U na settimana prima del referendum con cui lз inglesi hanno scelto di uscire dall’Unione Europea, Jo Cox, strenua oppositrice della Brexit, è stata uccisa dal suprematista bianco di estrema destra Tommy Mair, il quale prima di scagliarsi contro di lei pare che abbia gridato Britain first! Era il giugno del 2016 e Cox stava lavorando a una commissione di inchiesta sulla solitudine, quella che poi avrebbe preso il suo nome: la Jo Cox Loneliness Commission. Dando seguito al lavoro della deputata laburista, nel 2018 il governo di Theresa May ha istituito un vero e proprio Ministry of Loneliness per contrastare la solitudine e l’isolamento sociale, con tanto di servizio di chatbot su WhatsApp e una Loneliness Awareness Week. Nel 2021 il Loneliness Annual Report ha identificato il problema come una priorità politica, tale da richiedere uno stanziamento speciale di 750 milioni di sterline. Dal report emerge che, se da una parte l’isolamento imposto dalla pandemia di Covid19 ha solo reso più evidente e acuto l’impatto della solitudine sulla vita delle persone, dall’altra ha riacceso il senso di comunità e spinto moltз a diventare volontariз, ad esempio fornendo compagnia a distanza e supporto telefonico per i soggetti più fragili. Oltre alla raccolta dei dati, il report offre anche alcune linee guida per de-stigmatizzare la solitudine, individuando strategie utili alla sua socializzazione e al suo inserimento nell’agenda politica.
Quando l’artista Rebecca Moccia mi ha raccontato di questo curioso dicastero, e del suo progetto che prende il nome proprio dal Ministry of Loneliness, non ero a conoscenza delle ricerche di Jo Cox o del fatto che la Gran Bretagna abbia il primato di “loneliness capital of Europe”. Del resto, come afferma Fay Bound Alberti – che di questo sentimento ha scritto una vera e propria storia (A Biography of Loneliness: The History of an Emotion, Oxford University Press, 2019) – nel contesto britannico la solitudine, questo stato emotivo tipicamente moderno prodotto dalla società neoliberale, ha acquisito essa stessa i tratti di un’epidemia, qualcosa di contagioso. Sentirsi isolatз, infatti, è tutt’altro che una questione privata o, almeno, non lo è in via esclusiva. Lo spiega bene Noreena Hertz ne Il secolo della solitudine. L’importanza della comunità nell’economia e nella vita di tutti i giorni (Il saggiatore, 2021):
La solitudine non [è] solo il sentirsi privi di amore, compagnia o intimità. Non si tratta nemmeno solo di sentirsi ignorati, invisibili o trascurati da coloro con cui interagiamo regolarmente; il nostro partner, la famiglia, gli amici e i vicini. Si tratta anche di sentirsi senza sostegno e cura da parte dei nostri concittadini, dei datori di lavoro, della comunità, del governo. È essere distanti non solo da quelli a cui dovremmo sentirci vicini, ma anche da noi stessi. Non è solo la mancanza di sostegno in un contesto sociale o familiare, ma anche sentirsi politicamente ed economicamente esclusi.
La solitudine, infatti, è una questione politica, un sentimento collettivo che pertiene allo stato di salute emotiva e comportamentale di una comunità intera più che di un singolo individuo. È questo l’assunto di partenza, semplice ma nient’affatto scontato, di Moccia. Il rapporto che intercorre tra questo stato e il suo contesto può tradursi in una condizione patologica tutta contemporanea all’origine di un distacco profondo della persona dalla sua rete sociale. Del resto, non stupisce constatare che secondo alcune ricerche del Ministry of Loneliness la solitudine affligge non solo lз anziani ma anche lз adolescenti e lз bambinз, nonché gli stessi nuclei familiari che non hanno accesso a reti sociali forti o non sono in grado di mantenerle. Sul sito del Ministero, infatti, sono disponibili raccomandazioni rivolte ai vari target e contenuti user-friendly, ma anche diversi report che stabiliscono gli indicatori e le strategie di misurazione e contrasto all’isolamento.
Nondimeno, alcune di queste ricerche si basano su assunti che Moccia, a ragion veduta, considera controversi: una in particolare ne valuta i costi economici, nello specifico, il loro impatto sullə datorə di lavoro, calcolato in termini di assenteismo, di aumento della spesa sanitaria e dell’uso di psicofarmaci. Quello dell’occupazione, del resto, è un aspetto centrale del problema: se è vero che avere un lavoro riduce il rischio di isolamento perché garantisce, almeno in linea teorica, l’accesso a una rete sociale di impegni e interessi condivisi, allo stesso tempo, in una cornice tardo-capitalista e neoliberista che incoraggia la flessibilità e la competitività, il lavoro diventa fonte di una separazione surrettizia e dolorosa della persona dalla sua comunità di riferimento. Non solo il tempo libero dedicato ad alimentare i rapporti interpersonali è drasticamente ridotto, ma è sempre più alto il numero di persone che cambiano frequentemente lavoro, oppure che optano per lo smart-working – anche qui con tutta una serie di contraddizioni che spesso non si risolvono a favore di una maggiore libertà nella gestione del tempo e dei contatti sociali. Si tratta di temi su cui Moccia inizia a riflettere durante il primo lockdown imposto dalla pandemia di Covid-19.
Il lockdown è stato, certo, un’occasione di auto-indagine e riflessione sul carattere strutturale della solitudine che stavo vivendo e percependo. Questa mi è parsa innanzitutto un impedimento insormontabile a qualsiasi cambiamento o messa in discussione dei limiti imposti dal dispositivo neoliberista alle nostre pratiche e visioni. Per questo la creazione di un ente pubblico preposto a monitorare e contrastare la solitudine dellз cittadinз mi è sembrata avere del potenziale e allo stesso tempo del paradossale.
Non è un caso che alcuni dei report del Ministry of Loneliness introducano la categoria di pandemic loneliness, distinta da quella di solitudine cronica e permanente, e spiegano come questa possa diventare più o meno patologica o diffusa a seconda che si appartenga a una minoranza o che ci si sposti tra città o campagna. In quest’ultimo caso, il ministero ha incoraggiato iniziative del terzo settore come quella del Rural Coffee Connect, un furgoncino pensato per attraversare le zone rurali e aiutare le persone a stabilire un primo contatto. Si tratta di una strategia che si ispira a un’idea di Mick Dore, proprietario del pub The Alexandra, il quale ha dato il via ai MeetUpMondays: dal 2018 ogni lunedì, all’ora di pranzo, Mick offre tè, caffè e panini gratis, incoraggiando chi per qualsiasi motivo è rimasto isolato ad uscire di casa e cercare un contatto (neo-genitorз, anzianз, persone che si sono appena trasferite in città o che hanno perso il lavoro).
Durante la sua permanenza londinese, Moccia ha frequentato con regolarità i MeetUpMondays, ma anche i Chatty Cafè e la Sunday Assembly. I primi fanno parte di una rete di oltre 400 bar – fondata nel 2019 da un’assistente sociale di Manchester, Alex Hoskyn – dove ci si può recare per chiacchierare. La seconda è una sorta di congrega laica dove persone senza nessun legame di tipo etnico o religioso, si ritrovano ogni domenica per parlare, condividere situazioni conviviali, cantare e ballare. La prassi dell’artista, infatti, consiste nell’individuare dei contesti da analizzare come dei veri e propri casi studio, nei quali inserirsi e porsi da osservatrice partecipante. Così, prendendo parte anche agli incontri di Extinction Rebellion, Moccia ha studiato le strategie con cui questo movimento di eco-attivistз (nato proprio in UK) crea comunità a partire dalla condivisione di un ideale comune: le assemblee di XR, infatti, sono sempre precedute da un momento in cui lз partecipanti, in cerchio, si chiedono come stanno, mettendo in pratica un’etica radicale della relazione che sta alla base della loro idea di attivismo. Viene da chiedersi quanto le cause e i sintomi della solitudine siano equiparabili al nesso tra il cambiamento climatico e l’ecoansia, anche questa una condizione tutta contemporanea che si manifesta come un’emozione fisiologica negativa e potenzialmente patologica, con effetti paralizzanti e inibitori rispetto alla possibilità di sentirsi presenti a sз stessз e in contatto col mondo.
In alcuni casi questi possono rasentare anche il senso di colpa, generato dal fatto di trovarsi in uno stato che impedisce di rientrare negli standard di performatività richiesti dalla socialità contemporanea, e il cui rovescio, altrettanto insidioso, sembra risiedere in quella sorta di “solitudine colpevole” di cui parla Nicola Lagioia proprio in una conversazione con l’artista. Lo scrittore la riconduce al narcisismo di chi fa fatica a distogliersi da se stessз, che si confonde con la paura e sfuma il confine tra bene e male. Ne La città dei vivi Lagioia scrive:
Se tuttavia dovevo indicare, subito dopo l’istinto di sopraffazione, il male che sembrava precedere gli altri, l’avrei rintracciato in una particolare solitudine. La solitudine che, tanto più se affollata, ci fa marcire nel nostro ego e che è tutt’uno con le parole di non essere compresi, di venire feriti, derubati, danneggiati. La paura che ingrassa le nostre sfere invisibili, che ci porta a calcolare nell’angoscia. La paura attraverso cui passa, pervertito, persino il bene che ci sforziamo di fare.
Che produca colpevolezza o senso di colpa, la solitudine ha a che fare non solo con le dinamiche di gruppo, ma anche con l’importanza che i luoghi e lo spazio rivestono nell’orientare il comportamento, facilitando o inibendo una situazione. Infatti, muovendo dalla convinzione che la forma e le caratteristiche fisiche dello spazio influenzano la postura, la gestualità e la prossemica, l’artista indaga come l’architettura e lo spazio influiscano sul comportamento e le decisioni delle persone, favorendo o meno la socialità e la formazione di comunità. Ad esempio, dopo aver visitato il Parlamento britannico e averne consultato gli archivi, si è concentrata sul fatto che la pianta della House of Commons del palazzo di Westminster si basa su una logica oppositiva che vede fronteggiarsi i due partiti che la compongono entro la doppia red line tracciata sul tappeto della sala – la cui distanza di sicurezza corrisponde al cosiddetto “tiro di spada”. Moccia ha parzialmente ricreato la pianta di Westminster in scala 1:1 nel suo studio presso Outset England, performando la planimetria dell’edificio in una sorta di rievocazione personale, fisica e simbolica, in cui lo spazio della sfera pubblica e quello della sfera privata si sovrappongono.
È a partire da questa forma di impersonificazione che l’artista esplora le condizioni di possibilità per una politicizzazione della solitudine. “Soprattutto all’interno dell’attuale post-pandemic state of mind”, afferma, è necessario “trasformare il dolore in strumento di lotta”, per contrastare l’alienazione politica alla base di quello sconfortante isolamento che ci rende insicuri circa la verità della nostra esperienza. Moccia si richiama all’idea di Political Loneliness di Jennifer Gaffney (Political Loneliness: Modern Liberal Subjects in Hiding, Rowman & Littlefield Publishers, 2020), elaborata dalla studiosa a partire da una rilettura della nozione di Worldlessness di Hannah Arendt. La mancanza di mondo è un sentimento che oscilla tra il senso della perdita e quello dell’espropriazione, e rinvia all’impossibilità di condividere con lз altrз cose, sistemi di significato e istituzioni. È una paralizzante condizione di impoliticità che rischia di radicalizzare la privatizzazione del disagio, puntualmente respinto come se fosse un problema personale e non l’effetto del capitalismo. Si pensi alle richieste di performatività della società del benessere, dinanzi ai cui standard, la percezione di inadeguatezza diventa un effetto collaterale che può rasentare il senso di colpa.
La loneliness strategy del ministero, infatti, risponde a un modello neoliberista di sviluppo economico che è la causa principale dell’isolamento di molte persone. Coerentemente con quanto emerso anche nel dibattito parlamentare intorno al problema, la ricerca di Moccia, non solo mette in luce l’ambivalenza dei significati attribuibili all’esperienza della solitudine, ma mostra anche come la linea del ministero “rischi di porre l’accento più sull’idea di wellness che di welfare”, che rende le strategie sinora descritte dei deboli palliativi per una condizione i cui agenti scatenanti sono radicati nel profondo del tessuto sociale e riconducibili al quadro economico e normativo del paese. Nel caso della solitudine tipica delle zone rurali, ad esempio, ci si chiede quanto non sia più importante potenziare il trasporto pubblico o l’accesso gratuito agli spazi e ai beni comuni.
Inoltre, a partire da una riflessione sulle metafore che usiamo per descrivere le sensazioni associate a uno stato di solitudine – si pensi all’idea della freddezza emotiva o di calore umano – Moccia ha tentato una mise-en-image di questa condizione concentrandosi sulle sue qualità atmosferiche. Munita di una termocamera, l’artista ha realizzato una serie di immagini termografiche dei luoghi e delle persone in cui si è imbattuta durante la ricerca: situazioni più o meno intime, o luoghi dalla forte carica emotiva e significato politico. How Cold As You Are è il titolo della serie, che comprende, fra gli altri, lo studio di Sigmund Freud, la tomba di Karl Marx ad Highgate Cemetery, il complesso residenziale brutalista Alexandra Road Estate, luoghi che rinviano al rapporto, materiale e simbolico, tra dimensione sociale e intima della salute emotiva: alle dinamiche dell’interazione sociale nel caso delle esperienze abitative popolari, al trattamento patologizzante di alcuni stati emotivi nel caso dello studio Freud e al suo superamento grazie alla condivisione di un obiettivo comune attraverso l’azione politica collettiva nel caso della tomba di Marx.
Come tutte le tecnologie ottiche e sonore più sofisticate, il thermal imaging è stato sviluppato in ambito militare per vedere oltre i muri captando le radiazioni infrarosse di un corpo anche in condizioni di scarsa visibilità. Le immagini termografiche di Moccia, più che semplici frammenti di flânerie urbana, sono la traccia di una presenza invisibile, ma soprattutto di un contatto, di un vero e proprio sfondamento del confine tra il Sé e l’Altro. Pensate dall’artista come “gradienti di intensità emotiva”, esse si danno come la percezione di qualcosa che solitamente rimane in un limbo opaco di senso fra dentro e fuori, anche qui fra spazio pubblico e privato.
A riprova dell’ambiguità che fa di questo stato emotivo qualcosa di imprendibile, che sfugge a un’analisi coerente, basti pensare che ad oggi la maggior parte degli studi sul tema utilizzano uno dei pochi tentativi di mettere a punto una scala di intensità elaborata nel 1979 dalla University of California. L’UCLA, questo il nome della scala, si basa su un questionario che presuppone un approccio più empirico alla solitudine e cerca di individuare la ricorrenza di un certo stato emotivo, usando immagini o modi di dire che ne esprimono l’appartenenza tanto a un microcosmo etico-politico, quanto a una sorta di atmosfera o tonalità affettiva: “How often do you feel that you are ‘in tune’ with the people around you? How often do you feel that there are people you can talk to? How often do you feel that your interests and ideas are not shared by those around you?”. Moccia, in particolare, ha fatto di questa scala uno strumento di ricerca artistica, forzandone proprio gli aspetti empirici per mettere in evidenza il carattere materiale, fisico e corporeo, della solitudine. Con approccio generativo, infatti, l’artista ha estrapolato dalle interviste e dai report gli aggettivi più ricorrenti riportandoli in un nuovo set di domande che sottopone al pubblico delle sue installazioni: “How often do you feel cold?”, “How often do you feel faded?”, “How often do you feel invisible?”.
Quando nel 1966 i Beatles si chiedevano “All the lonely people. Where do they all come from?, All the lonely people. Where do they all belong?”, la solitudine non era ancora stata riconosciuta come un problema sociale. Mezzo secolo dopo, mi pare che la risposta a questa e alle altre domande, si trovi nella nozione stessa di comunità o, verrebbe da dire, nella felice espressione “More In Commons” incisa nello stemma di Jo Cox a Westminster.
*Il progetto The Ministry of Loneliness di Rebecca Moccia ha vinto l’edizione 2021 dell’Italian Council. Una prima restituzione è stata ospitata nel mese di giugno 2022 presso Jupiter Woods (Londra); mentre una selezione dei materiali raccolti e le note di lavoro compongono gli elementi di una narrazione visiva consultabile sul sito dell’ente. Dopo la seconda e la terza tappa del progetto – che avranno luogo rispettivamente negli Stati Uniti (con il supporto di Magazzino Italian Art) e in Giappone (con il supporto dell’Ambasciata Italiana a Tokyo) – nel 2023 gli esiti della ricerca confluiranno in una pubblicazione e in una mostra presso Fondazione ICA Milano.