S ono arrivata in North Carolina questo martedì, in trasferta per lavoro e per visitare la mia famiglia. Le elezioni presidenziali hanno colonizzato le menti di tutti per più di un anno, ma l’intensità è quasi insopportabile in uno stato in bilico, dove i candidati sono testa a testa. Giovedì ho deciso di andare a un rally di Trump in un posto che si chiama – tra tutti i nomi – Selma: una città di circa seimila abitanti (30% delle quali vive sotto la soglia di povertà), multietnica e proletaria. Quel pomeriggio Hillary era stata a Raleigh con Bernie Sanders e Pharell; si è limitata alle aree urbane più cosmopolite. Trump è andato a cercare le comunità rurali, le città con un passato industriale, le comunità contadine, e le basi militari dove prevalgono i Repubblicani bianchi.
Giovedì, di prima mattina, stavo guidando ascoltando un programma alla radio. Una predicatrice stava cercando di convincere i suoi ascoltatori che Dio, sempre all’erta contro il peccato, voleva la vittoria di Trump. Su un’altra stazione, è intervenuto Glenn Beck. È terrorizzato da una vittoria di Trump, convinto di essere sulla sua lista nera: “meglio il diavolo che conosci, che quello che non conosci”, ha detto, praticamente sostenendo Hillary. (Mi sono quasi trovata ad annuire finché non si è lanciato in uno sproloquio contro il piano segreto di Trump di istituire un servizio sanitario universale). Sulla NPR, un gruppo di accademici discuteva della soppressione del voto nel Sud – in North Carolina dei funzionari hanno purgato le liste elettorali di migliaia di votanti neri nelle ultime settimane, una strategia che coincide con i brogli senza precedenti degli ultimi anni – e del recente incendio doloso di una chiesa nera in Mississippi. Sui resti carbonizzati si leggeva il graffito: VOTA TRUMP.
Ho girovagato, imbarazzata, pensando alle mancanze della sinistra, le sue occasioni perse. Molte di queste persone non sarebbero state dalla parte di Bernie?
Ascoltando la radio, il mondo sembra profondamente diviso. Non so perché, ma voglio vedere i sostenitori di Trump nel loro elemento, per capire se e come questo baratro, sempre più profondo, può essere arginato. Dopotutto, credo che le loro rimostranze contro i Corporate Democrats, il libero mercato, e un’economia stagnate siano assolutamente legittime, anche se rimango sbalordita che si siano attaccati a un plutocrate narcisista per esprimerle. Ho visto sul sito di Trump che un rally sarebbe iniziato nel giro di due ore. Mi sono iscritta per partecipare. Alcuni dei miei amici liberali sarebbero inorriditi al solo pensiero di partecipare a un evento simile, ma mi hanno sempre irritata le analogie naziste esagerate e i riferimenti al fascismo. Ci sono andata da sola.
Ho accostato vicino a un campo enorme, costeggiato da bandiere americane sorrette da gru. Una strana colonna sonora dei Rolling Stones suonava in loop: “You can’t always get what you want” (come la presidenza, pregavo) e “Let’s spend the night together” (ok, se proprio dobbiamo, una notte – ma non quattro anni). Ho superato i metal detector. In alto, gli schermi passavano una serie di dati e di slogan:
NON LASCIATE CHE LE ELITE DELLA CLASSE DIRIGENTE COMPRINO LE ELEZIONI
WALL STREET È CON LEI
LE HANNO DATO 48.5 MILIARDI DAI FONDI D’INVESTIMENTO DI WALL STREET
I messaggi sullo schermo mi hanno fatto venire mal di testa. Sono quasi scioccata che non abbiano tirato in mezzo l’1%. Era populismo andato a male, anche se storicamente è già andata così – la versione della destra è sempre stata più forte del suo corrispettivo di sinistra. Un paio di mesi fa Trump aveva tenuto un rally a Wilmington, in North Carolina, luogo dell’unico e per lo più dimenticato colpo di stato americano. Nel 1898, nel crepuscolo della Ricostruzione, un gruppo di suprematisti bianchi ribelli ribaltò un governo di progressiva “fusione” multirazziale, deponendo i membri di entrambe le razze eletti democraticamente e uccidendo senza pietà i cittadini neri. Dopo di che, il populismo in North Carolina, e nel Sud più in generale, è diventato cosa dei bianchi. Durante il suo rally vicino al luogo di quella storica, scioccante barbarie, Trump suggerì che “la gente del Secondo Emendamento” facesse qualcosa a proposito di Hillary.
Ho studiato la folla. Erano i miei vicini di casa, il tipo di persone con cui andavo a scuola, persone che avevo incontrato ogni giorno ma mai conosciuto davvero. Ho girovagato, imbarazzata, pensando alle mancanze della sinistra, le sue occasioni perse. Molte di queste persone non sarebbero state dalla parte di Bernie? Forse alcune di loro, a un certo punto, sì.
Le cose sono cambiate quando sono iniziati i discorsi. Quando Trump è salito sul palco, due teenager – due delle sei persone di colore che ho visto in una folla che superava le 10.000 presenze, nessuna di queste di colore – hanno manifestato il loro malcontento. Qualsiasi cosa avessero detto, non era abbastanza rumorosa, plateale o ribelle per essere sentita a cinque metri di distanza, ma lo era abbastanza per trasformare le persone attorno a loro in un’orda. I ragazzi sono stati attaccati violentemente da un gruppo di uomini, e uno sciame di curiosi si è avvicinato per unirsi all’aggressione, o tifare dalle seconde linee. L’uomo accanto a me si è compiaciuto di come “i Messicani” venissero pestati, e sua moglie ha sorriso, approvando.
Li hanno pestati. La trasformazione da famiglie-di-lavoratori a un’orda apoplettica, razzista, è stata istantanea. Non riesco a pensare a un’altra parola: è stato agghiacciante. Niente che non avete già visto su YouTube, ma trovarsi lì in mezzo è stato deprimente e spaventoso e surreale. L’accaduto ha scaldato il sangue del pubblico. Da lì in poi ci sono stati i soliti slogan, “costruisci il muro”, “USA” e “rinchiudila” ogni volta che venivano menzionate le email mancanti. Hanno davvero amato molto il tormentone contro i rifugiati siriani: Sapevamo che venivano accolti siriani a frotte? Che Hillary vuole spalancare le porte perfino più di Obama l’islamofilo? Non importa se sono stati trasferiti soltanto diecimila rifugiati, una cifra minuscola per un paese di una popolazione che supera i 300 milioni; non importa se queste persone sono state violentemente cacciate dal terrorismo e dall’ISIS, che Trump ha promesso di eliminare “rapidamente”.
Ha fatto una pausa per elogiare i militari seduti dietro di lui, sul palco, precisando però che per quanto loro fossero eroi, lui era “finanziariamente coraggioso”. Poi ha insultato i media, mentre i furgoncini satellitari puntellavano l’orizzonte irradiando la sua immagine per il mondo, aumentando la sua fama e amplificano i suoi argomenti di conversazione. Il tizio che vendeva poster con la faccia di Hillary come bersaglio mi ha fatto l’occhiolino. Ho deciso di andare via prima per evitare il traffico e salvaguardare le mie facoltà mentali.
Sulla via del ritorno, mi sono fermato in un negozio di cibi biologici. Forse avevo bisogno di crogiolarmi nel mio essere liberal, in prodotti organici e bibite probiotiche. Poi però ho scambiato due parole con un tipo che lavorava nel reparto delle vitamine, ed è stato in quel momento che ho iniziato a sentire che potremmo essere condannati. Trump e Hillary sono ugualmente dannosi, ha detto. Sì, sono entrambi dannosi, ho detto, ma non allo stesso modo, secondo me. Gli ho descritto la scena a cui avevo appena assistito, i ragazzi bastonati. Lui ha dissentito. Trump è razzista e orribile per diversi motivi – ma gli è capitato di sentire che Hillary vuole rendere obbligatori i vaccini. Dopo più di un anno di tortura elettorale, questo è ciò che resta: email mancanti, aggressioni di gruppo, e immaginarie cospirazioni pro-vaccino. La rabbia del pubblico di Trump mi ha contagiato. Volevo schiaffeggiarlo con un cespo di cavolo a chilometro zero. Invece ho detto buonanotte, e sono andata a casa.
(Articolo pubblicato per gentile concessione di n+1. Traduzione di Alessandra Castellazzi e Nicolò Porcelluzzi.)