L o scorso weekend ero in treno di ritorno dal mare, una gita domenicale per scappare dal caldo e per avere un assaggio di vacanze. La pelle secca dal sale e una focaccia nello zaino, scorro le foto sul cellulare per sceglierne una da pubblicare su Instagram e alla fine decido per un ombrellone a righe gialle e verdi su un cielo azzurrissimo. Escludo tutta la gente, i rumori, il fastidio appiccicoso di trovarsi su un fazzoletto di sabbia ritagliato tra i palazzi e il mare. Quell’ombrellone, solo e colorato su un cielo azzurro, diventa il simbolo del mare, dell’estate.
Penso allora a cosa significa mare in altri posti. In Portogallo, a bordo oceano, le spiagge non sono asciugamani stesi e abbronzatura, ma maree e spruzzi di onde. Sul mare del Nord sono quelle costruzioni di paglia che viste da lontano assomigliano a delle scatolette, e servono non a ripararsi dal sole ma dal vento. In Marocco sono delle barchette di pescatori bianche e blu. Il ritmo monotono del treno trasforma queste associazioni in un gioco, tendente sempre più allo stereotipo via via che penso a posti sempre più lontani.
Ma se nel nostro immaginario il mare è una sdraio e un ombrellone a strisce colorate, un motivo c’è. Insieme a Inghilterra e Francia, l’Italia è stata una delle prime nazioni in cui si è sviluppato un turismo balneare organizzato. È un fenomeno che inizia nel XVII secolo a partire dai centri termali, luoghi molto frequentati da aristocratici e nobili, che da località di cura si trasformano in simboli dello status sociale. La prima cittadina a puntare sul turismo termale è Bath, in Somerset: qui si sviluppano in parallelo le strutture dedicate alle cure termali e un progetto urbanistico che valorizzi l’architettura della città, con portici e piazze dove passeggiare e incontrare altri visitatori. Il modello ha un tale successo che viene imitato anche altrove, in particolar modo nelle località di mare che vantano un clima migliore. Nasce così il turismo estivo, che ai suoi albori è limitato quasi esclusivamente al Mare del Nord.
Il Mediterraneo è infatti ancora una meta riservata ai mesi invernali, dove i rampolli dell’aristocrazia europea trascorrono i mesi da ottobre a maggio. Tra gli anni ‘20 e ‘40 dell’Ottocento nascono i primi stabilimenti italiani, sul modello di quello inglese di Brighton e della francese Dieppe: con largo anticipo, gli apripista sono i Bagni Baretti a Livorno, inaugurati nel 1781, a cui seguono i primi stabilimenti a Viareggio nel 1828, Rimini nel 1843, Venezia nel 1857 e nel giro di qualche anno anche Alghero e Sanremo. L’introduzione della ferrovia rende più facili gli spostamenti e le villeggiature all’insegna di cure idrotermali e bagni di mare si diffondono anche al di fuori della cerchia aristocratica, coinvolgendo l’alta-borghesia. Lo scopo di questi soggiorni al mare è sempre prendersi cura della salute: su esempio dei medici d’oltremanica, il dottor Giannelli prescrive nel suo Manuale per i bagni di mare (1833) la talassoterapia come cura per le malattie polmonari e cardiocircolatorie, ma anche per respirare la “pura purissima aria di mare, che per sé sola è molto acconcia non tanto per prevenire, quanto per vincere alcune malattie”. A questo si accompagnano passeggiate sulla spiaggia o l’equitazione, per favorire la forma fisica in generale.
E se all’inizio il rapporto con il mare si concentra esclusivamente sul potere curativo dell’acqua (al punto che nel Settecento vengono progettate delle bathing machines, cabine su ruote trascinate in acqua da cavalli o facchini per consentire ai bagnanti di entrare direttamente in mare, senza passare dalla spiaggia), a poco a poco compaiono le prime strutture fisse o semifisse. A Viareggio vengono costruiti due piccoli stabilimenti (uno riservato alle donne e uno agli uomini) a poca distanza dalla riva, collegati alla spiaggia da un pontile e coperti da teli per proteggersi dal sole, ma soprattutto per rispetto della morale. A Trieste e Venezia sono progettati e realizzati dei bagni galleggianti, attraccati alle strutture dei porti e quindi movibili.
L’offerta si allarga quando le località balneari diventano un luogo di divertimento alla moda: bisogna prendersi cura dell’anima oltre che del corpo e le località marittime si attrezzano per assecondare questo spirito mondano. I Kursaal (“sale di cura”) sono sfarzosi edifici dove si gioca d’azzardo, si partecipa a serate danzanti, si passeggia e chiacchiera. Sulla costa italiana e francese sorgono dei casinò e anche le architetture diventano stravaganti: si spazia dallo stile gotico a quello classico degli stabilimenti termali, dal liberty allo stile esotico che ricorda le pagode orientali. Tutto concorre alla sensazione di trovarsi in un posto “altro”, dove le regole della mondanità cittadina si adattano ai salotti delle località balneari, con qualche libertà in più.
A inizio Novecento si è ormai sviluppato un vero rapporto con la spiaggia. Il soggiorno balneare non è più solo a portata dei ricchi, ma l’offerta si differenzia per rispondere alle diverse esigenze: il turismo internazionale e facoltoso sceglie gli hotel di lusso della costa ligure e amalfitana, la classe media si dirige sulla costa adriatica e tirrenica e infine nasce anche un turismo domenicale vicino alle città del sud, come il caso di Mondello a Palermo. La grandiosità degli edifici lascia spazio a stabilimenti più semplici e funzionali, simili a quelli di oggi. Compaiono le attrezzature per fare ombra: tende, pergolati e i primi ombrelloni.
L’Italia vanta più di 7000 chilometri di costa, disseminati da migliaia di stabilimenti balneari, chioschi, alberghi, villaggi turistici e campeggi con spiaggia attrezzata: un giro d’affari stimato intorno ai 2 miliardi di Euro.
Questa nuova attitudine raggiunge l’apice negli anni Trenta, complici gli ideali del fascismo, l’“organizzazione del tempo libero” e le politiche sociali che coinvolgono anche il ceto medio. I valori della prestanza fisica e della salute favoriscono la popolarità di sport come tennis e nuoto. Accanto alle attività ricreative dei Dopolavoro, il regime promuove la fondazione di colonie per i bambini e incentiva i soggiorni estivi al mare e in montagna, allargando l’idea di vacanza a una fascia della popolazione più ampia. La costa adriatica vive una stagione d’oro: Mussolini trascorre le sue vacanze estive a Riccione e Cattolica, e nascono centinaia di centri dove molti dei bambini che vedranno il mare per la prima volta in quell’occasione diventeranno poi i turisti più affezionati delle località balneari negli anni Cinquanta.
Nel dopoguerra e con il boom economico il turismo estivo è ormai un fenomeno di massa. Negli anni Sessanta il 40% delle famiglie può permettersi una vacanza e la spiaggia è la meta per eccellenza. Il turismo balneare conosce così una crescita costante, con un’impennata negli anni Ottanta che porta al raddoppiarsi delle strutture turistiche e a un passaggio da una conduzione famigliare a delle vere e proprie imprese. Il culto dell’abbronzatura e della forma fisica ben si sposa con la vacanza di mare, ma è soprattutto il valore dato ai servizi a fare la differenza. Nascono le balere che poi diventeranno discoteche, le offerte ludiche che poi si evolveranno nella scelta sempre più ampia tra noleggio di attrezzature sportive, campi da pallavolo, calcio e tennis, corsi di nuoto, windsurf, ginnastica, servizi di animazione e babysitter a mano a mano che la concorrenza si fa più forte.
Il tutto ammonta a un enorme giro d’affari. L’Italia vanta più di 7000 chilometri di costa, disseminati da migliaia di stabilimenti balneari, chioschi, alberghi, villaggi turistici e campeggi con spiaggia attrezzata. Proprio a causa di questa varietà nei servizi e nelle strutture, è difficile fornire una stima precisa: in un rapporto del 2002 si parla di circa 12.000 stabilimenti, includendo anche le spiagge degli hotel, e circa 11.000 concessioni autorizzate per scopi turistico-ricreativi. In un rapporto dell’anno scorso curato dai Verdi, invece, si parla di 25.000 concessioni demaniali, il doppio in quindici anni.
Lo stesso rapporto si concentra sul problema della cementificazione delle coste: tra alberghi, seconde case e infrastrutture di vario genere, i tratti di costa balneabile occupati da stabilimenti sono stimati al 27%. Le regioni in cui questa tendenza è più evidente sono quelle in cui il turismo balneare ha radici storiche più profonde: la Liguria (dove sono solo 19 i chilometri di spiaggia libera), l’Emilia Romagna (solo in provincia di Rimini ci sono più di 700 bagni privati) e il lido di Ostia, dove l’85% delle spiagge è occupato da stabilimenti. Una media più alta rispetto al resto d’Europa, a cui si aggiunge il fatto che le strutture sono fisse e articolate, quindi non rimovibili come in altri Paesi.
Sono numeri che spingono a porsi domande sull’impatto ambientale degli stabilimenti e sui ritorni economici per lo Stato. La concessione del diritto di demanio è al momento in una fase delicata. Gli stabilimenti balneari sono delle strutture tradizionalmente a conduzione famigliare e privata, che negli anni hanno rinnovato la concessione in modo pressoché automatico. Dal 2006, però, è entrata in vigore la direttiva Bolkenstein da parte dell’Unione Europea: questa misura prevede che il rinnovo delle cessioni demaniali avvenga tramite un bando e una gara pubblica. Dopo anni di proroghe e una sanzione dell’UE, dal 2020 verrà finalmente messa in atto. Una decisione che ha scatenato polemiche tra i gestori, che temono una guerra al ribasso sui prezzi, ma che serve a garantire la concorrenza. Al momento, comunque, questi prezzi non sono esorbitanti: spesso le spiagge sono date in gestione per canoni quasi simbolici, che si aggirano sui 500€ mensili. Secondo quanto dichiarato dal ministro Padoan, nel 2016 lo Stato ha incassato 103,2 milioni di Euro per l’uso demaniale marittimo, una cifra irrisoria a fronte di un giro d’affari che è stimato a 2 miliardi di Euro.
Nel 2016 l’82% degli italiani ha infatti scelto mete nazionali per le vacanze, Puglia ed Emilia Romagna le più gettonate. E anche quest’anno le prospettive sono buone: solo nel mese di luglio si stima un milione di turisti al giorno nelle località balneari, per oltre un miliardo e mezzo di incassi complessivi. Se il settore non teme stagnazioni, lo si deve anche all’abilità di gestori di adattare la loro offerta alle esigenze di un nuovo tipo di bagnanti. I Bagni Fiore a Santa Margherita Ligure, attivi dal 1927, storicamente si rivolgevano a una clientela di alto livello. “Inizialmente erano frequentati dall’élite locale, famiglie storiche, grossi possidenti, imprenditori e manager”, mi racconta telefonicamente il gestore. “Dagli anni 2000 anche gruppi di giovani hanno iniziato a frequentare la nostra struttura. Sono i giovani della Milano bene che spesso vengono per il weekend”. E poi c’è la connessione al Wi-Fi, attiva anche negli stabilimenti della Riviera Romagnola. Maurizio Pronti, gestore del Lido delle Sirene a Riccione, spiega che si sono dovuti adattare ai tempi, ma la chiave rimane sempre “spazi vivibili, un numero ragionevole di ombrelloni, campi da pallavolo per i ragazzi e un parco giochi recintato per i bambini”. A cui si aggiungono un’attrezzatura rinnovata e l’allestimento di pannelli solari per avere energia pulita. “Produciamo 6 kilowatt al giorno, che ci bastano per riscaldare l’acqua delle docce e non avere sprechi”. I servizi si aggiornano, ma l’ombrellone a righe è ancora il simbolo dell’estate italiana.