I l 1 aprile Novaja Gazeta pubblica l’articolo Delitto d’onore (Ubijstvo česti), una scomoda inchiesta che suscita subito grande scandalo a livello internazionale. Si parla di oltre un centinaio di arresti, violenze, persecuzioni nei confronti di omosessuali, o presunti tali, avvenuti all’interno di “prigioni segrete” (ufficiose, non riconosciute, illegali) in Cecenia. Risultano anche alcuni morti. Le indagini di Novaja Gazeta vanno avanti da metà marzo. La redazione di Elena Milašina aveva deciso di approfondire le ricerche, dopo aver scoperto degli aspetti non chiari in merito alla morte di un noto presentatore televisivo ceceno. Ricerche che non si concludono con l’articolo del 1 aprile. Per tutto il mese si continuano a raccogliere e ricevere racconti, particolari, dettagli; il numero delle “prigioni segrete” sale a sei. Ospitano non solo chi è accusato di “orientamenti sessuali non tradizionali”, ma anche sospettati di estremismo e spacciatori; le vittime di queste esecuzioni extra-giudiziarie passano da tre a ventisei. Anche in seguito alle pressioni internazionali – come quella del Consiglio d’Europa, che già il 5 aprile invocava l’apertura di un caso al più presto – sono ora al vaglio del Comitato investigativo tutte le informazioni raccolte da Novaja Gazeta. “Di una cosa siamo certi: se le indagini porteranno a un processo la condanna avrà toni sensazionali e al banco degli imputati verranno chiamati molti membri del potere ceceno”, scrive Milašina, che si dice fiduciosa nei confronti del capo delle investigazioni Sobol’.
L’inchiesta di Novaja Gazeta non ha particolarmente turbato le autorità cecene, abituate a denunce continue da parte di giornalisti e attivisti. Tuttavia, questa volta la cassa di risonanza della notizia costringe anche la Cecenia di Kadyrov a cambiare l’impostazione abituale: le notizie dalla repubblica caucasica, che in genere muovono le acque momentaneamente per poi finire metabolizzate nella grande narrazione standard che Groznyj ha nell’immaginario della Federazione, questa volta sono sconfinate in un terreno diverso, nuovo, più ampio, che mette in crisi Mosca stessa.
La Cecenia è sempre la pista preferita per i piccoli e grandi delitti russi. La pista preferita, in quanto è la più semplice, vendibile ed assimilabile. Un copione sempre fruibile, disponibile, che non serve riattivare, perché è sempre in qualche modo attivo, alimentato internamente ed esternamente. Un copione che, tuttavia, può rivolgersi contro chi lo ha scritto.
L’inchiesta di Novaja Gazeta ha esposto un numero di ‘prigioni segrete’ che ospitano non solo chi è accusato di ‘orientamenti sessuali non tradizionali’, ma anche sospettati di estremismo e spacciatori.
Per capire il sistema-Kadyrov bisogna inserire il personaggio nella lotta senza quartiere contro il terrorismo islamista di cui Putin ha fatto il proprio cavallo di battaglia. Solitamente, in Russia terrorismo fa rima con Cecenia. In alcuni eventi tragici che hanno piagato la Russia, come l’attacco al Teatro Dubrovka nel 2002 o l’eccidio della scuola di Beslan nel 2004, Putin ha esposto con chiarezza la propria linea: non si tratta con i terroristi. Ramzan Kadyrov, quindi, è l’uomo giusto al posto giusto.
Appassionato di calcio, Kadyrov è un personaggio sanguinario quanto istrionico. Imprevedibile, come quando nel 2016 annuncia il suo addio alla politica, per poi rimangiarsi tutto e tornare in pompa magna, lanciando un reality show per scegliere un nuovo membro del governo. Nonostante le continue intemperanze e l’imprevedibilità del soggetto, Kadyrov a Mosca fa comodo. Reprime con il pugno duro e il piglio autoritario le pulsioni islamiste della regione.
Il fedele Ramzan, infatti, negli ultimi dieci anni a capo della repubblica cecena ha fatto il gioco che il Cremlino, forse ingenuamente, ha voluto, o lasciato, che facesse. Ha instaurato nella repubblica quello che l’associazione Memorial nel 2016 ha definito “stato totalitario”. Attraverso un culto della personalità di stampo sovietico-mafioso, Kadyrov ha fatto della sua persona il modello per ogni campo della vita sociale e privata, dalla politica, alla religione, alla famiglia, diventando di fatto l’unica “legge” riconosciuta in Cecenia. Il controllo pressoché totale dei media (social network compresi) e una pratica capillare di eliminazione del dissenso – attraverso intimidazioni, arresti, persecuzioni, omicidi più e meno taciuti – garantiscono la stabilità della sua amministrazione. Tuttavia, se a Groznyj è sempre arrivata carta bianca dal Cremlino finora, negli ultimi tempi la musica sembra essere cambiata.
Human Rights Watch individua l’inizio di questi cambio di atteggiamento nel 2014, quando sono stati effettuati i primi attacchi diretti alle sedi delle organizzazioni russe per la difesa dei diritti umani con base in Cecenia (in particolare alla SMG, Svodnaja Mobil’naja Gruppa, che dal 2016 ha chiuso definitivamente gli uffici nella repubblica). Allo stesso tempo è andata diffondendosi tra i media ceceni una campagna a tratti apertamente palese di contrasto e discredito degli attivisti e delle ONG per i diritti umani. È aumentata la pressione non solo sulle associazioni, ma anche sui singoli e sulle loro vite private; ogni critica o espressione di malcontento possono tradursi in ricatti, sparizioni, umiliazioni pubbliche, violenze di vario ordine – questo dossier di Human Rights Watch riporta un elenco di alcuni dei casi più eclatanti. Tali notizie a Mosca non sono passate inosservate.
Attraverso un culto della personalità di stampo sovietico-mafioso, Kadyrov ha fatto della sua persona il modello per ogni campo della vita sociale e privata, dalla politica, alla religione, alla famiglia.
Nei giorni seguenti la pubblicazione dell’inchiesta non sono mancate varie dichiarazioni, piuttosto preoccupanti, arrivate da Kadyrov e dal suo entourage. Il ritornello di tutte le affermazioni è stato: “in Cecenia omosessuali non esistono”. Ogni informazione riportata non corrisponderebbe a verità. Alle esternazioni generiche hanno fatto seguito minacce specifiche, come quelle espresse nella moschea di Groznyj in presenza di 15.ooo persone il 3 aprile, dove il consigliere di Kadyrov Adam Šachidov ha accusato Novaja Gazeta di diffamazione e di essere un aperto “nemico della nostra fede e la nostra patria”. O le lettere contenenti polveri bianche ricevute dalla redazione. Affermazioni e avvenimenti preoccupanti quindi, in primis perché sembrano implicitamente giustificare l’accaduto.
Il 19 aprile Kadyrov è stato convocato da Putin a dare la sua versione dei fatti riguardo la repressione degli “azzurri” (golubye), il dispregiativo per “gay” in russo. Kadyrov sembra aver detto: “Delle ‘brave persone’ scrivono che da noi… no, persino parlarne è sconveniente. Hanno anche fatto un certo nome [non è stato riportato, NdT], hanno detto che è stato ucciso, mentre invece questo è vivo, a casa”. È proprio con tale affermazione che il capo della repubblica cecena si è tradito: come ha commentato la stessa Milašina, i nomi delle vittime e degli arrestati non sono mai stati resi noti. Il fatto che l’uomo menzionato da Kadyrov rientri effettivamente nella lista sottolinea come l’amministrazione cecena sia in realtà ben a conoscenza delle violenze perpetrate. Queste violenze non sono falle di un sistema; sono il sistema.
Un altro punto su cui insistono le autorità cecene è l’assenza di denunce di queste violenze da parte dei singoli pervenute agli organi di competenza. Se ci fosse davvero questa repressione, dicono, perché nessuno si sarebbe rivolto alle autorità? Tuttavia, la domanda è abbastanza capziosa. Non è un caso che Novaja Gazeta abbia optato per il titolo Delitto d’onore: onore, dignità, rispetto rientrano tutte nel campo semantico imprescindibile dell’idea di famiglia che Kadyrov e il suo milieu diffondono, sostengono, impongono. Sono valori legati alla tradizione, all’adat (il “codice consuetudinario” ceceno), connessi a quel nazionalismo autoctono che è il perno dell’impianto ideologico di Kadyrov. Tutto ciò che si presenta come diverso, altro, discordante diventa una macchia insostenibile, un’onta, un disonore per la famiglia o la società intera, a seconda dei livelli. Non ha senso in tale dimensione cercare riparo, difesa o comprensione in quelli stessi organi burocratici che sono diretta emanazione del potere che produce questo discorso. Se ne guadagnerebbe solamente ulteriore umiliazione; è un sistema che prevede l’impunità del colpevole. Essere gay in Cecenia è un’infamia, uno stigma sociale, di fatto un reato. Nessuno lo dichiarerebbe alle autorità, nemmeno dopo esser stato torturato.
Essere gay in Cecenia è un’infamia, uno stigma sociale, di fatto un reato. Nessuno lo dichiarerebbe alle autorità, nemmeno dopo esser stato torturato.
La situazione cecena si inserisce nel più vasto contesto di discriminazione delle minoranze sessuali che si registra in Russia, in parte come eredità del periodo sovietico, in parte come nuova narrazione dell’era post-sovietica. Nel 1993 l’omosessualità (muželožestvo, secondo la terminologia degli anni Trenta) viene decriminalizzata. Dal 1934 veniva punita infatti con reclusione in gulag e cliniche psichiatriche, stesso trattamento per donne e uomini. Nel 1999 il Ministero della Salute la cancella dalla lista delle patologie cliniche. Tuttavia, esistono tuttora medici che si vantano di poter curare questa “malattia”. Dal 2006, a partire dall’oblast’ di Rjazan’, cominciano a essere introdotte leggi che vietano l’utilizzo di espressioni, immagini o altro materiale che facciano riferimento all’omosessualità; nel 2013 Putin sigla la legge federale contro la propaganda degli “orientamenti sessuali non tradizionali”, nonostante critiche internazionali come quella della Commissione UE di Venezia. Il presidente russo arriva addirittura a giustificare il provvedimento come “lotta al calo demografico” e, in altra sede, non ha mancato di presentare le pratiche omosessuali come “interferenze ideologiche occidentali”. La discriminazione sessuale non è un reato contemplato dai Codici russi e pertanto non esistono stime, dati, statistiche ufficiali sulle violenze contro le minoranze. Benché in maniera meno visibile, l’impianto ideologico putiniano segue una linea affine a quello di Kadyrov, puntando a sua volta sui “valori della tradizione”, sulla famiglia, la religione, la subordinazione al potere.
In questo contesto, le reti LGBT e le associazioni in difesa dei diritti umani russe hanno poca libertà di azione e riescono ad interagire solo con un numero limitatissimo di persone. Le hot line che sono state aperte in Cecenia nell’ultimo mese hanno aiutato a lasciare la repubblica oltre 30 delle circa 75 persone che si erano rivolte a loro. La cassa di risonanza che le inchieste giornalistiche di Novaja Gazeta, la testata che fu di Anna Politkovskaja, e l’organizzazione Memorial, per cui lavorava Natal’ja Estemirova, permettono almeno di tenere alta l’attenzione su queste minoranze invisibili. Ancora una volta una donna, Elena Milašina, ha guardato dentro l’oscuro vaso ceceno. Come sottolineava il Guardian in occasione del decennale dalla morte della Politkovskaja, in Russia continuano a essere soprattutto le donne a portare avanti il vero giornalismo d’inchiesta, quello scomodo, quello che non ha paura di sfidare i taboo imposti dall’alto.