L a cittadina di Dudley, emblema della gloriosa working class inglese che fu, è il luogo di nascita di Anthony Cartwright, autore del romanzo Il taglio (66thand2nd, 2019, traduzione di Riccardo Duranti). Proprio qui, tra le colline dolci delle West Midlands, all’ombra delle sagome fatiscenti delle fabbriche dismesse, avviene nel romanzo l’incontro fortuito tra due fantasmi. Il primo è Cairo: quarantenne nato e vissuto a Dudley, un’esistenza che si dispiega tra incontri di pugilato e impieghi saltuari come manovale. Sparita l’industria, resta il business del recupero materiali dalle macerie industriali dell’area, ed è questo che fa Cairo a chiamata. L’altro fantasma è Grace, trent’anni, arrivata a Dudley da Londra per girare un documentario, giornalista affermata e donna in continua trasformazione, mossa dal desiderio di scoprire mondi per raccontarli. Intorno a loro sboccia una sfrontata primavera inglese. Sono le settimane che precedono il voto per Brexit.
Cartwright, dopo opere come Iron Towns. Città di ferro e Heartland, torna a raccontare vite ordinarie dell’Inghilterra contemporanea, dalle cui vicende traspare l’atmosfera della crisi identitaria di un paese. Nella sua ultima opera ci conduce dentro l’attrazione impossibile tra Cairo e Grace, separati da una enorme incomunicabilità di classe. In un epilogo durato oltre trent’anni, avviato da Margaret Thatcher e portato a termine da Theresa May, il Regno Unito fa i conti col suo passato e si prepara al salto nel buio di una nuova era. Abbiamo fatto alcune domande ad Anthony Cartwright, sul suo romanzo e sull’attualità politica inglese.
Nel tuo libro racconti l’amore tra due personaggi che appartengono a mondi distanti. Ricordo che si parlava di “taglio”, di frattura sociale, anche dopo la rivolta urbana dell’estate 2010, che vide riot e saccheggi imperversare per giorni a Londra e nelle principali città britanniche. In quel caso “il taglio” separava il resto del paese da un sottoproletariato urbano, figlio rinnegato del passato coloniale. Pensi che ci sia più di un taglio nella società inglese?
Laurie Penny, giovane giornalista britannica, in un suo recente articolo afferma che “Brexit non ha nulla a che vedere con il desiderio della Gran Bretagna di uscire dall’Europa. Quello con cui ha sempre avuto a che fare invece è il desiderio della Gran Bretagna di uscire dal ventunesimo secolo”. Qual è il ruolo del passato e di una certa narrazione del passato nel caso Brexit e nella tua ultima opera?
Brexit appare come il risultato di un diffuso senso di sconfitta. Ma nel tuo romanzo ho avvertito anche una certa tensione all’autolesionismo, che sembra innervare tutta la vicenda umana e politica che racconti. Cosa può fare la Gran Bretagna per perdonare sé stessa?
L’insorgere di sentimenti di frustrazione e paura che si trasformano in rigurgiti nazionalisti non riguarda solo l’Inghilterra, ma è una sfida che tutti i paesi del Vecchio mondo stanno affrontando. Il “taglio” è anche la crisi del paradigma occidentale? Questa crisi può essere la base per ricostruire una nuova identità internazionalista?
Ma sembra che siamo ancora piuttosto lontani da questa conclusione. E forse è troppo semplicistica, o forse non ci arriveremo mai. Ma forse è anche un conclusione migliore del nazionalismo. La vecchia tattica dell’impero britannico era “divide et impera”, e a quanto pare siamo noi i suoi obiettivi finali. Gramsci ha spiegato ampiamente le sfide dell’egemonia culturale, e io credo che una possibilità resti ancora aperta: il centro del potere di certo non può più reggere a lungo.