L a messa est finita. II gallo canta. Tira vento. Tre per tre. Maria si prepari. Martino non parte. Abbi fede. La gavetta è vuota. Le sorbe sono acerbe. Riempite la borsa. Ripetiamo”. Dopo l’8 settembre 1943, nell’Italia liberata del governo di Brindisi – ma anche in quella del Nord, a volume più basso – chi si fosse sintonizzato sulle frequenze di Radio Bari avrebbe sentito ogni giorno scandire due volte, da due voci diverse, questi messaggi speciali. Meno celebri del “Felice non è felice” di Radio Londra, i messaggi di Radio Bari parlavano direttamente ai partigiani della Resistenza italiana, ed erano un canale ben più frequentato di quello inglese. Dieci ne venivano trasmessi ogni giorno, di cui la maggior parte era pensata per depistare i militari fascisti in ascolto.
Il programma all’interno del quale andavano in onda si chiamava Italia Combatte, che di marziale non aveva solo il nome: anche il tono scandito delle voci non era poi tanto distante dalle cadenze a cui la radio fascista aveva abituato l’orecchio del popolo italiano. D’altronde si trattava di far la guerra, seppure a fronte ribaltato. Nel 1943 Radio Bari è la prima radio liberata d’Italia, ma era stata l’EIAR (l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche figlio dal regime, la Rai prima della Rai) a crearla sedici anni prima, nel 1927, a potenziarla e a servirsene come canale privilegiato di comunicazione e propaganda verso il Medioriente. Con l’arrivo degli Alleati, diventa invece uno dei principali strumenti della Resistenza italiana.
Riscoprire la storia di Radio Bari non significa però solamente raccontare le voci che animano le lotte partigiane durante la guerra civile; vuol dire anche ascoltare la nascita della prima radio indipendente dell’Europa continentale. All’attivismo si intrecciano subito cultura, musica e intrattenimento, in un palinsesto del quotidiano che si rivolge alle due metà d’Italia, quella in cui la radio poteva essere ascoltata a pieno volume e quella in cui chi si fosse sintonizzato avrebbe rischiato l’arresto. E allora Radio Bari trasmette le favole per bambini, i primi feuilleton radiofonici e il jazz prima ostracizzato dal Duce. L’operazione che compie non è per niente banale: mentre tenta di ricostituire un pensiero politico assuefatto a vent’anni di retorica di regime, Radio Bari crea una coscienza culturale collettiva, intrattiene e fa ballare.
Un ponte verso il Medioriente
Il fascismo scopre la radio tardi rispetto alle vicine potenze europee: in Italia la radio nasce il 6 ottobre del 1924 da capitali di editori musicali, di Guglielmo Marconi e imprenditori come Enrico Marchesi, direttore amministrativo della FIAT, che uniscono le loro risorse per creare la prima stazione del Paese. L’URI (Unione Radiofonica Italiana) ha la concessione dal governo fascista e al governo è strettamente legata, ma resta un organismo nato da iniziativa privata. “Nel 1927 il fascismo si accorge della potenza del mezzo, soprattutto dopo diverse visite in Germania, dove invece Hitler faceva ampio uso della radio, e quindi nel 1927 viene statalizzata, nasce l’EIAR, decidono di investirci e quella diventa la radio del fascismo” mi racconta Andrea Borgnino, responsabile editoriale di RaiPlay Sound e voce di Rai Radio3.
Nel momento in cui Mussolini scopre la radio, non la rende semplice strumento di riproduzione di proclami: vuole creare nel popolo italiano una coscienza radiofonica capillare. Così a partire dagli anni Trenta si stabilisce che ogni casa del fascio dovesse essere dotata di un apparecchio, e cominciano a essere prodotti apparecchi economici come radio Rurale e radio Balilla, a prezzi calmierati per legge. “Quella fascista” continua Borgnino “è una radio molto meno di propaganda di quanto si possa immaginare. I tedeschi facevano una radio di pura propaganda, quella dell’EIAR è invece di grande varietà, più da Maramao perché sei morto, per intenderci. Poi, certo, mandavano in onda Faccetta nera, e il risvolto fascista c’era eccome, ma era una radio anche molto di intrattenimento. Dal 1939 questo aspetto si perde, le canzonette scompaiono, sopravvive una radio di bugie e pura propaganda”.
Nel progetto fascista c’è anche una forte componente di comunicazione verso l’estero. Viene costruita a Bari una stazione che comincia a trasmettere soprattutto verso il Medioriente – in albanese, greco, arabo – e che vuole essere la voce del fascismo verso quell’area del Mediterraneo. Viene installato un trasmettitore molto potente, più di tutti quelli che c’erano in giro per l’Italia. Il radiocorriere dell’epoca vanta che in questo modo “il Levante avrebbe ricevuto la parola e la musica d’Italia”: una vera e propria strategia di soft power, che tra i vari obiettivi ha anche quello di sollevare il mondo musulmano contro i britannici, la perfida Albione, attraverso critiche aperte alla politica inglese in Egitto e Palestina. Già da prima dello scoppio del conflitto la guerra di propaganda è anche una guerra di onde: come Radio Bari, anche Radio Berlino, Radio Londra, Radio Paris Mondial istituiscono un loro palinsesto in arabo.
Il regime decide di investire molto su questo fronte: come racconta Arturo Marzano in Onde fasciste. La propaganda araba di Radio Bari (Carocci, 2016), le trasmissioni nel 1934 consistevano in un notiziario di un quarto d’ora in onda tre giorni a settimana. Nel corso degli anni aumentano la frequenza fino a diventare giornaliere e di diverso stampo. Gli speaker sono personalità che con il mondo arabo hanno legami diretti, come Enrico Nuné, un “personaggio di frontiera” figlio di un avvocato italiano del consolato di Aleppo e di una siriana, o Muhammad Kurd Ali, fondatore dell’Accademia Araba di Damasco.
Vanno in onda i corsi di arabo tenuti dall’Università Radiofonica Italiana e i concerti della neonata orchestra araba. L’obiettivo è quello di un avvicinamento a doppio binario: da una parte, una sensibilizzazione del pubblico italiano alle questioni arabe e dall’altra un tentativo di colonizzazione culturale italiana del Medioriente. A partire dal 1938 alle voci si affianca anche un mensile in doppia lingua, nel quale compaiono discorsi di avvocati, emiri, sceicchi del mondo arabo. Il palinsesto di regime crea insomma una mistura particolare di transculturalità, seppure impregnata di retorica coloniale.
Già da prima dello scoppio del conflitto la guerra di propaganda è anche una guerra di onde.
Già dalla metà degli anni Trenta, quelle frequenze vengono usate per attacchi espliciti agli inglesi, contro cui l’Italia combatteva nei suoi sforzi di conquista di nuove colonie. Durante la Seconda Guerra Mondiale, le trasmissioni arabo-italiane diventano invece terreno di uno scontro subdolo contro la grande alleata, la Germania. Nonostante Hitler avesse dichiarato di non perseguire interessi coloniali nell’area del Mediterraneo, le trasmissioni in arabo di Radio Berlino alludono con frequenza sempre maggiore alle virtù e le possibilità di un futuro dominio nazista sul Medioriente e incalzano il nazionalismo arabo in maniera molto più esplicita rispetto a quanto facesse l’Italia, alle prese con la precaria situazione coloniale in Libia. Dopo qualche anno, Radio Berlino e Radio Bari arrivano a contendersi, come ospiti, importanti esponenti dell’antisemitismo e del nazionalismo arabo come Hajj Amin al-Husayni, all’epoca Gran Mufti di Gerusalemme e precursore del fondamentalismo islamico.
Radio vergogna
Di fatto è quindi il regime fascista a fornire alla futura Radio Bari liberata la struttura tecnica e la potenza di trasmissione che le permetteranno di essere voce cardine della Resistenza. L’8 settembre l’EIAR annuncia da tutte le stazioni la notizia dell’armistizio; alle 21, la stazione di Bari diffonde il comunicato in arabo; poi, silenzio.
Come racconta Antonio Rossano in 1943: Qui Radio Bari (Dedalo, 1993), sono momenti concitati e confusi quelli che seguono, perché se il comunicato ordina di cessare ogni ostilità nei confronti degli Alleati, intima al tempo stesso di reagire ad “attacchi da qualsiasi altra provenienza”: dei tedeschi, dunque. Al porto di Bari, i nazisti in procinto di abbandonare la città aprono il fuoco sugli ufficiali in servizio, piazzano bombe sui piroscafi, presiedono gli accessi, tentano insomma l’offensiva finale. La risposta è vigorosa e collettiva, coinvolge soldati e civili e ottiene la resa dei nazisti. In quelle ore la sede di Radio Bari è vuota: abbandonati dalle voci di regime, per la prima volta in dieci anni i microfoni tacciono.
Due giorni dopo, la mattina del 10 settembre, un gruppo di intellettuali antifascisti guidato dal magistrato Michele Cifarelli si presenta in via Putignani 247, alla sede dell’EIAR, e chiede di poter usare gli impianti per trasmettere un notiziario. A ruota va poi in onda il discorso con cui il re, appena giunto a Brindisi, annuncia il nuovo corso del governo italiano e invita gli italiani a seguirlo. Tra gli obiettivi del discorso del re c’è però anche quello di arginare le spinte democratiche che già cominciano ad animare Radio Bari. Per un problema tecnico il grosso disco inciso s’inceppa e s’incanta in loop sul “libero le, libero le, libero le” del “libero lembo d’Italia peninsulare” nel quale il re si è appena trasferito.
Quando gli Alleati sbarcano in Italia hanno tra le prime missioni quella di trovare una radio e attivarla subito: nell’autunno del ‘43 l’unica radio libera in Europa era Radio Londra, tutto il resto del continente era in mano ai nazifascisti. “Gli Alleati erano consapevoli del fatto che Radio Londra da sola non potesse fare la voce di tutta la Resistenza europea. Ecco allora che, non appena arrivano a Palermo, le truppe provano a riattivare il collegamento, ma Radio Palermo era stata completamente distrutta dai tedeschi durante la ritirata: il tentativo si rivela quindi vano, perché il segnale non è abbastanza potente”, racconta ancora Borgnino. “Una volta superato lo stretto, ciò che trovano a Bari è invece una sorpresa. Anche qui i nazisti in fuga avevano provato a sabotare la radio, ma due tecnici dell’EIAR antifascisti avevano avuto la lungimiranza di nascondere i trasmettitori in un campo. Nel momento in cui arrivano gli Alleati i trasmettitori vengono riattivati, e la radio riparte così come era stata chiusa l’8 settembre, potente e con un segnale che arriva in tutta Europa”. Non solo quindi gli Alleati si trovano ad avere a disposizione una radio funzionante in tutti i suoi elementi, ma anche con una copertura di segnale che poche stazioni vantavano all’epoca.
La radio viene affidata al PWB (Psychological Warfare Branch), un gruppo creato dagli Alleati per gestire la propaganda e le trasmissioni. A capo del PWB di Bari viene inviato Ian Greenlees, un comandante inglese appassionato di storia romana, che parla benissimo l’italiano, il latino, il greco: è lui che mette in piedi in qualche giorno il palinsesto e fonda la sua trasmissione più celebre, Italia Combatte. Da quel momento, per il regime fascista insediato nella Repubblica di Salò, quella radio traditrice diventerà “radio vergogna”. Dietro i microfoni di Radio Bari trovano voce molti intellettuali antifascisti rientrati dall’esilio, giornalisti e personaggi della cultura e dello spettacolo: Arnoldo Foà, Anton Giulio Majano, Alba de Céspedes, che con la voce incoraggia alle lotte partigiane sotto lo pseudonimo di Clorinda della Gerusalemme Liberata.
Nonostante il controllo degli Alleati, Radio Bari riuscì a mantenere anche una propria marcata indipendenza in questa sua nuova vita. Un privilegio, spiega Borgnino, dovuto a una molteplicità di fattori: “i personaggi che animavano la radio erano in primo luogo di grande fiducia e spessore; proprio in quel periodo si tenne poi in città il famoso congresso di Bari che nel gennaio del ‘44 radunò il Comitato di Liberazione Nazionale e tutti gli antifascisti, con discorso inaugurale di Benedetto Croce. Infine, c’era il governo italiano lì vicino: era come se la radio avesse avuto il timbro ufficiale della Resistenza dell’antifascismo”.
Jazz, lucciole, spie al muro
La programmazione di Radio Bari liberata è più varia di quello che si potrebbe immaginare. “Cari amici, Radio Bari offre in omaggio ai rappresentanti delle forze armate una bambola. Non vi piace una bambola? Una bambola…di carne! Si comincia a intendersi, no? Questa bambola di carne sono proprio io, Lucciola”. Lucciola, “amica dei soldati di tutte le armi e di tutte le specialità”, è la voce che sussurra in tarda serata ai microfoni della radio. Ogni sera Lucciola ha il suo “quarto d’ora di spensieratezza” pensato per “illuminare con le sue allegre luci fatue” le nostalgie dei combattenti. Nel sui monologhi, che oggi definiremmo soft porn, Lucciola promette di dividere il cuore tra tutti i soldati, e trattiene risatine, allude a pose ammiccanti solo per, all’occorrenza, scostarsi con malizia: “Come vi permettete! Come? Cosa dite? Oh, piccoli impertinenti!”.
Gli Alleati si trovano ad avere a disposizione una radio funzionante in tutti i suoi elementi, con una copertura di segnale che poche stazioni vantavano all’epoca.
Delle voci di Radio Bari dell’epoca è rimasto ben poco, perché quasi tutto veniva trasmesso in diretta e le registrazioni erano rare. Ma in rete è possibile recuperare qualche frammento del programma diventato arma della resistenza partigiana, Italia Combatte. Al suo interno, oltre ai messaggi speciali, ci sono anche avvertimenti, incoraggiamenti (“Patrioti della zona di Bologna, la liberazione della vostra città si avvicina. Il vostro compito è di attaccare il nemico ovunque lo troviate e colpirlo isolatamente o in gruppi e ucciderlo”) e istruzioni destinate ai vari reparti in lotta (“Patrioti della zona numero uno, nei pressi della linea dei Goti: il vostro compito è quello di distruggere le linee di comunicazione del nemico, e di farci avere informazioni particolareggiate su posizioni, movimenti e identità di reparti nemici”).
Dentro Italia Combatte c’è anche un’altra rubrica, dal nome parlante di Spie al muro, che tracciava ogni giorno i profili dei “venduti ai nazifascisti” in ogni parte d’Italia, senza lesinare nome, cognome, età, altezza, accento, persino la direzione della scriminatura dei capelli. “Spie al muro è la rappresentazione di un passato non così lontano: evidentemente la delazione, che noi adesso associamo immediatamente ai messaggi indignati dei social, basta un qualsiasi mezzo di comunicazione per farla”, commenta Borgnino.
Italia Combatte non racconta però tutta Radio Bari. A riascoltare qualche pezzo d’archivio, si capisce presto che questa radio aveva imparato dall’EIAR degli anni Trenta la necessità di un palinsesto diversificato, che catturasse un pubblico ampio e lo facesse restare in ascolto. Se con la guerra la radio fascista aveva aumentato la propaganda e ridotto l’intrattenimento, Radio Bari decide di fare esattamente l’opposto, e così si prende anche il pubblico che la guerra voleva più che altro dimenticarla. Oltre a Lucciola c’erano così Lucignolo, voce delle favole e delle lettere dei bambini, e il Professor Ettori che impartiva a tutti lezioni di inglese, con tanto di assegnazione di compiti di volta in volta. E c’era il teatro: accanto alle opere in un solo atto vanno in onda i primi romanzi italiani radiofonici a puntate e programmi di satira fascista come Vent’anni dopo. Sopravvive pure il ponte verso il Medioriente: il trasmettitore era ancora potente, e voci in greco, albanese, serbo-croato si rivolgevano direttamente a tutte le zone dove ci fosse una resistenza in atto.
E poi, c’era la musica. “All’opposto di Radio Londra che è una specie di bollettino di guerra, a Radio Bari si fondono due orchestre che iniziano a suonare jazz e tutta quella musica che da quando c’era la guerra nessuno sentiva più”, racconta Borgnino. “L’impostazione in fondo è proprio quella dell’EIAR: in quel caso magari non c’era il jazz perché era “negroide” e non piaceva a Mussolini, però c’era un sacco di swing, c’era moltissima musica”.
A Radio Bari, racconta invece Rossano, iniziano ad arrivare i dischi di Glenn Miller, Jimmy Dorsey, George Gershwin; i tecnici organizzano dal Petruzzelli dirette dei concerti di Bing Crosby e Marlene Dietrich. Diffondere il jazz non significava soltanto spalancare le orecchie a sonorità nuove, ma forse anche suggerire, anche attraverso la musica, una certa nuova idea di libertà. Come disse Dave Brubeck: “Di solito una dittatura evita che il jazz venga suonato, perché il jazz rappresenta la libertà, la democrazia e gli Stati Uniti”.
Inno, bandiera e radio
Essere la prima radio liberata d’Italia non significa solamente essere veicolo di guerriglia e d’entusiasmo, ma anche farsi carico di un nuovo discorso politico; significa, prima di tutto, guadagnarsi una credibilità alle orecchie di chi fino al giorno prima non sentiva altro che i racconti di mirabolanti campagne di Russia e gloriose imprese sulle coste del Mediterraneo.
Come avviene questo processo di ristrutturazione del pensiero politico? Lo chiedo a Borgnino. “Dobbiamo immaginare un Paese che da vent’anni ascolta propaganda alla radio, in cui la radio viene usata in maniera magari abbastanza lieve, ma comunque per costruire l’uomo italico, il mito del duce, il mito dell’Impero. Di colpo gli ascoltatori non sentono più questo ma Gaetano Salvemini, Benedetto Croce, delle voci che ti raccontano di un’Italia democratica, i socialisti, il CLN, storie di come diversi gruppi si mettono assieme per immaginare il futuro del Paese: è un cambio radicale. Tanto che veniva percepita come fin troppo progressista. La gente non era più abituata”.
In un Paese affamato, in guerra da anni, anche quella di Radio Bari poteva suonare come propaganda; probabilmente non tutti credevano a ciò che veniva trasmesso, o non lo capivano appieno. “A sentire Salvemini con i suoi discorsi altissimi probabilmente se fossi stato un contadino di Massa Carrara qualche dubbio lo avrei avuto anche io”, continua Borgnino. “Devono essere stati momenti complicati, e penso che fare la radio in un contesto simile non sia per niente banale, perché devi sempre metterti anche dalla parte di chi ascolta”. Il valore di Radio Bari liberata è anche questo: è il primo progetto che tenta di ricostruire un Paese disastrato, di macerie. È un discorso che vale anche oggi in molti Paesi, dice Borgnino, che segue le storie di radio in tutto il mondo: “ovunque c’è un conflitto o un Paese in rivolta, lì c’è una radio. Se voglio fare un nuovo Paese ho bisogno di tre cose: inno, bandiera e radio”.
Essere la prima radio liberata d’Italia significa, prima di tutto, guadagnarsi una credibilità alle orecchie di chi fino al giorno prima non sentiva altro che i racconti di mirabolanti campagne di Russia.
La risalita degli Alleati lungo la penisola spegne progressivamente il mito di Radio Bari. La parabola di questa radio liberata è in realtà breve, dura all’incirca un anno e raggiunge il proprio apice con la messa in onda del discorso di Benedetto Croce al congresso di Bari nel gennaio del 1944. Dopodiché, la redazione di Italia Combatte si sposta prima a Napoli, poi a Roma, e le frequenze di via Putignani perdono di centralità e importanza. Non è quindi un caso che persino in Italia sopravviva con maggior vigore il mito di Radio Londra, che invece andò in onda dal 1939 al 1945, non fosse altro che per una questione di longevità (e ben più celebre è anche Radio Milano, perché fu l’ultima ad essere liberata, il 25 aprile del ‘45). Oggi il palazzo di via Putignani 247 ospita uffici e appartamenti, ma sul marciapiede campeggia una pietra d’inciampo: “Radio Bari” ricorda “prima voce libera in Italia”.