E siste un compiacimento, tutto siciliano, all’approssimazione dei nomi, che racchiude in sé qualcosa di antropologico. Un modo parziale e assolutamente scorretto di chiamare persone o cose: “marocchino”, ad esempio, viene inteso tutto ciò che, genericamente, proviene dal mondo mediorientale, mentre “turco” ne è la variante esoterica con vocazione negativa; allo stesso modo, tra le leggi non scritte del dizionario sentimentale del popolo siciliano, in passato venivano indicati come “francesi” tutti gli europei che sceglievano l’isola per le proprie vacanze fuori stagione.
Sebbene fosse nata a Hellington, in Inghilterra, Lady Florence Trevelyan fu sempre “la francese” per i taorminesi che, nel 1884, la videro arrivare per la prima volta. Una donna allontanata dalla corte della regina Vittoria con l’accusa di avere una relazione clandestina con il primogenito, Edoardo, che d’improvviso si ritrovò costretta a viaggiare per luoghi esotici, dall’India al Maghreb, fino a Taormina, dove giunse nell’unico albergo presente sul luogo, il Timeo. L’amore per la botanica di Lady Florence portò alla creazione dei primi “giardini all’inglese” nella città e all’allestimento di strani fabbricati detti “beehives”, molto simili a pagode orientali. Tuttavia, l’eredità più grande che questa donna consegnò a Taormina non risiede solo nei simboli (oggi resta il Giardino Pubblico), ma in una rete di curiosi viaggiatori che, tramite lei, scoprì la cittadina ionica. Oscar Wilde, Friedrich Nietzsche, Gabriele D’Annunzio e Guido Gozzano, tra gli artisti che contribuirono a edificare il mito di Taormina come confine primitivo dell’Occidente, roccaforte piccola e scomoda colonizzata da ricchi libertini.
Nei giardini di Lady Florence, negli occhi torvi dei giovani di Von Gloeden, si riflette la Taormina simbolo di un dandysmo antiborghese unico nel suo genere, riproduzione in scala di un sud-est asiatico ante litteram, che con l’indifferenza di un gatto asseconda le voglie dei suoi esploratori. Le storie e gli uomini che si sono susseguiti nel tempo in questo luogo hanno fatto di Taormina un’enclave rigorosamente scollegata dal resto dell’isola, un luogo che, nonostante l’asperità geografica, ha rappresentato il centro di un ipotetico mondo.
A un mese esatto dal G7 nelle strade, negli uffici pubblici e tra la gente di Taormina si respira un’aria di granitica indifferenza.
È in questa città che il sogno di Matteo Renzi è venuto a posarsi un anno fa, quando con entusiasmo, in volo verso il Giappone, annunciava Taormina come sede del quarantatreesimo G7. Ma il sogno di Renzi, oggi senza Renzi stesso, appare ora privo di ridondanza, entusiasmo, aspettative. A un mese esatto dal summit che vedrà protagonisti i capi di Stato d’Italia, Canada, Francia, Germania, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito nelle strade, negli uffici pubblici, tra la gente si respira un’aria di granitica indifferenza.
Da quasi due mesi sono iniziati i censimenti della popolazione, casa per casa, in modo da poter distribuire adeguatamente i badge d’ingresso per quelle che saranno la cosiddetta “zona di sicurezza” e quella “di massima sicurezza”. Da un mese, in città, è arrivato anche l’esercito, una presenza certo ingombrante per gli stretti vicoli del luogo, ma molto silenziosa, quasi ornamentale che, senza troppe resistenze, si è insinuata nel consueto viavai di turisti che da Isola Bella risale, dalla funivia, su via Pirandello, quindi Porta Messina fino a Corso Umberto. “Il G7 di Taormina sarà espressione di numerosi cambiamenti. Quello di maggio è il primo G7 al quale parteciperà il nuovo presidente americano, mentre nelle prossime settimane sono molto attesi i risultati delle elezioni francesi. A Taormina avremo di fronte un mondo con molte novità da affrontare”, afferma il presidente del consiglio Paolo Gentiloni.
Una prima volta siciliana che ha l’aria di una novità assoluta per i suoi stessi protagonisti, ma che arriva all’indomani degli attentati terroristici di Londra, Stoccolma e Il Cairo. Eventi che, di fatto, hanno portato a un rafforzamento del contingente delle forze dell’Ordine: dai 6.300 uomini previsti si è passati alle settemila unità, delle quali quattromila tra Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza e tremila appartenenti all’Esercito Italiano. Il dispiegamento complessivo dell’apparato di sicurezza sarà attivo dal 20 al 31 maggio, mentre dal 10 al 31 le frontiere verranno chiuse. La sicurezza marittima è affidata a 550 operatori della Guardia di Finanza e alle moto d’acqua della Polizia di Stato.
“Taormina sarà blindata”, ripetono con rassegnazione gli abitanti del luogo. Sui bus, al mercato comunale, nei negozi, il pensiero dominante è quello legato all’inaccessibilità delle strade del centro cittadino. Nessuna isteria collettiva, dunque, all’idea, seppur molto cinematografica, di Donald Trump che dalla base militare di Sigonella arriverà in città a bordo di un elicottero con mille uomini e oltre trenta auto al seguito.
In vista delle due giornate di congresso Taormina ha iniziato un restyling tardivo ma serrato: dieci chilometri di strade asfaltate e la realizzazione di due eliporti.
Un delirio logistico che, rapportato all’estensione reale della città, appare buffo e irreale come l’invasione degli elefanti sull’asteroide B612 evocata da Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo Principe. “Non credo che il rilancio dell’immagine di Taormina passi dal G7. Taormina è sempre esistita e continuerà a farlo anche dopo questo evento. Non è la prima volta in cui personalità politiche si incontrano qui: nel 2006 c’è stata la riunione dei vertici della Nato, mentre già alla fine degli anni ’80, l’allora presidente del consiglio italiano, Ciriaco De Mita, incontrava qui il presidente francese Francois Mitterand. La presenza di capi di Stato non è un evento che ci impressiona”, spiega Ernesto De Luna, titolare dello storico locale “Mocambo”.
Mentre la città si accinge a chiudere le proprie porte e i sopralluoghi da parte dei rappresentanti delle diverse delegazioni si fanno sempre più frequenti, per le strade si aggira, con l’inconfondibile maglietta Free Tibet, anche Renato Accorinti, sindaco di Messina, attivista della difesa dei diritti civili e fondatore del Comitato messinese per la pace e il disarmo. Il 22 aprile, per sua iniziativa, infatti, nel Salone delle bandiere del Municipio di Messina, si terrà, per la prima volta nella storia, un G7 dal basso, una riunione dei sindaci delle città Metropolitane del Sud (Catania, Palermo, Napoli, Bari, Cagliari e Reggio Calabria). Lontano da Donald Trump e dai clamori della bomba, i primi cittadini, in collaborazione con i ministri Claudio De Vincenti e Marianna Madia, proveranno a redigere un manifesto programmatico delle priorità del Meridione.
In vista delle due giornate di congresso – che si terranno nella Sala degli specchi del San Domenico Palace Hotel, il 26 pomeriggio e la mattina del 27 – Taormina ha iniziato, con cauto scetticismo, un restyling tardivo ma molto serrato: dieci chilometri di strade asfaltate, la realizzazione di due eliporti, l’eliminazione di otto chioschi lungo la via del Teatro Antico, con l’allestimento di una pavimentazione color miele che “si intona con il colore della cavea”. Persino le migliori intenzioni di un pendant cromatico dell’urbanistica, tuttavia, sono crollate sotto la scure dello stereotipo incombente. L’immagine di un giovane ammiccante, coppola munito, che guarda con desiderio una ragazza con l’ombrellino, riportata nell’App rilasciata dal governo ai giornalisti stranieri che si accreditano all’evento, ha scatenato il teatro dell’indignazione collettiva.
“Un’immagine che sembra richiamare improvvisati servizi turistici più che un vertice internazionale con i maggior leader mondiali”, scrive in una nota inviata al presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Giovanni Ardizzone. La demonizzazione della coppola diventa il trend topic dei social network per diverse ore, accendendo dibattiti retorici tanto sublimi quanto inutili.
Il 22 aprile si terrà a Messina, per la prima volta nella storia, un G7 dal basso: una riunione dei sindaci delle città Metropolitane del Sud per redigere un manifesto programmatico delle priorità del Meridione.
“Trovo che il Muos sia un simbolo di gran lunga più oltraggioso per la Sicilia rispetto alla coppola. La coppola non è rappresentazione esclusiva del bandito Giuliano, ma è anche i contadini di Portella della Ginestra, il simbolo dell’opera mascagnana”, spiega Giuseppe Perdichizzi, avvocato e titolare di “Fanaberia”, pasticceria che sorge nel cuore di corso Umberto, a Largo Ciampoli. Un brand che dal 2013 esporta i principali prodotti della gelateria siciliana (pistacchio, nocciola e mandorla) nelle principali città polacche, tra Radom, Danzica e Varsavia. “Il G7 è un’occasione molto positiva, un momento di festa per questa città, per questo abbiamo pensato di realizzare dei prodotti esclusivamente circoscritti a questo evento”, prosegue Perdichizzi. In omaggio al presidente degli Stati Uniti sarà realizzata una “Coppa Trump” a base di gelato naturale, senza additivi, con semi di carruba come addensante, che richiama i colori della bandiera americana, al gusto di fiordilatte, fragoline e mirtillo; in omaggio al presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, sarà realizzato un preparato con fragole e limone di Siracusa, mentre la ricetta del cocktail G7 resta ancora segreta.
Camminando per i sentieri un po’ fuori dal centro, in questi giorni d’aprile, prorompe in tutta la sua semplicità la vegetazione, che sembra allontanare il rischio più grande che un simile evento, dalla portata estetica quasi novecentesca, possa comportare: l’imporsi di una immagine posterizzata della Sicilia, quella riprodotta in via Montenapoleone fuori dagli store Dolce&Gabbana, la Sicilia che si fa carico di pesanti piante di fico d’India travasate in enormi teste di Moro di Caltagirone.
Niente di tutto questo.
A parlare della vegetazione di questo luogo, in questo particolare periodo dell’anno, è lo chef Pietro D’Agostino, titolare del ristorante stellato Michelin “La Capinera”, che curerà personalmente i menù per i capi di Stato in visita a maggio. Siamo nella Baia degli Dei, ai piedi di Taormina, in cui la cucina siciliana racconta se stessa attraverso i suoi semplici ingredienti: “La nostra cucina è prevalentemente a base di pesce, ma gli ingredienti dominanti restano il pomodoro, il basilico e l’olio d’oliva. Nei nostri piatti riproponiamo l’odore dei boschi, l’origano selvatico, la mentuccia piperita, la nipitella, le erbe dei Nebrodi e poi, i sapori più noti, quelli agrumati. In questi giorni, ad esempio, stiamo realizzando dei sorbetti con la zagara di limone. In queste settimane sono già venuti dei rappresentanti del governo a fare dei sopralluoghi, successivamente verrà una delegazione per scegliere due menù tra quelli proposti”.
Sebbene le portate restino altamente riservate, Pietro D’Agostino anticipa che si tratterà principalmente di piatti a base di pesce e verdure: “Dalle cruditè di tonno, il palamido, il gambero rosso di Mazara a una pasta col masculino e con il finocchietto selvatico, reinterpretata sotto forma di raviolo, mentre per dessert stiamo valutando l’idea di un dolce a base di pistacchio di Bronte e fragoline di Maletto. L’unico dato che, al momento, può essere rivelato sono i vini, rigorosamente Etna: bianchi e rossi che rispecchiano il carattere di questo territorio fortemente vulcanico”.