dei parenti di una vittima della NSU (e, in seguito, legale di un islamista accusato di terrorismo) ha ricevuto diverse minacce di morte in cui è comparsa anche la firma “NSU 2.0”. Le indagini sull’episodio hanno individuato i colpevoli tra un gruppo di membri di estrema destra della polizia di Francoforte. Diversi altri episodi di estremismo di destra nelle forze dell’ordine e nell’esercito sono emersi negli ultimi anni, e vanno dalla creazione di chat segrete con simbologie naziste a gruppi accusati di voler attentare all’ordine democratico, come nel caso di un network prepper-survivalista di tendenza neonazista gestito col nome “Hannibal” (dove decine di membri di esercito, polizia e altre forze statali volevano prepararsi con le armi a un “giorno X” di crollo delle istituzioni in Germania).
La simbologia della NSU ha risollevato anche un altro aspetto del neonazismo tedesco: la sua penetrazione in alcuni settori delle forze di polizia e dell’esercito.
La presenza dei gruppi estremisti nelle forze di sicurezza, a detta delle stesse e di diversi membri delle istituzioni tedesche, sarebbe preoccupante ma limitata. La fedeltà dei corpi dello Stato non viene mai messa in discussione. Tuttavia, lo stesso Presidente della Repubblica Federale Steinmeier, presenziando alla riunione nazionale dei sindacati di polizia lo scorso novembre 2018, ha sentito l’esigenza di dire: “Quello che sto per dirvi dovrebbe essere scontato, ma vorrei dirlo ugualmente in piena chiarezza: non ci deve essere e non può essere tollerato alcun estremismo tra le fila della polizia. La polizia deve stare dalla parte della democrazia! Al tempo stesso la politica democratica deve dare forza al lavoro della polizia!”.
Il rapporto tra estremismo di destra e alcune parti degli apparati di sicurezza è presente in quasi tutte le democrazie occidentali. Ma nel caso tedesco, ancora una volta, va a toccare la già fragile eccezionalità dell’identità della Germania. Le nevrosi legate ai tabù storici tedeschi emergono con forza in settori come esercito e polizia, organi che strutturano fisiologicamente la propria essenza e il proprio funzionamento gerarchico su concetti di identità nazionale e tradizione. Non è certo un caso che proprio la Bundeswehr, l’esercito tedesco, abbia riformulato nel 2017 il suo speciale Regolamento per le Tradizioni, in cui viene definito con estrema precisione quali elementi tradizionali (simboli, canzoni, personaggi storici, teorici militari) possano identificare e nutrire culturalmente l’esercito tedesco, al fine di escludere qualsiasi riferimento alla Wehrmacht nazionalsocialista.
Neonazismo ed eversione
Il regolamento della Bundeswehr è solo uno dei tanti esempi di come la Germania tenti di salvaguardare un’autonarrazione nazionale svincolata dal proprio passato e impermeabile al sabotaggio da destra del proprio equilibrio democratico. Un sabotaggio che potrà tuttavia continuare a intensificarsi proprio nel futuro prossimo, nel quadro dello stravolgimento geopolitico complessivo che sta investendo il paese. Per decenni, infatti, la complessa e calibrata identità nazionale della Bundesrepublik liberal-democratica è stata garantita, sostenuta e tutelata dalla compattezza e dalla coerenza strategica dell’ordine atlantico. Ma oggi che le relazioni tra Berlino e Washington sono sempre più difficili e le veloci mutazioni internazionali stanno riportando a galla uno scenario conflittuale di identitarismi nazionali su uno scacchiere multipolare, la politica tedesca si trova di fronte a quegli interrogativi identitari che per decenni ha potuto procrastinare o ha sperato di non doversi mai più porre.
Certo, per tanti tedeschi l’interrogativo identitario è da tempo un falso problema, un feticcio del passato da eliminare definitivamente. Un partito come i Grünen (i Verdi), che gode nel paese di un sostegno ampio e crescente, punta oggi al superamento del classico dibattito sull’identità tedesca, in nome di un patriottismo costituzionale e in funzione di un pluralismo multiculturale incentrato su prospettive di internazionalismo liberal-ambientalista. Al pari di altri paesi occidentali, però, c’è un’altra parte di Germania che, seppur molto eterogeneamente nell’intensità delle proprie posizioni, non accetta l’internazionalismo liberal e, anzi, si sta riorientando verso l’affermazione dell’identità nazionale (se non addirittura etnica).
Negli ultimi anni questa polarizzazione sullo squarcio dell’identità in Germania è stata arginata dall’estremismo di centro dei governi di Angela Merkel, ma ora che anche questa ultima espressione dei vecchi assetti tedeschi sta tramontando, le conflittualità politiche potranno intensificarsi progressivamente. Questo scenario di polarizzazione e conflitto ideologico è oggi fondamentale quando si parla di terrorismo neonazista ed estremismo di destra. Non esiste infatti terrorismo senza strategia e non c’è terrorismo che, per quanto possano sembrare estremi e criminali i suoi atti, non cerchi a un certo punto di influire sulle più cruciali dinamiche sociali. Il terrorismo di estrema destra tedesco, i suoi sostenitori ideologici e i suoi beneficiari strategici puntano oggi principalmente ad approfondire la frattura tra i fautori di una società aperta e chi invece vuole una riaffermazione identitaria ed (etno)nazionalista.
Scommessa del terrorismo e dell’estremismo di destra è che questa polarizzazione non possa più essere risolta dal confronto politico e nemmeno superata da nuove prospettive, trasformandosi di conseguenza in una spaccatura così profonda da diventare infine ferita sanguinante. Una ferita che il terrorismo neonazista non vuole solo portare nella società, ma anche (se non soprattutto) all’interno della concretezza delle stesse istituzioni e del monopolio della forza statale. Il terrorismo di estrema destra, infatti, dimostra da sempre quale sia la differenza tra azione sovversiva e azione eversiva. La prima giunge esternamente alle istituzioni e vuole essere costituente di qualcosa di completamente altro, la seconda punta invece a far saltare gli equilibri istituzionali coinvolgendo anche posizioni interne allo Stato stesso. Il neonazismo tedesco ha una natura assolutamente eversiva, con tutto quello che ne consegue.