N el 1977, la scrittrice Susan Sontag intreccia coi direttori della rivista Libre (un periodico in lingua spagnola, di stampo marxista, edito in quegli anni a Parigi), un lungo carteggio che la porta a confrontarsi intorno a molte tematiche, tra cui il privilegio maschile, il potere e l’oppressione millenaria subita dalle donne. Secondo la studiosa, il ruolo subalterno incarnato dal genere femminile è radicato all’interno dell’istituzione familiare che, nonostante le trasformazioni subite con l’avvento della rivoluzione industriale, continua a operare in senso ideologico al mantenimento della loro sottomissione. Scrive, a riguardo in Sulle donne: “La famiglia ‘nucleare’ è un disastro psicologico e morale. È una prigione di repressione sessuale, il terreno di gioco di un incoerente lassismo morale, un museo di possessività, una fabbrica di sensi di colpa, e una scuola di egoismo”.
Sono passati quasi cinquant’anni dalle parole di Sontag e la riflessione intorno alle possibili trasformazioni della famiglia resta attuale. In prospettiva femminista, il dibattito recente si è concentrato soprattutto sulla decostruzione dei prerequisiti che ne costituiscono il fondamento: l’eterosessualità e la monogamia. Se, nel nostro Paese, alla prima viene concessa qualche deroga ‒ è possibile infatti formalizzare le relazioni omosessuali, anche se ciò non garantisce ai contraenti il medesimo riconoscimento sul piano simbolico e l’esercizio di alcuni diritti ‒ la monogamia resta una condizione imprescindibile. Nel suo Per una rivoluzione degli affetti (2022), l’attivista e scrittrice Brigitte Vasallo sottolinea come la monogamia sia diventata progressivamente un sinonimo di amore, a sua volta declinato nell’accezione di “amore romantico”, di coppia e in definitiva di naturalità del rapporto affettivo. Per la società, cioè, non si sta insieme se non si è coinvolti in un legame con una e una sola persona, se tra le due non c’è amore reciproco, se il legame non lascia aperta una eventuale finalità riproduttiva.
La decostruzione in seno al movimento transfemminsta portata avanti in questi ultimi decenni si è rivelata indispensabile alla riflessione sulle logiche attraverso cui fondiamo i legami affettivi, tuttavia rivela alcuni nervi scoperti. Anche le alternative alla famiglia tradizionale, cioè, non sembrano in grado di fuoriuscire dalla cornice offerta dal sentimento amoroso. Si tratta ovviamente di un sentimento profondamente diverso da quello incarnano dalla famiglia intesa in senso istituzionale; tuttavia, è sempre l’amore a costituire ancora il collante della relazione, a prescindere dai soggetti che coinvolge.
Per immaginare alternative al modello familista è necessario partire dall’immaginario su cui fondiamo i nostri legami.
Nel suo 3. Un’aspirazione al fuori (2024), il filosofo Geoffroy de Lagasnerie propone un’alternativa basata sul sentimento dell’amicizia. Come molti autori e autrici prima di lui, de Lagasnerie prova a estrapolare, a partire dalla propria esperienza personale ‒ da anni infatti ha intrecciato una relazione che coinvolge il sociologo Didier Eribon e lo scrittore Édouard Louis ‒ una serie di elementi che possono essere utilizzati per cominciare a immaginare alternative.
Per farlo è necessario partire, ancora prima che dagli aspetti giuridici, dall’immaginario su cui fondiamo i nostri legami. È proprio l’autore, nel confronto diretto che ho avuto con lui, a sottolineare come i rapporti interpersonali siano concepiti, socialmente, come categorie distinte e gerarchizzate: “l’amicizia è quasi sempre relegata alla giovinezza, in opposizione alla quale si definisce la vita adulta ‒ la vita seria, la vita vera”. L’amore romantico, mito intorno a cui si costruisce gran parte dell’educazione affettiva, soprattutto del genere femminile, è il vertice di una piramide che la società ci invita a raggiungere anche grazie a prodotti culturali ‒ film, canzoni, serie tv ‒ che lo descrivono come una condizione desiderabile, indispensabile alla propria realizzazione personale. D’altro canto, anche l’amicizia è soggetta a molti stereotipi, come quello che la descrive tanto più sincera quanto più disinteressata agli aspetti materiali e contingenti del rapporto.
L’aspirazione al fuori, a uscire dagli stereotipi che imbrigliano il nostro stare nel mondo, evidente nella riflessione di de Lagasnerie fin dal titolo, prevede necessariamente l’esigenza di abbandonare questi immaginari, senza cadere nella trappola di riformularli. Il rischio, in questo caso, sarebbe infatti quello di cambiare le parole senza modificare nulla del loro significato. Scrive l’autore che “un concatenamento amicale non è mai una ‘famiglia alternativa’ […] ma un’antifamiglia”. È un punto importante, questo, perché sottolinea come il centro del cambiamento auspicato risieda soprattutto nello smantellamento delle logiche di potere soggiacenti ai sentimenti. Sottolinea l’autore nella nostra conversazione: “Si tratta di ragionare sul modo in cui le vite amicali si incontrano e si scontrano con il potere famigliare e il familismo. Se pensiamo in questi termini, se partiamo dall’opposizione tra amicizia e potere famigliare, ci rendiamo conto che l’ordine famigliare molto spesso è attivato, promosso e imposto sia dagli uomini che dalle donne”.
Se è vero, come ricordava Sontag negli anni Settanta, che la famiglia è andata via via riducendosi numericamente per finire confinata dentro spazi vitali limitati, ciò non significa che abbia rinunciato all’esercizio di un certo potere che si manifesta nell’apparente complementarità dei ruoli assegnati ai partner. La complementarità non è altro che la facciata presentabile di un dominio che porta i soggetti a ordinarsi gerarchicamente non solo dentro l’ambiente domestico ma anche fuori, nel contesto sociale più ampio. “Nella cronologia della vita umana la famiglia è la prima, e psicologicamente la più irrefutabile, scuola di sessismo” scrive Sontag. È proprio dentro questo spazio che impariamo le regole ‒ “naturali” pertanto “normali” ‒ dell’amore, declinate secondo i generi, perché è qui che crediamo di vederlo all’opera nella sua forma più pura.
Secondo de Lagasnerie, un concatenamento amicale non è mai una famiglia alternativa ma un’antifamiglia.
Uscire dal potere agito dentro i confini della famiglia, però, implica anche la necessità di istituire nuovi spazi, autenticamente liberi. L’ambiente privato offerto dalla famiglia, cioè, non è detto possa fornire un antidoto alla costruzione di rapporti alienati in cui ci imbattiamo a causa di una società orientata al profitto e all’impoverimento dell’identità personale, se essa non si allinea alle sue esigenze. Secondo de Lagasnerie, anche lo spazio privato offerto dalla famiglia non è esente da questo rischio perché ci obbliga, per poter essere presi sul serio, a fissare la nostra identità a una manciata di ruoli, necessari più al mantenimento dell’istituzione che al nostro benessere.
“L’amicizia e l’amore funzionano in modo opposto ‒ afferma ancora de Lagasnerie ‒ e da un punto di vista etico e intimo sarebbe più interessante vivere l’amore e la famiglia sul modello dell’amicizia, che non il contrario. Di conseguenza, fare dell’amicizia un modello per vivere e costruire in maniera differente le nostre relazioni sociali”. Cambiare approccio, però, apre a un problema filosofico ed esistenziale da non sottovalutare: l’incertezza. I rapporti affettivi che godono di riconoscibilità sociale tendono a essere più stabili in ragione dell’istituzionalizzazione a cui è soggetto il legame stesso (basti pensare al matrimonio, a quanto è facile suggellarlo e a quanto può essere difficile rescinderlo). L’amicizia, al contrario, sostiene la trasformazione personale e pertanto è aperta alla perdita, che subentra quando quella relazione perde ad esempio l’aspirazione comune che l’aveva originata.
“Fare dell’amicizia una cultura, uno stile di vita, richiede un’etica e una trasformazione del soggetto”, scrive ancora l’autore. Leggendo queste parole non ho potuto esimermi dal chiedergli se ravvisasse nella sua prospettiva qualche elemento proprio dei femminismi. Mi ha risposto così: “direi che la questione della critica al familismo è relativamente indipendente dal femminismo. Il familismo è un potere specifico. E i suoi agenti possono essere sia uomini sia donne”.
Concordo ovviamente nel ritenere tutte le soggettività possibilmente a rischio di agire condotte sessiste e discriminatorie: vivere in una società in cui il potere è funzionale all’oppressione di un genere rispetto all’altro non mette chi lo subisce automaticamente in una posizione esente dal riprodurre quelle stesse logiche di dominio su altre persone ancora più deboli. Tuttavia, mi è difficile immaginare le suggestioni offerte dal filosofo francese fuori dalla cornice offerta dai femminismi. In molti dei suoi scritti, bell hooks sosteneva che il femminismo fosse “uno spazio di trasformazione radicale” capace di agire un moto perpetuo dal singolo verso la collettività, e viceversa. Se, come suggerisce de Lagasnerie, cambiare il nostro modo di vivere implica commettere un atto eretico, “capace di sfidare le leggi del riconoscimento sociale”, è solo dentro i femminismi che può trovare terreno fertile.