A lle otto del mattino, quando la grande città indiana si è ormai svegliata da un pezzo e il traffico comincia a diventare insopportabile, anche la piccola strada laterale di Royd Street inizia la sua quotidiana e trafficata vita urbana in uno dei quartieri musulmani di Calcutta. Royd Street e Park Street hanno una particolarità che le rende speciali. Non sono i ristoranti e i grandi alberghi affacciati sulle arterie laterali, né le luci delle vie dello shopping e nemmeno una vecchia Guest House rifugio di viaggiatori sacco-in-spalla. In questo quartiere abitato da famiglie musulmane c’è infatti una scuola ebraica.
Il cartello, al numero 65 di Park Street o nella parallela Royd Street – vie che racchiudono un vasto edificio – è inequivocabile: Jewish Girls’ School. La curiosità inizia però a diventare stupore quando arrivano le prime ragazze: scendono dai risciò, dalle biciclette o dai motorini accompagnate da padri e fratelli ma assai più spesso dalle madri, tutte rigorosamente velate. Alcune addirittura col niqab, il velo islamico che copre tutto il corpo.
India, il terzo Paese musulmano al mondo
Benché la società indiana non sia esattamente un modello di perfetta convivenza – nel passato anche recente ha visto pogrom anti-musulmani con numerose vittime – in India vive la più grossa minoranza musulmana del mondo – 200 milioni di persone, circa il 12% del totale della popolazione – che fa dell’India il terzo paese musulmano al mondo dopo Indonesia e Pakistan. Che nei quartieri musulmani si trovi qualche isolato mandir indù o qualche vicina chiesa cattolica non è eccezionale. E forse nemmeno che una scuola ebraica o una sinagoga (a Calcutta ce ne sono tre) si trovino a pochi isolati da una moschea. Ma che una scuola ebraica sia frequentata da giovani ragazze musulmane è davvero singolare. È anche, una volta tanto, una buona notizia se si richiama alla memoria quanto avviene ogni giorno in Medio Oriente, in Israele, nei Territori occupati, a Gaza.
Restano solo le vestigia dell’epoca splendente della comunità ebraica di Calcutta: la scuola di Park Street è tra queste, assieme ai luoghi di culto.
Come spiega a Il Tascabile Jo Cohen, un’ebrea le cui radici familiari si perdono nella notte dei tempi, dirigente della singolarissima scuola di Calcutta: “Si ritiene che i primi ebrei in India, si siano stabiliti sulla costa del Malabar intorno alla metà del IX secolo A.C. – cioè circa 2.800 anni fa. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata moltissima”. Jo ci riceve col signor Elisha Twena – un altro dei responsabili dell’Istituto – e un immancabile tè al latte. Sorridono della curiosità di questo visitatore europeo cui l’immagine di una possibile convivenza pacifica tra ebrei e musulmani ha procurato un po’ di sconcerto. Ci portano in giro per l’istituto, un grande edificio in stile razionalista. Nella guardiola dove stanno i custodi, un vecchio signore che dev’essere il responsabile della guardiania ha appuntata al petto una stella di David. Jo ci accompagna nelle aule dove si alternano bambine di tutte le età, dai 6 ai 17 anni. Ce ne sono di più o meno velate. E anche le insegnanti hanno un’aria molto locale.
La convivenza è un dato di fatto, ma è stata la contingenza a fare della Jewish Girls’ School una scuola aperta anche a chi pratica altre fedi. Nel caso specifico i musulmani, visto il quartiere dove si trova la scuola (che costa tra l’altro meno di un terzo rispetto ad altri college privati che possono arrivare a cinquemila rupie al mese ossia oltre 60 euro, che in India non è poco). “La comunità ebraica di Calcutta si conta oggi sulle dita di una mano… e siamo tutti anziani. La scuola – dice Cohen – rischiava quindi di chiudere e così l’abbiamo aperta anche ai non ebrei. Il risultato è che oggi abbiamo 1.500 alunne”.
I primi ebrei dell’India
“I primi ebrei a stabilirsi sulle coste indiane furono i commercianti provenienti da Baghdad, dall’Iran e dalla Siria” continua Cohen nel suo racconto delle origini. “E alla fine del 1700, comunità ebraiche si contavano a Mumbai (Bombay), Puna, Ahmedabad e Karachi. La comunità ebraica di Calcutta, mai molto numerosa, era stimata al suo apice, subito dopo la seconda guerra mondiale, in circa 5.000 persone. Un gruppo relativamente ristretto che ha comunque svolto un ruolo non trascurabile nella vita della città diventando parte integrante della storia culturale di Calcutta e di tutto il paese”. Una storia che inizia alla fine del XVIII secolo: “Il primo ebreo che si stabilisce a Calcutta arriva nell’agosto 1798. È di Aleppo e il suo nome completo è Shalom ben Aaron ben Obadiah Ha-Cohen, abbreviato in Shalom Cohen. Per rispettare le leggi sulla dieta ebraica” – continua Jo – “un prospero commerciante non viaggiava mai da solo: era accompagnato da un shohet, ossia un esperto del rituale della macellazione di animali, un cuoco per preparare correttamente i pasti e almeno un servitore personale. Spesso anche gli scribi e gli insegnanti di diritto ebraico facevano parte di questo entourage, poiché gli ebrei facevano attenzione a non perdere il contatto con la loro religione e a osservare tutte le sue regole, non importa dove si trovassero”.
Cohen è un commerciante benestante: esporta seta del Bengala, mussola di Dacca, pepe e spezie, indaco, salnitro, pietre preziose, oro e argento, riso e caffè. I contatti con l’élite politico-religiosa sono buoni e Shalom Cohen diventa gioielliere di corte del Maharaja Ranjit Singh, uno dei grandi protagonisti della storia indiana, ma anche del Visir Ghazi-ud-din Haider di Oudh. Ranjit Singh, che possedeva il mitico diamante Koh-i-noor. Il visir chiese quindi a Shalom Cohen di valutarlo ma l’esperto commerciante scosse la testa: “Non ha alcun valore” disse al Maraja colto da stupore e rabbia. Un gioiello così, gli spiega Cohen, è inestimabile perché il suo valore è talmente grande che può solo essere dato in dono o prelevato dal suo proprietario con la forza. Ma dell’epoca splendente della comunità ebraica di Calcutta restano ormai solo le vestigia: la scuola di Park Street è tra queste, assieme ai luoghi di culto.
La scuola, la sinagoga, la comunità
“Inizialmente gli ebrei di Calcutta pregavano a casa di Shalom Cohen, mentre una seconda sala di preghiera” racconta ancora Jo “era situata in una casa in affitto. Nel 1825 fu consacrata la prima sinagoga, Neveh Shalom, edificio in seguito smantellato per lasciare spazio alla costruzione della Sinagoga di Magen David. Accanto a Magen David c’è ancora un altro tempio, di poco precedente, Beth-El ma è Magen David a essere considerata come la più grande e magnifica sinagoga d’Oriente. Entrambe hanno lo status di Heritage Building, il che significa che mentre la proprietà delle sinagoghe rimane alla comunità ebraica, la Società Archeologica dell’India ne è responsabile per la manutenzione e la sicurezza”, che in effetti è eccellente. Entrando a Magen David, lasciandosi alle spalla la calca e il caldo della strada, si accede a un’oasi di pace. Il custode Rabul la apre su richiesta del visitatore e senza chiedere una rupia. I pavimenti sono lucidi come specchi e alle pareti c’è una lunga teoria di fotografie d’epoca e di lastre di marmo che ricorda chi ha sostenuto e finanziato i lavori o chi, come Golda Meir, la Lady di ferro d’Israele e la prima premier donna del Paese, l’ha visitata.
La maggior parte degli ebrei rimasti a Calcutta sono ora gli ultimi rappresentanti di famiglie una volta numerose, la maggior parte delle quali è emigrata.
La scuola di Park Street nasce nel 1881 con l’obiettivo di fornire un’educazione anche religiosa accanto ai programmi scolastici dell’India britannica. Comincia con diciotto alunni, e nel giro di un anno supera i cento. Si trasferisce tra Park e Royd Street negli anni Cinquanta, dopo la Partition del 1947, quando l’India diventa indipendente. È quello il momento in cui le cose cambiano.
La diaspora si riduce
“La nascita di Israele dopo la seconda guerra mondiale determinò un cambiamento nel carattere esclusivamente ebraico delle nostre scuole. Si assiste infatti a un’emigrazione di massa, sia per la nascita di Israele, sia perché la nuova India non sembra garantire come prima le proprietà dei non indù. L’emigrazione di massa riduce considerevolmente il numero di alunni ebrei ed è allora che le autorità scolastiche decidono di ammettere studenti non ebrei. Al momento – dice Cohen – non esiste un solo studente ebreo o personale ebreo in tutta la scuola. Ma la Jewish Girls’ School ammette chiunque, indipendentemente dalla casta o dal credo”.
La maggior parte degli ebrei rimasti a Calcutta sono ora gli ultimi rappresentanti di famiglie una volta numerose, la maggior parte delle quali è emigrata. Diversi membri della comunità hanno più di ottant’anni: “Siamo fortunati ad avere fondi fiduciari stabiliti da membri benestanti della comunità molti anni fa, e il reddito da interessi di quei fondi è usato per far fronte alle spese di coloro che non hanno denaro” sorride Jo sorseggiando la sua tazza di tè. L’eredità della scuola ebraica di Calcutta non è andata perduta. E forse, senza neppure volerlo, è diventata un segno di speranza e un modello di convivenza.