L a rappresentanza politica consiste nell’agire “in nome, al posto e per conto di qualcuno in cariche dotate di potere decisionale”. Nella gran parte delle democrazie moderne, viene interpretata come delega e non come mandato, ragione per la quale diventa fondamentale il rapporto fiduciario tra eletto ed elettore. Questo legame però, negli ultimi decenni, è andato sempre più sfaldandosi tanto che, non solo in Italia, la definizione politico di professione ha assunto connotazioni quasi esclusivamente negative. Può sorprendere quindi che proprio le poltrone siano diventate l’ombelico della politica italiana?
Il 7 ottobre è arrivato alla Camera dei deputati il ddl costituzionale n. 214-515-805-B, che prevede una riduzione del numero dei parlamentari. A meno di clamorose sorprese, l’8 ottobre l’aula approverà in quarta lettura, quella definitiva, il disegno di legge dando il via libera al taglio di 115 senatori e 230 deputati. In totale 345 poltrone in meno rispetto alle 945 previste dalla Costituzione. Una modifica sostanziale dell’assetto parlamentare che comporterà una serie di potenziali effetti collaterali, che è necessario non sottovalutare.
345 poltrone in meno rispetto alle 945 previste dalla Costituzione: una modifica sostanziale che comporterà una serie di potenziali effetti collaterali.
Il padre putativo della riforma è il Movimento 5 Stelle che, durante la crisi di governo da cui è nato il Conte II, ha preteso che il taglio dei parlamentari fosse il punto di partenza delle trattative con il Partito Democratico per la formazione di un nuovo esecutivo. A poche ore dall’approvazione, il neo ministro degli Esteri Luigi Di Maio, così come tutto il Movimento, ha voluto rivendicare l’importanza del provvedimento, sostenendo che comporterà un grande risparmio per le casse delle Stato e che contribuirà a semplificare il lavoro del Parlamento. “Per esperienza da vicepresidente della Camera, che ho fatto per cinque anni”, ha dichiarato a Dritto e rovescio su Rete4, “so che, se l’assemblea parlamentare è troppo grande, ci sono troppe modifiche a una legge. A volte arrivano leggi che sono così complicate che sembrano scritte in arabo”. Per i “portavoce” del Movimento, insomma, i parlamentari sono troppi, costano troppo, e il Parlamento non è efficace come dovrebbe essere.
Nello specifico la riforma prevede la modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, e fisserà il numero totale dei parlamentari a 600, con 400 deputati e 200 senatori (al momento sono 630 e 315). Ci sarà anche un taglio dei senatori eletti all’estero, non saranno più 6, ma 4, e di quelli a vita nominati dal Presidente della Repubblica, il cui numero non potrà in alcun caso essere superiore a cinque. Ridotto, infine, anche il numero minimo di senatori per ogni Regione o Provincia autonoma, che da 7 passerà a 3, ad eccezione del Molise e della Valle d’Aosta che, come è previsto nella legge attuale, avranno rispettivamente due e un eletto in Senato.
“Finalmente”, dice a il Tascabile il relatore della legge Giuseppe Brescia, “la politica potrà veramente dare una prova di credibilità su una promessa fatta a ogni elezione da tutti i partiti, ma mai mantenuta”. Secondo il presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, eletto con il M5S, si tratta di una riforma “epocale”, che porterà nelle casse dello Stato 1 miliardo di euro in più in due legislature, grazie al fatto che non verranno più pagati 345 stipendi, rimborsi e spese di staff ad altrettanti parlamentari. “La fine di un’ingordigia politica”, per dirla con le parole del capo politico del Movimento, Luigi Di Maio.
Il reale risparmio legato alla diminuzione dei rappresentanti in Parlamento, però, secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani, guidato da Carlo Cottarelli, sarebbe pari a 57 milioni all’anno, ossia a 570 milioni ogni due legislature. Una cifra notevole ma che sarebbe poco più della metà di quella messa in preventivo dal Movimento 5 Stelle (1 miliardo), e che per l’Osservatorio dell’università Cattolica rappresenterebbe appena lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana.
Per approvare la legge, arrivata in seconda lettura alla Camera, sarà necessaria la maggioranza assoluta, ovvero 316 sì. I numeri, garantiscono i partiti di governo, non sono a rischio, ma ci potrebbe essere qualche sorpresa tra i banchi del PD e dello stesso M5S. In caso di leggi di revisione costituzionale, quando il testo non viene approvato in seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti, 500mila elettori o 5 consigli regionali o un quinto dei parlamentari di una Camera possono richiedere un referendum confermativo. Lo scorso 11 luglio, al Senato, il via libera è avvenuto con 180 sì, meno della maggioranza necessaria dei due terzi quindi è probabile che verrà chiesta l’opinione dei cittadini. Una spada di Damocle che, come successo in passato, potrebbe annullare lo sforzo legislativo prodotto.
Al netto di possibili franchi tiratori, voteranno il provvedimento i deputati di M5S, PD, Liberi e Uguali e di Italia Viva (IV), il nuovo partito di Matteo Renzi. Mentre la Lega, che ha sempre votato a favore nelle votazioni precedenti, due al Senato e una alla Camera, ora che si trova all’opposizione ha avanzato qualche dubbio: “L’abbiamo votato tre volte”, ha dichiarato nei giorni scorsi Salvini, “insieme al Centrodestra lo votiamo anche la quarta volta. A meno che non ci sia lo scambio delle vacche PD-M5S, ho letto che il PD ha detto votiamo il taglio dei parlamentari se ci votate lo Ius soli o un pezzo di proporzionale. Se è una roba seria si fa, se è il mercato delle vacche, allora no”.
Il reale risparmio legato alla diminuzione dei rappresentanti in Parlamento sarebbe pari a 57 milioni all’anno, ossia a 570 milioni ogni due legislature.
Percorso inverso per quanto riguarda il Partito Democratico che, prima di raggiungere l’accordo di governo con i 5 stelle, ha criticato fortemente il provvedimento, mentre oggi (8 ottobre), per la prima volta, si appresta a votarlo. Si tratterà, come spiega a il Tascabile Stefano Ceccanti, il capogruppo PD in commissione Affari Costituzionali alla Camera, di un “Sì contestuale ad un disegno coerente di riforme”. Nelle scorse settimane, infatti, il Partito Democratico ha spinto per ottenere una serie di misure che hanno l’obiettivo di mitigare alcuni degli effetti del taglio. “In primo luogo”, dichiara Ceccanti “abbiamo concordato un adeguamento dei regolamenti parlamentari”, sarà necessario infatti conformare i numeri delle commissioni e dei gruppi parlamentari al minor numero di eletti. Inoltre, continua il costituzionalista del PD, “stiamo riflettendo sulla possibilità di valorizzare il Parlamento in seduta comune: in questa sede si potrebbe svolgere sia il voto di fiducia iniziale ai Governi – quindi non più singolarmente nelle due camere (n.d.r.) – che la votazione di mozioni di sfiducia costruttiva“. Altre “differenze ingiustificate”, che si è deciso insieme ai 5 stelle di modificare nei prossimi mesi, sono il peso eccessivo dei delegati regionali nel collegio per eleggere il Capo dello Stato (prevista una riduzione) e l’assenza dei presidenti di Regione con diritto di voto durante l’esame delle leggi sull’autonomia differenziata, che invece potranno partecipare.
Il problema più rilevante che, però, potrebbe sorgere con il Parlamento riformato è quello della rappresentanza. Nel 1948, i padri costituenti avevano legato il numero dei parlamentari alla popolazione, ossia potevano aumentare o diminuire in base a questo rapporto: un deputato ogni 80.000 abitanti e un senatore ogni 200.000. Questo principio è stato abbandonato con la revisione costituzionale del 1963 che ha stabilito che gli eletti dovessero essere in totale 945, più i senatori a vita. In rapporto alla popolazione, oggi in Italia c’è un deputato ogni 96.006 abitanti circa e un senatore elettivo (senza considerare i senatori a vita e i senatori di diritto a vita) ogni 188.424. Con il parlamento riformato si passerebbe a un deputato ogni 151.210, e a un senatore ogni 302.420. Con questa nuova proporzione, l’Italia diventerebbe il Paese europeo con il minor numero di eletti in una camera bassa (Camera dei deputati) in relazione alla popolazione, con 0,7 deputati ogni 100mila abitanti, a fronte dello 0,8 della Spagna, dello 0,9 di Francia e Germania e dell’1 del Regno Unito. Difficile replicare il paragone per la camera alta perché la gran parte degli Stati comunitari o è dotata di un’unica assemblea, oppure l’organo specifico ha compiti diversi da quelli delle camere basse. A differenza di quanto accade in Italia con il bicameralismo perfetto.
Il tema della rappresentanza ha ricadute anche sul pluralismo e sul diritto di tribuna, ragione per la quale il taglio dei parlamentari è legato a doppio filo alla riforma della legge elettorale. Un minor numero di eletti, infatti, rischia, soprattutto al Senato, di porre uno sbarramento quasi invalicabile per i partiti più piccoli. Per il vice segretario di +Europa, Piercamillo Falasca, “il combinato disposto dall’elezione su base regionale dei senatori con la loro diminuzione farà in modo che, con qualunque legge elettorale, le soglie implicite per accedere all’aula saranno altissime. Per cui una parte delle regioni italiane eleggerà 3/4 senatori, con una rappresentanza limitata ai due tre partiti maggiori”. Per Falasca, si tratta di una riforma che “trasformerà il Parlamento in una Camera elitaria in cui saranno rappresentate le grandi città, ma dove non saranno rappresentati i cittadini della provincia che, in futuro, si dovranno scordare la conoscenza diretta di un parlamentare o la sua presenza sul territorio”. Inoltre, secondo il vice segretario di +Europa, nel caso in cui dovesse rimanere in vigore il Rosatellum, c’è il rischio che una forza con il 30 per cento circa dei voti possa conquistare la maggioranza assoluta dei seggi.
Con questa nuova proporzione, l’Italia diventerebbe il Paese europeo con il minor numero di eletti in una camera bassa (Camera dei deputati) in relazione alla popolazione.
Per ovviare a questi “rischi”, le forze di governo hanno siglato un accordo che prevede, tra i vari aggiustamenti, il progetto di nuova legge elettorale entro dicembre 2019. Nei prossimi mesi, quindi, si aprirà il dibattito su quale formula adottare. Per il presidente Brescia è preferibile una legge elettorale proporzionale. Mentre Ceccanti è convinto che “un proporzionale che fotografi la frammentazione sarebbe dannoso. Ci resta la scelta”, continua, “tra un proporzionale selettivo con alta soglia di sbarramento e un maggioritario ragionevole, ossia a doppio turno, analogo alla legge per i comuni sopra 15 mila abitanti”. Con quest’ultima formula, per il deputato PD, si eviterebbe anche il rischio di un “super vincitore” del maggioritario, perché il doppio turno “per un verso fa votare due volte gli elettori prendendo in considerazione le loro seconde scelte e per altro verso pone un tetto massimo al vincitore, mai superiore al 55 per cento dei seggi. Insomma una disproporzionalità limitata”.
Affidare, però, alla legge elettorale il compito di riequilibrare la situazione, secondo Falasca, può rappresentare un problema molto rilevante. Quest’ultima, infatti, “non essendo costituzionalizzata, è modificabile con una maggioranza semplice, ragione per la quale in Italia ultimamente c’è stata una tendenza molto accentuata a cambiarla”. Nei prossimi anni, aggiunge Falasca, “i futuri governi potrebbero riformarla piuttosto facilmente, sfruttando a loro vantaggio tutti i difetti di questo taglio dei parlamentari”. Un problema strutturale che, secondo il vice segretario di +Europa, è figlio di un disegno di legge che perde l’ennesima occasione per affrontare il tema del bicameralismo perfetto, limitandosi a un’operazione di riduzione dei costi, “in maniera assolutamente demagogica”, che comporterà più problemi che benefici.
L’aspetto del bicameralismo è caro anche a Ceccanti che, nel dicembre del 2016, era tra i sostenitori del Sì al referendum: “Ovviamente il PD avrebbe preferito intervenire sul funzionamento delle due camere. Ma non essendo possibile trovare il consenso su una riforma complessiva del bicameralismo perfetto, che almeno in questa fase non è condivisa dal M5s, con le nostre proposte abbiamo comunque cercato di muoverci in quella direzione con alcuni interventi mirati. Se poi più avanti matureranno condizioni complessive migliori perseguiremo anche un disegno più ambizioso”.
L’importante, al momento, per la gran parte dei partiti che siedono in Parlamento, è non passare per quelli che quelle poltrone le vogliono mantenere.