R adio Radicale non nacque per essere la radio del Partito Radicale, quanto piuttosto per tentare di dimostrare concretamente, attraverso un’opera da realizzare, come i Radicali intendono l’informazione di servizio pubblico”. Questo il giudizio di Massimo Bordin, per vent’anni direttore dell’emittente, scomparso il 17 aprile 2019, proprio nel momento in cui Radio Radicale affronta la sua battaglia più dura, stante la decisione del governo di cancellare i finanziamenti per la trasmissione dei lavori parlamentari.
Radio Radicale è stata la prima e per anni l’unica talk radio politica nazionale italiana. Sulle note del Requiem di Mozart, scelto per ricordare le vittime della fame nel mondo, e accompagnata quotidianamente in vita e in morte da almeno un’ora di parole del suo carismatico fondatore Marco Pannella, Radio Radicale ha accompagnato più di una generazione di cittadini alla scoperta della politica e delle istituzioni. “Fuori e dentro il palazzo”, come dice uno dei suoi motti.
Una storia lunga 43 anni
La prima trasmissione è andata in onda il 26 febbraio 1976. La radio trasmetteva in modulazione di frequenza a Roma. Poco dopo nascono altre tre stazioni a Torino, Firenze e Napoli. Si tratta di canali autonomi, animati dalle sezioni del Partito Radicale cittadine. Sono i mesi in cui comincia la campagna elettorale per le elezioni politiche forse più combattute, dopo quelle del ’48. Il Partito Comunista era in crescita e sperava nel sorpasso della DC. Il Partito Radicale, nato nel 1955 dall’ala sinistra del Partito Liberale, e che Marco Pannella guidava ormai da un decennio, con la massima di fare politica “solo sui marciapiedi”, aveva deciso di presentarsi alle politiche, per entrare in Parlamento. Quella di fondare una radio e non un giornale è una scelta precisa e molto eccentrica. Probabilmente il passo si lega appunto alla volontà di Pannella di instaurare un colloquio diretto anche con gli strati meno acculturati della popolazione.
Alla fine DC e PCI si divisero quasi l’80% dei voti, tanto che decisero di trovare un accordo, per affrontare non più da nemici le grandi emergenze del momento: il terrorismo e la crisi economica. I Radicali lamentarono di essere poco presenti in televisione, come del resto era per tutte le forze non ancora rappresentate in Parlamento, ma riuscirono, anche grazie alla radio, ad eleggere quattro deputati. Nella circoscrizione di Roma, il PR superò la soglia per 400 voti e, a detta degli esperti, questo fu determinato dalla diretta di 48 ore consecutive, in cui si impegnò Pannella, rispondendo con pazienza a tutti gli ascoltatori.
Radio Radicale è stata la prima e per anni l’unica talk radio politica nazionale italiana.
Il 1976 è l’anno delle cosiddette radio libere. Dopo la sentenza della Consulta del ’75, che consente la diffusione radiotelevisiva locale via etere, migliaia di italiani trasformano i loro appartamenti in studi radio, per dar voce a quelle pulsioni della società che la RAI, come gli altri servizi pubblici nazionali, considera estreme e incontrollabili. Sono soprattutto radio musicali, tecnicamente “di flusso”, cioè emittenti che trasmettono per 24 ore di fila un unico flusso sonoro, di solito incentrato sulla musica che piace ai giovani. I conduttori parlano come persone comuni, senza voce impostata e senza censure, di musica, sport, tendenze, amore e magari anche sesso. Quello che manca è la politica, che pure è il pane quotidiano dell’Italia di quegli anni, in cui, come diceva Giorgio Gaber, “qualcuno era comunista, perché il cinema lo esigeva, la letteratura lo esigeva, il teatro lo esigeva, insomma lo esigevano tutti”.
Nascono alcune radio locali legate ai movimenti politici di protesta, ma Radio Radicale, grazie ai suoi quattro deputati, ha una marcia in più. Marco Pannella alza il telefono che ogni parlamentare ha sul proprio banco, compone il numero di Radio Radicale di Roma, che allora aveva sede in via di Villa Pamphili, e manda in onda i lavori d’aula delle sedute dedicate ai temi più sentiti dall’opinione pubblica: i poteri delle forze dell’ordine, le informative dei ministri sugli attentati, la regolamentazione dell’aborto. Con mezzi di fortuna, la radio inizia poi a trasmettere i congressi dei partiti, le conferenze stampa dei politici, le udienze processuali.
La svolta arriva nel ’79, quando il Partito Radicale decide di creare una rete nazionale, fondendo le quattro radio locali e acquistando frequenze su tutto il territorio. L’uomo a cui si deve in concreto la nascita della radio è l’ingegner Paolo Vigevano, militante radicale e appunto esperto di radiotrasmissioni. Trasmissioni istituzionali e in spazi diversi appelli alla mobilitazione civile diventano le due missioni di Radio Radicale. I fatti separati dalle opinioni, in modo che l’ascolto dei fatti possa interessare anche chi la pensa diversamente dai radicali. Il motto di Radio Radicale è “Conoscere per deliberare”, una celebre frase dell’economista Luigi Einaudi, già governatore della Banca d’Italia e Presidente della Repubblica, uno dei padri del liberalismo italiano, considerato con Gaetano Salvemini e Tony Blair, uno dei riferimenti dei radicali, da sempre alla ricerca di una sintesi tra socialismo e liberalismo, stato di diritto e affermazione estrema della libertà civile. Certo la scommessa e la speranza di Pannella era che gli ascoltatori, dopo aver sentito tutte le opinioni politiche, scegliessero la sua.
Un carattere fuori dal comune
Fin da subito Radio Radicale si presenta non come canale di controinformazione, ma come emittente di un servizio pubblico, inteso in modo diverso rispetto a quello offerto dalla RAI. L’idea di Pannella è quella di trasmettere senza filtri e senza commenti, il maggior numero possibile di eventi politici, istituzionali, culturali, dei più vari orientamenti. L’ideologia che fa da collante c’è, ed è appunto quella radicale, liberale, liberista e libertaria, ma essa è limitata a trasmissioni ben riconoscibili, in cui sono appunto gli esponenti radicali a parlare. Il giudizio, l’opinione politica, non permea tutto il palinsesto; non si sovrappone alle sedute parlamentari o alle udienze dei processi, per dare un’interpretazione. Niente tagli, niente selezione di brani: solo sonori grezzi, in modo che appunto l’ascoltatore possa conoscere e poi deliberare autonomamente. Alla base c’è una concezione dell’informazione , cioè quella che fare una sintesi di una seduta parlamentare o di un’udienza processuale, non significhi far conoscere davvero i loro meccanismi.
Certo non c’è solo questo. Radio Radicale fin dall’inizio propone anche dei fili diretti con gli esponenti radicali, a cui tutti possono intervenire, per porre domande. C’è la rassegna stampa, (nata per altro dopo Prima Pagina, la storica rassegna di Radio3), ideata, guarda caso da un personaggio come Enzo Forcella, molto vicino ai radicali. Altra innovazione fu quella delle opinioni raccolte per strada. Un operatore della radio chiedeva ai passanti cosa pensassero dei fatti del giorno e trasmetteva i sonori senza filtri.
Niente tagli, niente selezione di brani: solo sonori grezzi, in modo che l’ascoltatore possa conoscere e poi deliberare autonomamente.
Quando nel 1986 la radio rischiò di chiudere per mancanza di finanziamenti, l’allora direttore Giancarlo Loquenzi, lanciò un format, che era insieme una provocazione e uno scandaglio sociale. Per un mese la radio trasmise solo le registrazioni delle telefonate arrivate al centralino. Ognuno poteva dire quello che voleva per quaranta secondi. Dopo i primi momenti, in cui arrivarono messaggi di solidarietà, il palinsesto fu interamente sommerso da parolacce e volgarità di ogni tipo. Alla fine dovette intervenire la magistratura a chiudere le trasmissioni. L’esperimento fu ripetuto nel ’91 e nel ’93, direttore Bordin, e rivelò quanta meschina ignoranza, quanta rozzezza di pensiero e quanta acrimonia sia presente nella cosiddetta pancia del paese.
Nel 1998 Radio Radicale fu anche tra le prime realtà editoriali a dotarsi di un sito internet. Dal 2006 i tradizionali nastri magnetici sono stati sostituiti dal formato mp3. Tutti i file presenti sul sito di Radio Radicale sono disponibili con licenza Creative Commons Attribuzione 2.5, che permette la libera e gratuita riproduzione, distribuzione e modifica del materiale, col solo obbligo dell’attribuzione della paternità dei file e della citazione della licenza stessa.
L’unico altro esempio di talk radio politica italiana fu quello di Italia Radio, attiva negli anni Ottanta e Novanta. Una radio di parole di politica, ma anche tanta musica è il circuito nato intorno a Radio Popolare Milano. Rispetto a Radio Radicale qui appunto l’orientamento politico attraversa da dentro tutta la programmazione. Si tratta di qualcosa di simile a quanto avviene negli Stati Uniti, dove le talk radio politiche, in genere di orientamento conservatore, sono presenti a centinaia. Le radio che invece all’estero trasmettono i lavori parlamentari si limitano appunto a trasmettere le sedute e a mandare interviste con deputati e senatori, che però sono delle semplici raccolte di dichiarazioni. Di fatto un’emittente che trasmetta sia sonori grezzi di eventi politici, economici e sociali a 360 gradi, e poi in spazi separati, trasmissioni di commento, è un caso unico.
La struttura
Dal punto di vista giuridico e organizzativo, Radio Radicale è un medium privato, il cui editore è la Lista Marco Pannella, una delle realtà della cosiddetta galassia radicale, gruppo di associazioni, partiti e enti di diritto privato che condividono l’impegno di Pannella. Accanto alla Lista Pannella, che detiene il 62% delle quote societarie, ci sono tre soci privati. Nell ‘86, a seguito del clamore suscitato dalle telefonate senza filtro, il Parlamento decise di concedere a Radio Radicale i finanziamenti destinati agli altri organi di partito. Nel ’94 venne invece bandita una gara, per la trasmissione delle sedute parlamentari. Radio Radicale fu l’unica a presentarsi e ottenne il finanziamento, poi rinnovato con leggi successive. La gara avrebbe dovuto essere annuale, ma non fu mai ripetuta. Nel ’93 la Sovrintendenza ai beni culturali della regione Lazio riconosce il valore storico dell’archivio della radio, che conta più di 430mila registrazioni audiovideo. Nel 1998, ottemperando ai dettami della legge di riforma del sistema radiotelevisivo varata nel ’90, la RAI avvia le trasmissioni di Gr Parlamento, di fatto l’unica rete concorrente di Radio Radicale. In quel frangente, il governo Prodi decise di interrompere il finanziamento a Radio Radicale, ma si fermò di fronte alla mobilitazione di tanta parte dell’opinione pubblica.
L’ideologia che fa da collante c’è, ed è appunto quella radicale, liberale, liberista e libertaria, ma è limitata a trasmissioni ben riconoscibili, in cui sono gli esponenti radicali a parlare.
Gli ascolti sono difficilmente calcolabili, perché, non avendo pubblicità, Radio Radicale non fa parte dei consorzi di radio che affidano le rilevazioni degli ascolti a istituti specializzati. Dati non ufficiali parlano di circa 200mila ascoltatori giornalieri, un dato più alto ad esempio del circuito di Radio Popolare, ma probabilmente meno alto ad esempio di un’altra talk radio non rilevata: Radio Maria. Radio Radicale trasmette in modulazione di frequenza su quasi tutto il territorio nazionale raggiungendo aree su cui spesso nemmeno la RAI riesce a farsi ascoltare. Grazie a 250 ripetitori, l’85% della popolazione italiana può ascoltarla. C’è il canale dab, il digitale terrestre e ovviamente la possibilità di streaming via computer o smart phone.
Una giornata alla radio
Il palinsesto di Radio Radicale ruota intorno ai lavori del Parlamento, giacché la radio è obbligata dalla convenzione con il Ministero delle Comunicazioni a trasmettere nel corso dell’anno almeno il 60% delle sedute delle due Camere nella fascia oraria che va dalle 8 alle 20. Radio Radicale ha trasmesso e archiviato quasi tutte le sedute dal 1976 in avanti. Si tratta di sonori, che nemmeno gli archivi di Camera e Senato posseggono, visto che le registrazioni audio usate per la trascrizione delle sedute, fino al 1987 venivano riciclate. La radio segue poi i lavori di altre istituzioni come il Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte Costituzionale, la Corte dei Conti. Ci sono poi le assemblee di partito e i convegni delle cosiddette parti sociali, nonché i festival culturali e scientifici. C’è infine tutta la produzione giornalistica dell’emittente, che parte con la celebre rassegna stampa, intitolata Stampa e Regime, e che prosegue con programmi di economia, politica estera, ambiente, temi sociali. La prima serata è occupata dalla trasmissione di sintesi ragionate di udienze di processi.
La magistratura e la stampa, (il terzo e quarto potere), essendo il contropotere, il guardiano della democrazia, ricevono dai radicali un’attenzione particolare, specie quando sono accusate di sconfinare dal loro ruolo. A mezzanotte c’è la lettura delle prime pagine in edicola il giorno dopo e poi ha inizio il palinsesto notturno, segnato dai sonori d’archivio. Ogni giorno si possono ascoltare e scaricare in podcast pagine sonore della vita politica del nostro paese, appunto dagli anni Settanta in avanti. Grande spazio è dedicato agli interventi di Marco Pannella, ma ci sono anche i sonori dei passaggi storici della politica italiana: dal discorso di Moro sul caso Lockheed, all’informativa di Andreotti sulla fuga di Kappler, dal famoso dibattito televisivo De Mita Berlinguer, a quello tra Berlusconi e Occhetto.
Un interessante esperimento, iniziato nel 2006 e definibile come citizen journalism, è stato quello dello spazio “Fai Notizia”. Gli ascoltatori sono invitati a condividere sul sito e poi in onda il lavoro giornalistico. Circa 8mila persone hanno contribuito alla redazione e ne sono nate anche inchieste a più mani, poi arrivate alla realizzazione di speciali radiofonici. Radio Radicale registra circa il doppio o anche il triplo di materiale sonoro rispetto alle 24 ore di messa in onda. Molti eventi sono quindi ascoltabili solo sul sito, in streaming o podcast. Per quanto riguarda in particolare le udienze dei principali processi di rilievo politico, la rubrica Speciale Giustizia manda in onda tutte le sere una sintesi dei sonori, che si possono ascoltare integralmente sul sito.
Il Direttore
Massimo Bordin, che è stato direttore dal ’91 al 2010, e poi collaboratore fino alla scomparsa, ha segnato profondamente lo stile della radio. Per Wikipedia, Massimo Bordin aveva quasi 68 anni, era stato un giovane trozkista, poi passato al liberalismo, direttore di Radio Radicale per vent’anni e collaboratore del Foglio, premio giornalistico Premiolino nel 2009. Per milioni di italiani però Bordin è stato per 40 anni una voce amica e un maestro. Avrebbe potuto diventare un predicatore, un persuasore, un imbonitore: fu invece sempre un signore. Un po’ maestro Manzi, nello spiegare i concetti della politica, del diritto penale, nel far capire quanto complessa e fragile sia una democrazia.
Quello che colpiva nei programmi di Massimo Bordin, era come si potessero conciliare uno spirito libertario, quasi anarchico, con una precisione didascalica.
Dall’altro lato un po’ un profilo francese, colto e ironico. Una volta, durante il colloquio settimanale con Marco Pannella, la cui durata era di due ore, Bordin disse al suo interlocutore di far presto, perché mancavano alla fine “solo quaranta minuti”. Nonostante facesse capire chiaramente come la pensava, era sempre rispettoso di tutti. Quello che colpiva nei suoi programmi – carattere poi passato a tutta la radio – era come si potessero conciliare uno spirito libertario, quasi anarchico, con una precisione didascalica. La sua cifra era la chiarezza espositiva. Ascoltata una sua rassegna o l’introduzione a un’udienza processuale, si riuscivano a capire i meccanismi istituzionali e le consuetudini che segnano la vita politica.
Bordin, come in generale la sua radio, non ha fatto insomma degli scoop in senso tecnico. Tuttavia le sue analisi pacate lo portavano spesso durante le dirette a capire in anticipo chi avrebbe vinto le elezioni o come sarebbe finita la vicenda di questa o quella legge o a indovinare l’esito di un processo.
Il futuro
Riguardo al problema del finanziamento, Radio Radicale riceve ogni anno un finanziamento pubblico di 8,33 milioni di euro per la convenzione con lo Stato per la trasmissione delle sedute del Parlamento, e 4 milioni 431 000 euro dai fondi per l’editoria in quanto organo della Lista Marco Pannella. La radio ha rischiato più volte la chiusura, per mancanza di fondi, ma alla fine il Parlamento e il governo hanno sempre trovato una soluzione. Il 21 maggio del 2019 scade l’ultima convenzione e il governo Conte ha più volte, con diversi suoi esponenti, ribadito la volontà di non procedere ad un rinnovo, con la motivazione che il servizio è già svolto dalla RAI e non servono duplicati. Quanto ai fondi speciali per l’editoria, il governo ha deciso di cancellarli progressivamente.
Perdere Radio Radicale vorrebbe dire perdere un vero patrimonio culturale e uno strumento di crescita civile e politica per il paese.
Per Radio Radicale si sono mobilitati migliaia di cittadini, con una petizione online, e centinaia di personalità, associazioni e soggetti istituzionali come consigli regionali e comunali e l’Autorità per le Comunicazioni. Sotto traccia sono aperte delle trattative, per individuare una soluzione, anche se è difficile pensare che la maggioranza Lega M5S accetti di concedere il finanziamento senza condizioni. La proposta della Lega ad esempio, è quella di prorogare il finanziamento quest’anno e di andare poi verso un assorbimento di Radio Radicale, o almeno del suo archivio, da parte della RAI. Altre soluzioni possibili, che non snaturino il carattere di un canale che non ha mai trasmesso messaggi pubblicitari, sarebbero la raccolta di abbonamenti o la ricerca di un editore privato. Quello che conta è che non vada perso quello che tutti non possono che considerare come un vero patrimonio culturale e uno strumento di crescita civile e politica per il paese.