L’ uccisione del diciassettenne di origini franco-algerine Nahel Merzouk da parte di un poliziotto a Nanterre, nel banlieue parigino, il 27 giugno 2023 ha riacceso il dibattito sulla militarizzazione e il razzismo della polizia francese. Secondo Défenseur des droits, un’autorità indipendente che vigila sui diritti dei cittadini, la polizia francese fermerebbe per i controlli soprattutto le persone di colore o di religione musulmana. È anche per questo che la morte di George Floyd nel 2020 ha avuto una forte eco in Francia, dove ha riportato alla memoria l’uccisione di Adama Traoré, un uomo di ventiquattro anni di origini maliane, morto il 29 luglio 2016 nel sobborgo parigino di Beaumont-sur-Oise mentre era in custodia della gendarmeria.
In seguito alla morte di Merzouk, l’Ufficio dell’Alto Commissario dell’ONU per i diritti umani ha criticato la Francia per i “problemi profondi di razzismo e discriminazione razziale presenti tra gli agenti di polizia”. Secondo dei dati riportati sul giornale Basta!, dal 2017, anno in cui è stata approvata una contestata legge che consentirebbe alle forze dell’ordine di ricorrere con più facilità all’uso delle armi nel caso in cui un veicolo non si fermi ai controlli, ci sarebbe stata una media di 161 colpi d’arma da fuoco sparati dalla polizia verso veicoli in movimento, con un incremento dal 26% al 39% nell’uso delle armi da parte degli agenti. Le vittime, invece, sarebbero almeno ventisei, contro le diciassette del periodo 2002 – 2017.
Già questo inverno, con le manifestazioni contro la riforma delle pensioni, e prima ancora durante le proteste dei gilets jaunes, la polizia francese era finita al centro di polemiche per l’uso dei proiettili di gomma e delle granate stordenti. Per il diritto internazionale sono armi da guerra anche perché le conseguenze possono essere irreversibili: la perdita parziale o totale di un arto e, in certi casi, la morte. È il caso, ad esempio, di Remi Fraisse, un giovane di ventuno anni rimasto ucciso dall’esplosione di una granata lanciata dalla polizia durante una protesta contro la costruzione di una diga a Sivens, vicino Tolosa. Durante una manifestazione contro la costruzione di un mega bacino idrico a Sainte-Soline il 25 marzo 2023, invece, due manifestanti sono finiti in coma per un trauma cranico provocato da una granata. Secondo una testimonianza riportata dal quotidiano Le Monde, le forze dell’ordine avrebbero ritardato l’intervento dei sanitari che sarebbero arrivati con un ritardo di trentacinque – quaranta minuti.
Secondo un sondaggio Ifop di marzo solamente il 42% degli intervistati avrebbe fiducia nella polizia, rispetto al 53% del 1999. La percentuale scenderebbe al 28% tra i giovani sotto i trentacinque anni e al 19% tra i diciotto-ventiquattrenni. Mentre ben il 56% dei francesi ritiene che gli eccessi di violenza da parte della polizia siano una realtà. Il Controllore generale dei luoghi di privazione della libertà, Dominique Simonnot, ha denunciato la “strumentalizzazione delle misure di custodia a fini repressivi” in una lettera inviata al ministro degli Interni Gerald Darmanin il 17 aprile. Simonnot ha fatto presente che le persone arrestate le avrebbero descritto un contesto di arresti violenti, con “perquisizioni sistematiche in mutande”, “condizioni igieniche indegne” e “irregolarità nei fogli di interpellanza”. Nel 2017 e nel 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Francia per i suoi protocolli di mantenimento dell’ordine, mentre più recentemente Amnesty International ha denunciato il ricorso alla forza e agli arresti da parte della polizia come eccessivi.
La premesse della militarizzazione della polizia francese
Diverse sono le spiegazioni che possono essere addotte per spiegare questo contesto. Tra di esse è la storia della militarizzazione della polizia francese, un termine con cui negli studi si descrive un processo di graduale ibridazione tra polizia ed esercito che porta il primo ad assumere delle caratteristiche del secondo. La differenza fondamentale tra polizia ed esercito riguarda gli obiettivi e il contesto di intervento da cui dipende l’uso della forza. La polizia dovrebbe vigilare e mantenere l’ordine in un contesto di pari (i cittadini) evitando il ricorso alla forza, soprattutto quella letale. L’esercito, invece, interverrebbe solitamente in contesti ostili in cui i soggetti sono considerati dei nemici, o comunque potenziali pericoli, e ricorrerebbe a un uso della forza “massimale”. Con la militarizzazione la polizia assume in parte questa mentalità e anche i governi mutano le strategie e le concezioni di ordine pubblico.
Solo il 42% degli intervistati francesi ha fiducia nella polizia, rispetto al 53% del 1999. La percentuale scende al 28% tra i giovani sotto i trentacinque anni e al 19% tra i diciotto-ventiquattrenni.
La militarizzazione può essere dovuta a molteplici fattori, come la partecipazione dell’esercito in questioni di ordine pubblico – è il caso, ad esempio, dell’Operation Sentinelle – e nella fornitura di armi, mezzi ed equipaggiamenti militari dell’esercito alla polizia. Non da ultimo è anche il ruolo delle Police Paramilitary Units (PPUs): reparti di polizia altamente specializzati, soprattutto nella gestione di situazioni in cui vi è la presenza di gruppi di uomini armati e nel terrorismo, che riprendono dall’esercito l’organizzazione e la gerarchia.
La militarizzazione della polizia francese ebbe inizio negli anni Settanta, quando emersero i primi problemi nella gestione dell’ordine delle banlieues e per far fronte alle minacce terroristiche, ma è nel periodo compreso tra la Seconda guerra mondiale e gli anni Sessanta che si trovano le radici del fenomeno. In Francia la tutela dell’ordine pubblico viene affidata principalmente alla Gendarmerie nationale, in parte paragonabile ai Carabinieri ma con aree di competenza principalmente nelle zone rurali, e alla Police nationale. Quest’ultimo corpo è erede delle riforme varate dal governo di Vichy tra il 1941 e il 1943 che aumentarono la centralizzazione della polizia sotto il ministero dell’Interno e crearono un corpo numeroso, professionale e facilmente governabile dalle autorità. Solamente la Prefettura di polizia di Parigi rimase indipendente, legata alla sua territorialità.
Al termine della guerra, per gestire la conflittualità sociale, venne creata la Compagnies républicaines de sécurité (CRS), il reparto celere della polizia francese, sul modello della Gendarmerie mobile nata negli anni Trenta. Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta i CRS vennero impiegati spesso con durezza e in certi casi il loro intervento provocò la morte di alcuni manifestanti. Ciò non era un’eccezione francese: anche in Italia l’intervento dei reparti celere, creati dal ministro degli Interni socialista Giuseppe Romita nel 1946 e potenziati dal successore democristiano Mario Scelba, si accompagnava spesso a morti e violenze.
L’uso repressivo dei CRS in Francia era dovuto in parte al contesto della Guerra Fredda – come nel caso della morte di un manifestante durante le proteste contro la guerra di Corea e l’arrivo del generale statunitense Matthew Ridgway in Francia nel 1952 – in parte al trascinarsi delle divisioni in seno alla popolazione originatesi durante la Seconda guerra mondiale. A ciò è da aggiungere la “necessità” dello Stato francese di affermarsi all’indomani della fine di Vichy e il processo di decolonizzazione che, soprattutto nel caso della guerra di Algeria (1954 – 1962), fu particolarmente teso. È in questo contesto, infatti, che il 17 ottobre 1961 la polizia di Parigi uccise un centinaio di manifestanti algerini – già nel decennio precedente la polizia francese aveva commesso violenze e uccisioni nei confronti dei manifestanti di questa etnia. L’anno successivo, nel 1962, alla stazione della metropolitana di Charonne la carica dei CRS scatenò il panico così che decine di persone presenti furono schiacciate e soffocate dalla folla, con un bilancio di nove morti.
La polizia dovrebbe mantenere l’ordine in un contesto di pari evitando il ricorso alla forza. L’esercito, invece, interverrebbe in contesti ostili in cui i soggetti sono considerati dei nemici. Con la militarizzazione la polizia assume questa mentalità e anche i governi mutano le strategie.
Negli anni Sessanta la polizia francese subì alcuni processi di riorganizzazione. Nel 1964, per far fronte all’aumento dei furti a mano armata nella regione di Parigi, la Prefettura creò la Section de Recherche et d’Intervention che diverrà nel 1967 una Brigade (BRI) – un’unità di indagine e d’intervento della polizia giudiziaria. All’epoca il suo compito era quello di compiere indagini preventive sui sospetti rapinatori in modo da poterli arrestare in flagrante. Nel 1966, inoltre, una riforma unificò la polizia di Parigi a quella nazionale: l’intento era quello di aumentare l’efficienza e la centralizzazione dando alle due polizie lo stesso status legale standardizzando l’amministrazione – solamente il primo dei due obiettivi venne raggiunto. Nel 1969, un anno dopo le manifestazioni del maggio 1968, venne creata un’unità speciale: il Peloton de Voltigeurs Motoportés (PVM). L’unità era composta da agenti che guidavano delle moto che consentivano di spostarsi nel territorio metropolitano con rapidità e di infiltrarsi nelle manifestazioni con forza, e da agenti “passeggeri” muniti di un lungo manganello.
Dagli anni Settanta ai primi anni Ottanta: terrorismo e banlieues
Nel corso degli anni Settanta la polizia francese fu al centro di un processo di creazione di nuove brigate specializzate nella gestione della criminalità in zone ad alto rischio, come le banlieues, e nella risposta alla presa di ostaggi, alla presenza di gruppi armati e di attacchi terroristici. Al culmine di questo processo furono due riforme, nel 1985 e nel 1995, che gettarono le basi per le contestate riforme degli anni Duemila.
L’esigenza di corpi d’élite capaci di rispondere agli attacchi terroristici e alla presa di ostaggi non era una novità per la Francia, che già negli anni Cinquanta e Sessanta era stata colpita da degli attentati nel contesto della guerra di Algeria, ma la decisione di creare dei gruppi di questo tipo venne presa solamente nel 1972. Quell’anno un commando dell’organizzazione terroristica Settembre Nero aveva preso in ostaggio e ucciso undici atleti israeliani durante la Olimpiadi di Monaco. Pertanto, il governo francese decise per la creazione dei Groupes d’Intervention de la Police Nationale (GIPN), un’unita dotata di armi, mezzi, equipaggiamenti e addestramenti di tipo militare. Il primo GIPN fu istituito a Marsiglia, ma nell’arco di un decennio vennero estesi in tutte le principali città. Nel 1974 anche la Gendarmerie si dotò di un corpo simile, il Groupe d’intervention de la Gendarmerie Nationale (GIGN).
La polizia parigina, che continuava a godere di una certa autonomia, scelse invece di ampliare le competenze della Brigade de Recherche et d’Intervention in modo da renderla capace di rispondere alla presa di ostaggi e alle minacce terroristiche. Per aumentarne la capacità di intervento, inoltre, venne deciso nel 1972 che il prefetto di Parigi avrebbe potuto disporre anche della Brigade Anti-Commando (BRI-BAC), un’unita attivabile solamente nei momenti di crisi e che riunisce intorno al BRI altre unità di rinforzo. In questo modo il BRI, nato nel 1967 per rispondere a problemi di criminalità interni alla città, divenne nel corso del tempo una forza paramilitare, diffondendosi poi anche a Lione (1977), Nizza (1978) e Marsiglia (1986). Parigi condivide, invece, con le altre città francesi l’unità paramilitare Recherche, Assistance, Intervention, Dissuasion (RAID) creata nel 1985 per rispondere agli attacchi terroristici, alla presa di ostaggi e per contrastare la criminalità.
La militarizzazione della polizia francese ebbe inizio quando emersero i primi problemi nella gestione dell’ordine delle banlieues e per far fronte alle minacce terroristiche, ma è tra la Seconda guerra mondiale e gli anni Sessanta che si trovano le radici del fenomeno.
Per migliorare la capacità di risposta in caso di attentati, inoltre, nel 1978 venne emanata una circolare interministeriale che creava un sistema di allarme e coordinamento per consentire alle autorità di rispondere rapidamente alle allerte. Sulla base di questa circolare, nel 1981 venne promulgato il Plan Pirate che semplificava il processo decisionale del primo ministro in caso di attacchi terroristici. Il Plan Pirate venne attivato per la prima volta in maniera precauzionale nel 1991, durante la Guerra del Golfo. In seguito agli attacchi terroristici che coinvolsero la metro e la RER di Parigi nel 1995 il Plan Pirate divenne il Plan Vigipirate che, riformato più volte nel corso degli anni, è ancora oggi in vigore. Il Plan Vigipirate ha stabilito in maniera più precisa la distribuzione delle responsabilità centrali e territoriali e i principi per guidare l’azione dello Stato nella lotta al terrorismo attraverso la definizione dei livelli generali di vigilanza.
La seconda causa della militarizzazione riguardò l’aggravarsi delle condizioni delle banlieues, i vecchi quartieri popolari nati alla fine dell’Ottocento per ospitare gli operai e gli immigrati. Il baby boom degli anni Cinquanta e l’incremento dell’immigrazione avevano aumentato la richiesta per i logement nelle periferie che erano divenute delle vere e proprio bidonville, prive o quasi di mezzi di comunicazione e di condizioni igienico-sanitarie soddisfacenti. Secondo il censimento del 1954, infatti, almeno la metà degli alloggi non aveva servizi sanitari e l’acqua corrente. Si trattava di un problema sociale, ma anche di sicurezza per le istituzioni francesi perché nelle periferie risiedevano molti algerini. Per cercare di risolvere il problema i governi della Quinta Repubblica decisero di investire nella creazione di alloggi popolari che, nelle intenzioni, avrebbero dovuto migliorare le condizioni di chi viveva nelle banlieues. Tra gli anni Sessanta e Settanta si assistette quindi all’esplosione di edifici alti e capaci di ospitare centinaia di persone, costruiti spesso su vecchi terreni agricoli, privi di strutture comunitarie di sostegno – ad eccezione delle scuole elementari – e con strutture di trasporto pubblico carenti o assenti.
Se in parte la costruzione di questi edifici aveva migliorato le condizioni abitative, numerosi problemi rimanevano nelle banlieues. Per farvi fronte vennero intrapresi due tipi di interventi. Da un lato, furono avviati studi e iniziative a carattere sociale, promosse sia dal governo nazionale che dalle amministrazioni locali che non ebbero, però, risultati sufficienti; dall’altro, venne deciso di investire nelle forze di polizia. Già dal 1971, a Parigi e nel dipartimento di Seine-Saint-Denis, venne approvata la creazione di un’unità anticrimine specializzata nel pattugliamento e nell’intervento in aree urbane ad “alto rischio”, come le banlieues: la Brigade Anti Criminalité (BAC), nata su idea di Pierre Bolotte, un ex funzionario coloniale. Il senso di esclusione e di privazioni, dovuto anche all’alto tasso di disoccupazione e agli scontri tra abitanti delle periferie e polizia, portò ad un contesto di tensione nelle banlieues che esplose nel 1979, quando un ragazzo rimase ucciso durante un controllo di polizia alla Grappinière, un quartiere di Lione.
Nel 1971 a Parigi venne approvata la creazione di un’unità anticrimine specializzata nel pattugliamento e nell’intervento in aree urbane ad “alto rischio”, come le banlieues, nata su idea di Pierre Bolotte, un ex funzionario coloniale.
Da quel momento le rivolte iniziarono a susseguirsi con frequenza – tra il 1980 e il 1983, per denunciare le violenze della polizia, nacque anche un network informale che promuoveva dei concerti gratuiti, i Rock Against Police – e arrivarono ad un punto di svolta nel luglio 1981 con la rivolta della Minguettes, una banlieue di Lione, caratterizzata dalla pratica del rodéos – il furto delle auto per incendiarle. Per la prima volta la stampa nazionale mediatizzò il fenomeno, rendendo la crisi sociale delle banlieues una questione nazionale. Per rispondere all’emergenza, il neoeletto governo socialista (maggio 1981) instaurò una Commissione nazionale per lo sviluppo sociale dei quartieri sfavoriti e il presidente della Repubblica François Mitterand ricevette gli organizzatori della Marche pour l’égalité des droits, conosciuta anche come Marche des beurs, partita da Marsiglia e arrivata a Parigi nel dicembre 1983 per protestare contro le condizioni delle banlieues e la violenza della polizia.
Le riforme del 1985 e del 1995
Tra il 1985 e il 1995 la polizia francese fu attraversata da un periodo di riforme che avevano come scopo la sua modernizzazione così da rispondere al senso crescente di insicurezza dovuto alla criminalità e al terrorismo. Le riforme cercarono di migliorare i rapporti tra agenti e cittadini anche al fine di ridurre le violenze, tentando al contempo di migliorare le condizioni di assunzione e impiego degli agenti. Per ottenere questi risultati, i governi provarono a decentralizzare i comandi di polizia aumentando le competenze dei dipartimenti, ma fu un tentativo vano e di breve durata. Ben più incisivo, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere l’aumento delle risorse – il budget per la polizia passò da 1,974 milioni nel 1985 a 3,100 nel 1990 – volto all’ammodernamento degli equipaggiamenti, dei mezzi e delle caserme. Le riforme cercarono anche di creare una maggiore consapevolezza del ruolo sociale tra gli agenti, promuovendo la conoscenza del codice deontologico – introdotto il 18 marzo 1986 – e prolungando la formazione dei neoassunti che passò da due mesi ad un anno.
Anche il processo di reclutamento subì dei cambiamenti perché gli aspiranti poliziotti dovevano ora avere il baccalauréat o un diploma di insegnamento superiore – fino a quel momento gli agenti erano reclutati soprattutto da ambienti rurali o comunque fortemente popolari e il tasso di scolarizzazione era molto basso. La necessità di una riforma della polizia riguardava anche i reparti antisommossa e venne sottolineata nel dicembre 1986, quando degli agenti del Peloton de Voltigeurs Motoportés di Parigi uccisero a manganellate un giovane di ventidue anni di origini franco-algerine, Malik Oussekine. In quei giorni a Parigi avevano avuto luogo delle proteste e delle occupazioni delle università in opposizione ad un progetto di riforma del sistema universitario. La notte tra il 4 e il 5 dicembre i CRS erano stati inviati a sgomberare gli studenti che stavano occupando la Sorbona, mentre i voltigeurs erano stati inviati ad effettuare delle ronde per disperdere eventuali casseurs. Oussekine era appena uscito da un locale quando tre agenti iniziarono a colpirlo. Il caso ebbe una notevole risonanza mediatica e anche per questo il Pelton Voltigeurs venne soppresso.
I processi riformatori cercarono di armonizzare i rapporti tra polizia, esercito e gendarmeria anche a fronte del perdurare degli attacchi terroristici. Nel 1986 era stato istituito il Conseil de défense et de sécurité intérieure, un consiglio di ministri presieduto dal Presidente della repubblica che deve fissare obiettivi e coordinare la politica di sicurezza e di difesa. Nel 1991, come si è visto, venne attivato per la prima volta il Plan Pirate che quattro anni più tardi divenne il Plan Vigipirate. Nello stesso anno, il 1995, la Loi Pasqua – dal cognome dell’allora ministro degli Interni Charles Pasqua – cercò di rafforzare la cooperazione tra le forze dell’ordine, cercando inoltre di sviluppare la polizia di prossimità, una polizia che fosse capillarmente presente sul territorio in modo da avvicinarla ai cittadini. La Loi Pasqua, oltre a riformare i gradi e la gerarchia, accordò ai prefetti il potere di interdire le manifestazioni che fossero state giudicate pericolose e approvò l’uso di telecamere video per la sorveglianza nei luoghi pubblici.
Tra il 1985 e il 1995 la polizia francese fu attraversata da un periodo di riforme che avevano come scopo la sua modernizzazione così da rispondere al senso crescente di insicurezza dovuto alla criminalità e al terrorismo.
Nel 1994, inoltre, le BAC vennero diffuse in tutte le principali città francesi, creando prima le cellule notturne (1994) e poi quelle diurne (1996), in modo da rispondere all’esigenza di un maggior controllo delle banlieues e delle zone considerate rischiose con la presenza di un corpo specializzato che opera in borghese e con veicoli privi di livrea e con una grande autonomia anche rispetto ai dipartimenti in cui sono inseriti. I BAC sono stati definiti una “polizia di eccezione” a sottolineare non solo la loro autonomia, ma anche la concezione di una polizia attiva solamente per le banlieues e con metodi operativi considerati violenti e discriminatori vista la tendenza di questo corpo a controllare soprattutto le minoranze. Proprio il carattere di “eccezione” del BAC ha portato quello di Marsiglia, nel 2012, ad uno scandalo che ha coinvolto diciotto suoi agenti, arrestati per traffico di droga e racket. La vicenda è stata al centro del film BAC Nord del 2020, l’anno precedente era stato realizzato il film Les Misérables che denunciava le violenze del BAC di Montfermeil, nella banlieue parigina di Saint-Denis.
La militarizzazione della polizia nel nuovo millennio
Nonostante i tentativi di riforma del 1985 – 1995, il decennio compreso tra la metà degli anni Novanta e il 2005 fu caratterizzato dalla diffusione delle rivolte nelle banlieues – Nanterre (1995), Châteauroux (1996), Lione (1997), Tolosa (1998), Vauvert (1999), Lille (2000), Metz (2001), Evreux (2002), Avignone (2003), Bobigny (2004) – che ispirò il cineasta Mathieu Kassovitz nella realizzazione del film La Haine (1995). Per far fronte al susseguirsi di rivolte nel 2003 vennero create le Compagnies de Sécurisation et d’Intervention (CSI) e le Compagnies Départementales d’Intervention (CDI), compagnie della Police Nationale con competenza dipartimentale attivabili come rinforzo alla polizia locale, come i BAC e i CRS, nella lotta contro la criminalità e nel mantenimento dell’ordine.
Le émeutes più gravi scoppiarono nel 2005 per la morte di Zyed Benna e Bouna Traoré, rispettivamente diciassette e quindici anni. I due stavano tornando da una partita di calcio quando furono fermati dalla polizia. Impauriti, tentarono di scappare e si rifugiarono in una cabina della rete elettrica di Clichy-sous-Bois, nella periferia di Parigi, dove morirono folgorati. L’ampiezza e la durata – tre settimane – delle rivolte fu tale che venne decretato, per la prima volta dalla guerra di Algeria, lo stato di emergenza. Fu anche per questo che l’allora ministro degli Interni Nicholas Sarkozy (2005 – 2007) assegnò una direzione più repressiva alla polizia, accentuando il processo di militarizzazione facilitando la diffusione di nuove armi ed equipaggiamenti.
Fu nel 2007, infatti, che l’utilizzo degli LBD – Lanceurs de balle de défense (LBD) (i fucili, ma ne esiste una versione anche a pistola, che sparano i proiettili di gomma, le flash-ball) venne esteso anche ai poliziotti di pattuglia, ai CRS e alla Gendarmerie mobile. Quest’arma era stata introdotta nella metà dei Novanta tra i reparti speciali della polizia – compresi i BAC – e della gendarmeria per gestire le situazioni ad alto rischio. Ad oggi la Francia è uno dei pochi paesi a ricorrere alle LBD, assieme a Polonia, Grecia, due Land tedeschi e alla gendarmeria spagnola – ad eccezione della Catalogna. Quest’arma sembra sia la causa del decesso di un uomo di ventisette anni, colpito al petto da un flash-ball sparata da agenti del RAID nella notte tra il 1 e il 2 luglio a margine di una émeute a Marsiglia per la morte di Nahel.
La Francia è l’unico paese ad autorizzare l’uso delle granate per disperdere i manifestanti.
La Francia è, invece, l’unico paese ad autorizzare l’uso delle granate per disperdere i manifestanti. Le granate a disposizione della polizia sono di due tipologie: le GLI-F4 e le Grenades de désencerclement. Le prime – dal 2020 sono state introdotte anche le GM2L che dovrebbero essere più sicure – al momento della detonazione rilasciano gas lacrimogeno e grazie all’effetto sonoro e al lampo prodotto con l’esplosione dovrebbero mantenere a distanza e/o disperdere i manifestanti. Le seconde sono invece quelle con la detonazione più potente – circa 155 decibel, la stessa di un aereo al decollo – e al momento dell’esplosione scagliano, nel raggio di una trentina di metri, proiettili di gomma alla velocità di circa 126 km/h. La pericolosità di queste armi la si è vista durante le manifestazioni dei gilets jaunes del 2018 e del 2019: trecento persone ferite gravemente alla testa, venticinque hanno perso in maniera permanente un occhio, cinque hanno subito l’amputazione di un arto. Anche se il numero resta imprecisato, si contano circa 2.000 feriti in totale.
L’incremento nell’uso di queste armi, rilevato anche dall’Inspection générale de la Police nationale, corrisponde ad un inasprimento della conflittualità sociale dovuto alla polarizzazione della società francese su basi razziali e di reddito, ma anche nella percezione della divisione tra cittadini e Stato. In parte ciò è dovuto anche alla gestione delle manifestazioni e delle zone à défendre (ZAD), come Sainte-Soline o Notre-Dame-des-Landes, caratterizzate da una radicata presenza di militanti che si oppongo allo sviluppo di determinati progetti per ragioni ambientali ed in cui il ricorso ai CRS e alla Gendarmerie mobile è militarizzato. Nel corso degli ultimi anni, inoltre, la polizia francese è stata coinvolta in alcuni scandali di violenze razziali come il caso di Théo Luhaka, arrivato in ospedale dopo un fermo di polizia con delle ferite al retto, provocate dall’inserimento di un manganello, che gli hanno provocato danni permanenti, e di Cédric Chouviat, morto nel 2020 per soffocamento – gli era stata applicata una manovra simile a quella che ha ucciso George Floyd, mentre gridava che stava soffocando. Al contempo, il contesto delle manifestazioni, come nel caso della Loi Travail del 2016, è diventato sempre più caratterizzato da scontri violenti.
La militarizzazione si è, inoltre, acuita anche come conseguenza delle iniziative prese per contrastare il crescente fenomeno del terrorismo in Europa. Nel 2015, per aumentare la capacità di pronto intervento in situazioni di crisi e di attacchi terroristici, venne riformato il RAID decidendo di unire i reparti GIPN al suo interno. Al contempo, nel quadro del Plan Vigipirate, venne lanciata l’Operation Sentinelle che prevede il dispiegamento del personale militare sul territorio nazionale per rinforzare la protezione dei luoghi sensibili agli attacchi terroristici. Nel 2017 venne approvata una legge per la riforma della polizia, contenente il contestato articolo 435-1 che renderebbe più facile alle forze dell’ordine il ricorso alle armi da fuoco nel caso del refus d’obtempérer – quello di cui era accusato Nahel. Tale facilitazione sarebbe dovuta alla creazione di una casistica per l’utilizzo delle armi e nell’allineamento del ricorso alla legittima difesa dei poliziotti a quella della Gendarmerie. Fino al 2017, infatti, in caso di uso delle armi da fuoco i poliziotti avrebbero dovuto affrontare un processo civile, a differenza dei gendarmi. La legge prevedeva, inoltre, lo sblocco di 250 milioni di euro devoluti all’acquisto di materiale – circa: 8000 caschi, 21700 gilet di protezione antiproiettili, 4730 scudi, 440 fucili d’assalto HK G36 – e alla modernizzazione dei locali. Nel 2019 vennero reintrodotti, nel contesto dei gilets jaunes, i reparti motorizzati ridenominati Brigades de répression des actions violentes motorisées (Brav-M) finiti al centro delle polemiche per la loro violenza in occasione delle manifestazioni contro la riforma delle pensioni.
Secondo il quotidiano Libération il polizotto che ha ucciso Nahel sarebbe un ex membro della Brav-M e del CSI. Nel 2020 venne presentata all’Assemblea Nazionale la Loi de sécurité globale, approvata nel 2021 tra numerose polemiche, dovute anche alla proposta di divieto di diffusione delle immagini dei poliziotti. Questa proposta venne abrogata per le forti opposizioni che generò, anche perché molti fecero notare che se fosse stata approvata casi come quello di Michel Zecler, un produttore musicale picchiato e insultato su base razziale dalla polizia all’interno del suo studio a Parigi nel 2020, non sarebbero mai venuti alla luce. La legge ha assegnato funzioni di polizia giudiziaria alla municipale e facilitato l’uso delle videocamere e dei droni nelle manifestazioni e ha previsto la creazione di una municipale a Parigi, nonostante l’opposizione della sindaca Anne Hidalgo. In previsione, inoltre, della coppa del mondo di rugby nel 2023 e delle Olimpiadi nel 2024 è stato approvato l’appalto a delle compagnie private per garantire la sicurezza.
L’incremento nell’uso di queste armi corrisponde all’inasprimento della conflittualità sociale dovuto alla polarizzazione della società francese su basi razziali e di reddito, ma anche nella percezione della divisione tra cittadini e Stato.
Tra violenza esercitata e forza paramilitare esiste una forte correlazione, anche perché come si è visto la militarizzazione comporta un mutamento nella percezione della realtà tra gli agenti e del rapporto tra istituzioni e cittadini. Secondo l’attuale governo il problema non sarebbe l’uso eccessivo e inappropriato della forza da parte della polizia, ma l’“ultra gauche” e i manifestanti faziosi con intenti pericolosi. Al contempo, secondo il già citato sondaggio Ifop solamente il 42% dei francesi avrebbe fiducia nella polizia. In tal senso, la militarizzazione non sarebbe la causa della polarizzazione e della conflittualità della società francese, ma una sua conseguenza che amplificherebbe la portata di questa crisi perché aumenterebbe la percezione del divario tra istituzioni e cittadini.
Il caso che ha coinvolto il BAC di Marsiglia a luglio è sicuramente un esempio di questo divario. A margine delle émeutes per la morte di Nahel, un giovane di ventuno anni, Hedi Iors – che non stava prendendo parte ai disordini – è stato stato colpito da un tiro ravvicinato di flash-ball e poi colpito a calci e manganellate da parte di alcuni agenti del BAC. Le percosse gli hanno provocato un ematoma celebrale, delle fratture, l’asportazione di una parte del cranio – lasciandolo deforme – e la probabile perdita della vista all’occhio sinistro. Per questi fatti tre agenti sono indagati e uno è stato messo in custodia cautelare, ma ciò ha provocato la reazione della polizia. Dopo che i sindacati di polizia hanno chiesto agli agenti di mettersi a servizio minimo in segno di protesta, da Marsiglia la protesta dei poliziotti si è rapidamente estesa a tutta la Francia. Frédéric Veaux, capo della Police nationale, ha incontrato i membri del BAC marsigliese e ha chiesto la scarcerazione dell’agente in custodia, sostenendo che saperlo in carcere gli “impedisce di dormire”. Il 27 luglio il ministro degli Interni Darmanin ha ricevuto i sindacati dei poliziotti e sembra che si sia dimostrato disposto a riflettere sulle detenzioni provvisorie degli agenti. Il caso, comunque, mostra quanto profonda sia la crisi che attraversa le forze dell’ordine e il rapporto che esse hanno con i cittadini e le altre istituzioni. Il rischio è che questa percezione di una realtà sociale avversa alimenti proprio la militarizzazione, anche perché gli agenti motivano il sostegno al BAC di Marsiglia sostenendo di trovarsi in un ambiente sempre più rischioso e privi del sostegno della popolazione.