Ivan Carozzi
/ Immagine: dettaglio dal manifesto "occhio ragazzi"
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3.6.2021
Due volti di Firenze
Una conversazione con la cantante Angelica Scardigli sulla Firenze degli anni Ottanta: la musica, lo stile, e il processo Pacciani.
Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di "Figli delle stelle" (Baldini e Castoldi, 2014), "Macao" (Feltrinelli digital, 2012), "Teneri violenti" (Einaudi Stile Libero, 2016) e "L'età della tigre" (Il Saggiatore, 2019).
A
metà degli anni Ottanta, la vita quotidiana a Firenze vive una contraddizione. Da una parte gli omicidi del mostro di Firenze (dodici vittime tra il 1981 e il 1985), la mobilitazione di un importante apparato investigativo e le campagne promosse dagli enti locali con lo slogan “Occhio ragazzi”: uno spot tv da trenta secondi, un milione e ottocentomila cartoline diffuse negli ostelli, nei campeggi, nelle stazioni, oltre a ventimila locandine dove un testo tradotto in cinque lingue è accompagnato dall’effigie di un grande occhio, ideato dallo scenografo e designer Mario Lovergine. Dall’altra, invece, una città che entro il perimetro delle porte è nottambula, febbrile, apparentemente non intimidita. Firenze è infatti il centro più creativo e all’avanguardia degli anni Ottanta, dove nascono nuove etichette discografiche e band dal cipiglio algido e mitteleuropeo (Neon, Diaframma, Litfiba, Moda, Pankow, Danseur Boxeur, etc).
Tra gli articoli e i reportage dello scrittore Pier Vittorio Tondelli raccolti in Un weekend postmoderno, ci sono molte pagine dedicate a Firenze. Tondelli si è invaghito di Firenze — e viceversa. A Firenze incontra lo spirito del tempo, brioso e infuturato, che si manifesta, girando per feste e vernissage, nell’incontro con alcune giovani donne e con un diminutivo anglicizzante: “la Giuly, la Donny, la Marty, la Papy, la Uly, la Francy, l’Anny, la Wally”. Nel tragitto a bordo di un furgoncino Bedford, carico di stilisti emergenti, che dalla discoteca Manila di Campi Bisenzio corre e sbanda verso un albergo in centro, è compendiato l’umore festaiolo e promiscuo delle notti fiorentine: “(…) steso a terra fra abiti e maglierie, a ogni curva che il furgone affrontava, piombavano sullo stomaco appendiabiti e sportine e fagotti e beauty e stendini (…) senza parlare poi degli accessori in legno di una ragazza francese, pericolosi come proiettili”. “C’è la Firenze del turismo giovanile railpass e carte di credito”, scrive ancora Tondelli, “dove i segnali luminosi rosseggiano intermittenti, la luce pulsa a intervalli irregolari” e “c’è la Firenze internazionale delle avanguardie teatrali e dei laser portati sull’Arno dai Krypton (…) C’è la Firenze della progettazione ambientale e del design (…) c’è la vivissima Firenze della gallerie d’arte, Skema, per esempio (…) C’è la Firenze elettronica della computer art dei Giovanotti Mondani Meccanici”; e infine “c’è una Firenze del delitto e del mistero”.
La città fluo e cinetica del teatro, della moda, delle chiese illuminate di notte, del concerto gratis di Echo and the Bunnymen sotto il loggiato degli Uffizi, delle creste punk (look gallinaceo, secondo le tassonomie coniate da Tondelli), appare distante dalla Firenze collinare del mostro, dei guardoni con i microfoni a ventosa, delle viuzze sterrate di San Casciano o Montespertoli rischiarate da una falce di luna. Due mondi a parte. Non c’è contatto né intersezione. Eccetto in un caso, particolare e specifico, emerso nelle cronache processuali. È la storia di una band minore, i New\Da, nata in quell’irripetibile momento artistico, qua e là ribattezzato Rinascimento Rock. Per un periodo i New\Da si ritrovarono in una casa di proprietà di Pietro Pacciani, il principale sospettato dei delitti del mostro. In quella casa avevano portato gli strumenti e allestito una piccola sala prove. Quando ne uscirono, i muri erano probabilmente tappezzati con l’occhio ideato da Mario Lovergine, che pareva l’ingrandimento di una di quelle vecchie incisioni con cui gli artisti hanno indagato il legame tra le emozioni e il volto umano. Angelica Scardigli è stata la cantante dei New\Da, per i quali scriveva i testi di brani come Streghe, Teheran o Schock. Aveva un approccio all’uso della voce molto personale, simile a quello di musicisti appartenenti ai filoni più neri e selvatici del dark e del post-punk. Ad Angelica ho chiesto di raccontarmi di quei due mondi che per un istante si sono toccati nella sua biografia: Firenze città, la vita con la sua ex band e poi i paesini cinti dalle vigne, il circuito delle case del popolo e infine l’incontro con un contadino residente a Mercatale Val di Pesa e originario di Vicchio del Mugello, Pietro Pacciani, a lungo accusato di essere il mostro.
Quando sono nati i New\Da?
I New\Da nascono tra il 1984 e il 1985, nel periodo in cui mi diplomavo a scuola. Era l’epoca delle grandi compagnie. Gli unici ad andare a scuola eravamo io e il ragazzo che sarebbe diventato il chitarrista, ma tutti gli altri erano operai e durante la settimana lavoravano in fabbrica. C’era questa continua cappa di paura dovuta alle notizie sul mostro e anche per questa ragione decidemmo di prendere una casa in affitto (la casa di proprietà di Pietro Pacciani, di cui parleremo più avanti, Ndr). Volevamo uno spazio tutto per noi e iniziare a suonare. Dopo aver trovato la casa, comprammo gli strumenti. Il chitarrista era di Firenze, io di Ginestra Fiorentina, gli altri di Cerbaia, Vinci e San Casciano. Mentre imparavamo a fare musica, in gruppo ci spostavamo per andare a Firenze e frequentare locali come il Tenax, il KGB, il Discipline, la Flog, dove si poteva ascoltare un certo tipo di suono e incontrare gente arrivata da Berlino o da Londra, Federico Fiumani dei Diaframma o Marcello Michelotti dei Neon, e poi ci si muoveva per andare a vedere i concerti o gli spettacoli teatrali. Tra i primi concerti che ho visto e che mi colpì moltissimo ci fu quello dei Not Moving, dove suonava il mio caro amico Dome La Muerte, poi i Litfiba, i Neon, i Sybil Vane, i Diaframma, gli Wilderness Underground, insomma la scena di Firenze di allora. Ma c’erano anche piccoli centri molto attivi, come Certaldo, grazie alla disponibilità dell’ARCI e alle Case del Popolo, che ospitavano rassegne musicali o concedevano spazi alle band per provare e fare concerti. A scuola avevo studiato moda e costume teatrale. Ricordo il gruppo dei Krypton e lo spettacolo l’Eneide (la colonna sonora era stata realizzata dai Litfiba, Ndr). Nell’Eneide si trovavano mescolati molti nuovi linguaggi, compresa la musica elettronica, il che all’epoca fu una grande innovazione.
Da chi siete stati influenzati?
Joy Division, Bahuahus, Clock DVA, Cure, Nick Cave, Tom Waits, CCCP -che ho visto varie volte, alle Cascine e a Empoli- ma soprattutto, nel mio caso, Nina Hagen.
Dove suonavate?
Nelle Case del Popolo, nei circoli ARCI, alle feste private, ma pure in qualche galleria d’arte… una volta capitò che a Controradio (storica radio libera fiorentina nata nel 1975, vicina ai movimenti e alle sottoculture giovanili, Ndr) annunciarono un nostro concerto in non so quale galleria, ma il fatto è che noi non ne sapevamo nulla: io ero a casa e gli altri del gruppo a vendemmiare. Il nostro primo concerto è stato a Empoli, credo nel 1986. La formazione era basso, chitarra, synth e batteria elettronica. Tiziano Pieraccini, Samuele Guidi, Giuseppe Bindi. La scelta cadde sulla batteria elettronica, una Roland, perché non c’era abbastanza spazio nella casa che avevamo preso in affitto da Pacciani, ma poi ci siamo appassionati e con la batteria elettronica ci siamo divertiti tantissimo. Una volta suonammo in un locale di Montespertoli. In quell’occasione avevo fatto portare sul palco un grande televisore, di quelli vecchi col tubo catodico, mentre un amico falegname mi aveva costruito un martello enorme. Durante il concerto presi a martellate la tv, come protesta nei confronti di un certo tipo di televisione che stava dilagando proprio in quel momento, cioè la tv commerciale della Fininvest, dove vedevamo cose che non ci piacevano, come gli yuppies e i giovani rampanti, così diedi una martellata al televisore e il televisore esplose in faccia al bassista, il nostro secondo bassista, dato che il primo, avendo avuto qualche problema con la legge, si era defilato.
E che è successo?
Un macello, nel senso che il bassista si era ferito in faccia per l’esplosione, ma nel frattempo il pubblico si era galvanizzato per quel momento di caos e aveva iniziato a pogare.
Il tuo stile vocale, così estremo e tagliente, mi ha ricordato Guggi e Gavin Friday dei Virgin Prunes…
Vero, anche se il mio riferimento principale era Nina Hagen.
Questo tuo stile appare molto evidente in Streghe. Come è nato quel brano?
In quel periodo la donna, soprattutto nell’uso che ne veniva fatto sulle tv private, era tornata a essere un oggetto, era stata di nuovo degradata. Quando nel brano e nel cantato provavo a evocare l’atmosfera del rogo e ripetevo le parole l’anima morta\l’anima morta, volevo riferirmi tanto alla umiliazione della donna e della femminilità, quanto più in generale a un tentativo di mortificazione che riguardava l’anima di tutto, di tutte le cose del mondo.
Che cosa leggevi all’epoca?
Tantissimi fumetti: Frigidaire, Alter Alter, Totem, Pilot, L’eternauta, Metal Hurlant e poi per la musica Rockerilla e Rockstar. Purtroppo quella bellissima collezione di fumetti fece una brutta fine. Un mio caro amico e compagno di classe si ritirò da scuola perché doveva andare a lavorare. Mi chiese di prestargli la mia collezione, intera, perché comunque voleva continuare a disegnare e a tenere allenata la mano, poi però successe che il mio amico non stette più bene di testa e un giorno prese i fumetti e li bruciò in un falò.
Come ti vestivi?
Il mio colore preferito era il nero. Come per tanti altri ragazzi e ragazze all’epoca, giocare con i travestimenti era un modo per esprimersi. Magari andavo a scuola con l’abito da sera, i guanti lunghi, il velo, i pizzi o un tupè di capelli neri lunghissimi. Una volta entrai in classe col vestito da sposa di mia mamma. Ma non ero certo io la più strana… Pensa che un mio amico una volta si presentò in classe con la camicia di forza e una mia compagna di classe venne invitata in tv da Roberto D’Agostino, in una trasmissione di Renzo Arbore, per mostrare al pubblico televisivo che cos’erano lo stile e la moda dark. Era il florilegio della vita fiorentina di allora, la creatività che attraversava tutto. I paninari io li vedevo come un quadrato, la forma geometrica del quadrato, mentre i dark erano il triangolo, la guglia, il movimento svettante e ascendente del gotico. La mia scuola in particolare, l’Istituto d’Arte di Porta Romana, era un luogo molto aperto e creativo. Facevamo lezione in un edificio storico con tanto di gipsoteca, dentro un parco accanto ai giardini di Boboli, nei locali che un tempo avevano ospitato le scuderie reali di Palazzo Pitti. Il mio riferimento era Nina Hagen, a cui somigliavo molto. I vestiti non li compravo, per la maggior parte me li fabbricavo da sola. Magari da un paio di pantaloni ricavavo una maglietta. Mi piacevano i tessuti a rete, le calze a rete o magari sotto il giubbotto chiodo portavo solo il reggiseno.
Come Madonna…
Però Madonna, con quei fiocconi che portava in testa negli anni Ottanta, secondo me aveva uno stile più vicino ai paninari.
Quando incontrate Pacciani?
Stavamo cercando un fondo per ritrovarci e suonare. Ci aiutò un amico agente immobiliare, il quale ci disse di aver trovato un posto perfetto, a Mercatale Val di Pesa, dove avremmo potuto suonare e fare rumore quanto volevamo, visto che il proprietario era un tizio di cui tutti avevano paura e perciò nessuno avrebbe avuto il coraggio di protestare. Era una casa vera e propria. Cucina, camera, bagno e soffitta. Pacciani abitava poco più avanti, in Piazza del Popolo.
Quanto pagavate?
Duecentocinquantamila lire al mese.
Qual è il tuo primo ricordo di Pacciani?
La volta che lo vidi a casa sua. Era una casa molto particolare. Non era granché pulita e ordinata. Ci arrivò incontro questo signore tozzo, con la facciona rossa, mezzo sdentatoe con uno stuzzicadenti in bocca. Aveva i modi di fare del vecchio contadino toscano (una volta Pacciani, sbraitando e salendo ammanettato i gradini del vecchio tribunale di piazza San Firenze, a due passi da una casa in cui abitò Leonardo Da Vinci, si era autodefinito di fronte ai fotografi “un lavoratore della terra agricola”, Ndr). Nella casa c’erano varie figure sacre alle pareti, Madonne, Gesù eccetera, e intorno, incollati, ritagli pornografici e foto di falli. Devo dire che sul momento non ci fece paura, anzi, ci fece sorridere. Ci offrì del vino in bicchieri tutti opachi, sporchi, e mentre bevevamo ci tenne a farci sapere una cosa che sul momento ci sembrò un po’ disgustosa, cioè che l’uva di quel vino l’aveva pigiata lui, con i “mìpiedini”, disse. La casa che avevamo preso in affitto era perfetta per le nostre esigenze e ci restammo fino a quando non venne fuori la notizia del primo arresto, quello per le molestie e gli abusi subiti dalle due figlie.
A processo, durante la tua deposizione, hai parlato dei quadri che avevi visto a casa di Pacciani…
Sì, Pacciani volle farmi vedere i quadri che aveva dipinto, perché aveva saputo che anch’io dipingevo. Erano quadri molto lugubri. Bare, croci. Poi ci mostrò il quadro che lui aveva ribattezzato “Il quadro di Fata Scienza”, probabilmente sbagliandosi, volendo dire “Fantascienza”. Nel quadro c’era il personaggio del Generale della Morte, cioè uno scheletro vestito da militare. Era molto orgoglioso di questa opera, anche se poi venne fuori che l’aveva copiata. Mi fece tutta una spiegazione che aveva a che fare con dei cadaveri sistemati sul tetto e cose del genere. Insomma, tutto molto lugubre e cominciammo a non trovarlo più divertente e pensammo di tenerci un po’ più a distanza. Non ridevamo più. Inoltre, avevamo incontrato le due figlie e ci erano sembrate molto impaurite dalla figura del padre. Anche la moglie, poverina, ci era sembrata non molto in salute dal punto di vista mentale. La notizia dell’arresto per gli abusi sulle figlie ci turbò parecchio e cominciammo a chiederci in che razza di posto fossimo finiti, anche perché di lì a poco Pacciani diventò il principale sospettato per i delitti del mostro. In quel periodo eravamo proprio nel momento massimo della paura e della psicosi. Per strada e sui muri, ovunque, c’erano i famosi manifesti della polizia “Occhio ragazzi. Pericolo di aggressioni, è consigliato di non appartarsi”. Quando ce ne siamo andati da quella casa, siamo praticamente scappati. Eravamo spaventati. Il pezzo Shock dei New\Da è ispirato a quel momento.
Che ricadute ha avuto sulla tua vita questa storia?
È una storia di cui non è facile dimenticarsi, anche perché l’ho vissuta da giovane. Ho fatto tre deposizioni in aula. In tribunale ho avuto modo d’incrociare i parenti delle vittime ed è stata un’esperienza forte, anche perché mi sono resa conto dell’enorme dolore che questa storia ha provocato, una tragedia che forse il rumore mediatico ha impedito di comprendere fino in fondo. In particolare scambiai qualche parola con il padre di una delle vittime, un signore molto gentile, che mi ringraziò per la testimonianza e mi disse che avevo l’età della figlia. Anche la band dopo non molto si sciolse. Non fu direttamente a causa della vicenda Pacciani, ma sicuramente quella storia modificò gli equilibri tra di noi. Tutti i membri della band sono stati ascoltati dal giudice, ma nessuno ha mai saputo che cosa ha detto l’altro, a causa del segreto istruttorio.
Ma tu sei tra quelli che credono che Pacciani sia il mostro oppure no?
No, credo di no. Era parte di un giro di guardoni e probabilmente sapeva molte cose, ma il mostro secondo me non era lui. Il mostro era qualcuno in grado di fare quello che il mostro ha fatto, quindi capace di tagliare e asportare con precisione.
Su YouTube sono disponibili decine e decine di ricostruzioni e dibattiti sul caso del mostro di Firenze. Il film Il mostro di Firenze è il video più visto sul tema: 14 milioni di visualizzazioni. Il canale Il mostro di Firenze conta 34.900 iscritti. Nella settimana in cui questo articolo è stato scritto, su YouTube sono stati caricati circa venti nuovi video riguardanti il mostro di Firenze. Durante la pandemia sono andati live diversi incontri sul mostro. La trasmissione Atlantide di La 7 nel marzo scorso ha dedicato al mostro uno speciale di quasi tre ore: oltre 600.000 spettatori e il 3% di share (ma c’era Chi l’ha visto su Rai Tre con una nuova puntata sul caso di Denise Pipitone, che ha fatto oltre il 20% di ascolti). Insomma, esiste una vasta nicchia di appassionati, che qualcuno ha chiamato“comunità mostrologica”. La comunità mostrologica è formata da centinaia, forse migliaia di persone, che a oltre trent’anni dai fatti persistono a questionare sulla vicenda, leggono articoli, libri, riascoltano le voci di Mario Vanni o della teste gamma Gabriella Ghiribelli, ne sono ossessionate, ma pure solleticate, intrattenute, affascinate, per il passo e la soavità, evocatrice di storia e paesaggio, del vernacolo fiorentino e dei frequenti toscanismi (il governare l’orto, il gingilluccio, l’affaruccio, lo scapponno o il le si abbracciono e le si salutonno usati da Pacciani); e poi partecipano a forum e discussioni on line, come succede per la serie Breaking bad o il romanzo Il signore degli anelli, dove si discute di una certa volpe imbalsamata o del proiettile rinvenuto nell’orto di Pacciani. Lo scrittore Carlo Lucarelli è pessimista, dice che la verità su questa storia non verrà mai fuori. Vale per il mostro di Firenze ciò che Leonardo Sciascia scrisse per l’affaire Moro: si ha l’impressione che il caso “sia già stato scritto, che viva in una sfera di intoccabile perfezione letteraria”.
Al termine della nostra chiacchierata, chiedo ad Angelica se anche a lei succede ogni tanto di aprire YouTube e digitare sulla finestra di ricerca “mostro di Firenze”, come a molti capita di fare ogni tanto, nella solitudine delle interazioni col proprio PC. “In realtà no”, dice Angelica,“cerco di tenermi lontana da questa storia. Non ne ho mai parlato pubblicamente, lo faccio di rado privatamente, non ho mai fatto interviste, anche se sono stata cercata tante volte, da giornalisti e curiosi, però ho sempre detto di no ed è mia intenzione continuare a farlo. Non ho nulla da aggiungere a quanto ho già detto ai magistrati. Mi andava di parlare di Firenze, della mia band e di un periodo della mia vita, perciò ho fatto un’eccezione, ma del mostro non voglio più sapere nulla”.