M achiavelli pensava che si potesse sbrogliare l’ingarbugliata matassa dei fatti politici dell’Italia rinascimentale semplicemente concentrandosi sulle due tensioni che nel Principe chiamava coi bei nomi latineggianti di fortuna e di virtù. Da una parte stava il caso e l’imprevisto improvviso, dall’altra la capacità di cogliere al volo l’occasione, di rispondere alle sue botte, di navigare le acque agitate di una realtà volubile.
Il corso di Emmanuel Macron incuriosisce i pochi osservatori politici francesi che non ne sono già stati sedotti. La sua avanzata in questa campagna è stata costante, tanto che sembrava possedere i tratti, a volte, dell’inevitabile: ogni ostacolo che avrebbe potuto intralciarne il cammino è stato scalzato dal corso degli eventi, spesso senza neppure richiedere un suo intervento. Ripercorrendo rapidamente i momenti chiave della sua ascesa, viene quasi spontaneo domandarsi: è mai esistito un politico francese più fortunato?
La fortuna di Emmanuel Macron
Il primo ostacolo per Macron veniva dalla candidatura di Alain Juppé alla guida de Les Républicains, la destra presidenziale francese. L’esperto sindaco di Bordeaux sembrava in grado di sottrargli il centro politico dell’opinione, ma le primarie del suo partito, vinte in modo schiacciante da François Fillon, hanno subito annullato questa insidia.
Lo stesso Fillon ha quindi attraversato un periodo di grave crisi in seguito a una serie di scandali rivelati dalla stampa. Una situazione peraltro esacerbata dal tipo di campagna imbastita da Fillon per differenziarsi da Sarkozy sul terreno della moralità. In questo periodo il suo discorso politico si è di conseguenza spostato su posizioni sempre meno centriste – è arrivato al punto di parlare di un colpo di stato socialista –, tanto da ricevere le critiche molto dure dello stesso Juppé e, soprattutto, da convincere definitivamente Bayrou, il leader di un piccolo partito, il MoDem, a donare al leader del movimento di Macron, En Marche!, un sostegno da qualcuno stimato a volte attorno ai dieci punti percentuali.
Nel frattempo anche il Partito Socialista decideva di seguire la via delle primarie. E lì Manuel Valls, capo del governo di cui Macron era stato ministro dell’economia, veniva battuto da Benoit Hamon, uno dei responsabili della minoranza del Partito Socialista, capace di mobilitare quella parte di elettorato depressa dal mandato del presidente della Repubblica uscente François Hollande, criticando l’esperienza del governo socialista e lanciando una promessa choc, il reddito universale di cittadinanza, ora molto ridimensionata.
Le insidie poste dalle eventuali candidature di Juppé, Fillon, Hollande, Mélenchon, Valls e Bayrou sono state superate senza che il candidato di En Marche abbia dovuto fare il minimo sforzo.
Valls, come Juppé, avrebbe posto dei gravi problemi all’allargamento al centro della campagna di Macron, potendo contare sull’apparato ancora potente del Partito Socialista. Forse ancora più di Juppé, Valls avrebbe messo in crisi la candidatura di Macron ricordandone le convergenze con Hollande e ponendolo in una posizione retoricamente molto complicata da sostenere in una campagna elettorale. In qualche modo la stessa in cui si trovava Fillon, primo ministro nominato da Sarkozy, durante le primarie e che lo aveva costretto a prendere il rischio di differenziarsi sul tema della moralità politica per non dovere assumere il ruolo di subordinazione della sua precedente esperienza di primo ministro.
La vittoria di Hamon racchiude in sé un ulteriore elemento che finisce per conferire un’aura di provvidenzialità all’avanzata di Macron. La posizione di sinistra del candidato, infatti, ha finito per complicare le possibilità di Mélenchon di arrivare al secondo turno dell’elezione, mettendo uno contro l’altro sul terreno della sinistra due candidati per certi versi simili che si neutralizzano a vicenda. Il sostegno di Valls a Macron, inizialmente soltanto implicito, è dunque ormai diventato anch’esso esplicito.
Anche soltanto da questa rapidissima ricostruzione degli ultimi mesi di politica francese, si capirà qual è stata la fortuna di Macron. Le insidie poste dalle eventuali candidature di Juppé, Fillon, Hollande, Mélenchon, Valls e Bayrou sono state definitivamente o in parte superate senza che il candidato di En Marche abbia dovuto fare il minimo sforzo. Come nel Salmo, la sua avanzata è sembrata ineluttabile, accrescendo l’impressione di essere di fronte ad un predestinato. Come Davide, Macron potrebbe davvero dire: quando i miei avversari e nemici mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
La virtù di Emmanuel Macron
Emile Zola lo sapeva bene: la conquista di una fortuna è dovuta all’accaparramento o persino all’estorsione del capitale economico o politico che in certi momenti favorevoli diventa disponibile perché qualcun altro non è più in grado di conservarlo. Ritroviamo qui, nel calembour che ci porta dalla Fortune des Rougon a quella di Macron, il modo di pensare coniato da Machiavelli, una sua certa ontologia fondata sul fluire imperterrito e incostante, in cui la parola Stato designa un’intenzione più che un dato di fatto.
La rivoluzione machiavelliana in fondo consiste nell’introduzione del concetto di “divenire” nel campo delle preoccupazioni della filosofia politica fino ad allora molto più interessata ai problemi sostanziali e alle definizioni morali. In quest’ordine instabile, in cui la conservazione e la stabilità non sono mai un fatto, in cui ogni bastimento imbarca acqua e il naufragio è virtuale, bisogna quindi saper cogliere l’occasione, uscire dalla prudenza che porta gli uomini a “entrare sempre per vie battute”. La tradizionale immoralità attribuita al Principe risiede principalmente in questo momento di anomia che costituisce l’inizio di un nuovo corso, un momento in cui il Politico non deve rispondere ad altre leggi che a quelle della presa del timone, cioè del potere.
Analizzando il caso Macron, Machiavelli avrebbe probabilmente giustificato questa sua corsa senza ostacoli con un’affinità quasi elettiva con la fortuna “amica de’ giovani, perché sono meno respettivi, più feroci e con più audacia comandano”. Emmanuel Macron non ha dovuto quasi mai, durante la sua campagna, partecipare al processo che ha condotto alla caduta dei suoi principali avversari. Se la sua virtù ha avuto poche occasioni e nessuna necessità di mostrarsi finora, tutta la sua fortuna è comunque dovuta a una scelta che ne ha preparato il corso. Una scelta sicuramente poco respettiva, quasi feroce e certo audace: la sua candidatura alla presidenza da capo di una formazione politica nuovissima, chiamata colle iniziali del suo nome: En Marche!
Analizzando il caso Macron, Machiavelli avrebbe probabilmente giustificato questa sua corsa senza ostacoli con un’affinità quasi elettiva con la fortuna.
La fondazione nella primavera scorsa del movimento En Marche!, seguita a breve dalla caduta del governo Valls nell’estate, è infatti in parte responsabile di questo impressionante effetto domino che, soprattutto a causa della logica delle primarie, per certi versi incomprensibile in un’elezione già strutturata in due turni, ha sparigliato le “quadriglie bipolari” della famosa formula del costituzionalista francese Duverger, piazzando l’ultimo arrivato in una posizione quasi di privilegio.
Nel doppio turno della quinta repubblica, ogni partito deve infatti conquistare la supremazia nel suo campo e così Fillon deve limitare il Front National e Mélenchon cercare di conquistare i suffragi del Partito Socialista per poi conquistare il centro necessario alla vittoria finale. In questo contesto di crisi generalizzata delle organizzazioni dei partiti, Macron potrebbe essere riuscito in quello che non era riuscito a nessun altro storia politica della quinta Repubblica : diventare Presidente senza un partito.
Maledetta fortuna
Come ci ricorda Machiavelli, c’è però un problema nel fare affidamento alla fortuna. “Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica diventano, ma con assai si mantengono; e non hanno alcuna difficoltà fra via, perché vi volano: ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti.” Il problema irrisolto di una teoria politica fondata sul fluire è proprio quella di pensare uno stato che si mantenga. Giunto, secondo molti, alle soglie di un’improbabile vittoria, Macron deve ancora scegliere se può affidarsi soltanto all’abbraccio volubile della fortuna.
Nelle prossime settimane vedremo probabilmente sempre più chiaramente quali siano i limiti della sua virtù. Chi lo conosce personalmente sa che il più sorprendente talento di Emmanuel Macron sta nelle sua capacità di tessere e mantenere relazioni umane spesso apparentemente contraddittorie, grazie a un senso molto sviluppato della conversazione empatica e a una preparazione innegabile dovuta ai suoi studi nella scuola di alta amministrazione (ENA). La sua ascesa politica non deve nulla al suffragio elettorale ed è proprio dovuta, nella tradizione francese dei grandi consiglieri reali tra cui il banchiere Jacques Necker, a questa sua incredibile capacità.
Ma come tradurre questo talento politico quasi classico, nel senso che i francesi attribuiscono al termine, in un’epoca in cui undici candidati si affrontano avendo un minuto e mezzo di presa di parola o in cui gli interventi pubblici sono presi e ripresi in giro sui réseaux sociaux? L’assenza di un ethos politico consolidato, potrebbe porre il primo problema alla sua ascesa inevitabile. Macron non ha mai davvero dovuto affrontare un avversario politico in televisione, tolte alcune apparizioni durante il suo dicastero economico, le conferenze stampa e le interviste (in cui peraltro brillava) non ha mai dovuto svolgere attività politica a un livello tanto alto e complesso. Chi ha potuto assistere ai due dibattiti presidenziali avvenuti finora ha spesso avuto l’impressione di essere di fronte alla performance di un candidato preparato ed ambizioso per un concorso dell’alta funzione pubblica. La sua attitudine da tribuno è stata a tratti disastrosa, e molto presa in giro.
Il vero problema di Macron consiste nel fatto di essere considerato dalla campagna del Front National, ‘l’avversario ideale’, che vorrebbe imporre una ripetizione dello scontro Trump contro Hillary.
Se non è facile però trovare lo stile giusto per connettersi con l’elettorato, il vero problema di Macron consiste nel fatto di essere considerato dalla campagna del Front National, “l’avversario ideale”. Non sembra difficile capire come mai. Macron, banchiere di Rothschild, dal passato molto chiacchierato, ministro dell’economia fiero dei suoi vestiti, potrebbe permettere a Marine Le Pen di trovare un avversario perfetto per smobilitare il fronte repubblicano — ovvero l’alleanza tattica in funzione anti-FN che aveva già dato delle percentuali sovietiche a Jacques Chirac nel 2001 quando il padre di Marine Le Pen era giunto al secondo turno. Il Front National, partendo da logiche completamente diverse, vorrebbe imporre una ripetizione dello scontro Trump contro Hillary, in cui la farsa si presenterebbe fin da subito in tragedia.
In un certo senso, come in quell’elezione potrebbero svolgere un ruolo ancora più importante le rivelazioni di un passato forse difficile da gestire per un candidato che non ha ancora mai dovuto affrontare una crisi o un ostacolo, accompagnato da un vero e proprio sistema di fortuna. Le notizie di attacchi informatici alla campagna potrebbero in questo senso rappresentare un problema molto grave per Macron soprattutto se riuscisse a passare il primo turno e si dovesse trovare ad affrontare uno stillicidio di piccoli scandali o uno scandalo improvviso.
La fortuna come rito
La fortuna è spesso descritta dalla radicale misoginia dell’autore di Belfagòr o il diavolo che prese moglie come una donna volubile, un’amante da “tenere sotto, battere, urtare”. La nostra sensibilità ci impone di capire la metafora in un altro senso. Potremmo quindi pensare alla fortuna come a una forma ciclica di accumulazione intensa e improvvisa che, in un’ottica quasi rituale, si sviluppa al punto di arrivare alla propria perdita spettacolare, a meno di sforzi spesso peraltro insufficienti.
Il Valentino, Cesare Borgia, l’uomo a cui con una certa civetteria anti-moralista Machiavelli attribuiva la prudenza e la virtù necessaria per diventare un modello del governo, diventa così il protagonista di una tragedia che si fonda sul riconoscimento e sull’agnizione. La volubilità della fortuna, determinando la morte del padre, il papa Alessandro a cui doveva protezione e autorità territoriale, e la sua malattia, mostra quindi nel suo contrario i doni di cui può disporre. La presa si rivela essere un momento della perdita. Prendere è come perdere.
Napoleone è la figura più incredibile di questo processo: balzato grazie all’avvicendarsi della fortuna alla testa dell’Impero continentale, è caduto e si è rialzato: due volte nella polvere, due volte sull’altare.
La storia francese ha avuto nella figura di Napoleone forse il più incredibile esempio di questo strano processo. Un piccolo caporale corso, balzato grazie all’avvicendarsi della fortuna alla testa dell’Impero continentale, cadendo e rialzandosi: due volte nella polvere, due volte sull’altare. Balzac che, come tutti gli autori che succedono alla crisi napoleonica è ossessionato dall’ascesa e dalla caduta dell’imperatore, è probabilmente quello che riesce in modo più compiuto coll’enorme galleria dei personaggi della sua Commedia umana una descrizione sistematica dei diversi tratti della figura di Bonaparte. Rigiocando per così dire in un’infinità di variazioni la vita dell’imperatore decaduto, cerca di mostrarne le infinite possibilità che propone la fortuna alla virtù.
Così ecco che Rastignac, l’ambizioso, immorale e abilissimo uomo venuto dalla provincia, promesso alla ascesa costante grazie ai doni favoriti dalla fortuna e a una perfetta virtù, viene spesso associato, forse anche in una funzione apotropaica, a Macron. Non molti hanno però hanno associato Macron all’altro “grande uomo di provincia a Parigi” della Commedia umana, Lucien de Rubempré. Il personaggio principale delle Illusions perdues ha più di un tratto in comune col candidato di En Marche. Dotato di un grande talento, forse a volte persino troppo, scoperto e aiutato da una signora più anziana, abilissimo nelle relazioni umane e capace di ascendere con una rapidità sconcertante, Lucien viene assorbito dal vortice parigino che ne fa uno dei suoi esponenti di spicco, soltanto per poi, con un improvviso cambio del corso della fortuna, contemplare la sua rovinosa caduta.
Tra Rastignac e Lucien, il futuro di Macron, forse, passerà attraverso le alternative proposte dalla fortuna.