M ai come nell’ultimo anno, con il boom delle intelligenze artificiali generative, siamo stati coinvolti così da vicino nel dibattito sulla differenza tra autenticità e finzione. Il dizionario Merriam-Webster ha eletto “autentico” come parola del 2023. Il discorso sull’autenticità è profondamente attuale: riguarda infatti anche il nostro sistema economico: i nostri paradigmi di produzione, di consumo, parimenti materiali e simbolici.
Andiamo alla ricerca dell’autenticità nella nostra quotidianità. È qualcosa per cui siamo disposti a pagare un prezzo maggiore. Un valore ineffabile che rende automaticamente un prodotto, un’esperienza, un’interazione degna del nostro tempo e della nostra attenzione.
Vediamo questo meccanismo in azione nell’ influencer economy, che con l’attenzione ha parecchio a che fare: siamo attratti dalle personalità e esperienze di vita sincere, recensioni di libri come se si parlasse al bar, tortellini come se te li cucinasse la nonna, ci interessiamo alla vita delle e persone che consideriamo più vicine alla realtà. Razionalmente sappiamo che in una dimensione di spettacolo e performance la verità non esiste, o è sepolta sotto talmente tanti strati da scomparire. Ma l’autenticità, con la verità, ha ben poco a che fare.
La resistenza alla società industriale
Possiamo analizzare la nostra ansia di autenticità come cartina di tornasole di molti aspetti della modernità, o della post-modernità. Il 23 gennaio è uscito in open access per UCL Press il libro di esordio del ricercatore italiano Alessandro Gerosa, intitolato The Hipster Economy. Taste and Authenticity in Late Stage Capitalism, un saggio sul ruolo che la nostra cultura ha assegnato al concetto di autentico. Il dilemma dell’autenticità resta attuale anche oggi, in un tempo sospeso tra civiltà delle macchine e società umana, tra individuo e logiche di produzione, tra creatività e alienazione.
Fin dalla nascita della società industriale, e poi nell’era del consumo e dell’iper-consumo abbiamo creato questo spettro, quello della vita autentica. Uno dei primi movimenti culturali che hanno dato corpo a questa fantasia è stato quello romantico. E proprio a partire dall’epoca della prima rivoluzione industriale Gerosa dà inizio alla sua analisi critica: “Il romanticismo è un movimento molto complesso, e a tratti contraddittorio”, spiega il ricercatore. “Ma in diversi autori romantici, a partire da Rousseau, che ne è stato uno dei principali ispiratori, ritroviamo l’idea che l’incipiente logica capitalista si stia trasformando in un elemento di oppressione dell’individuo”. Nel corso dell’evoluzione del sistema economico corrente abbiamo assistito in diverse forme alla necessità di fuga dalla produzione di massa, dall’omologazione degli stili di vita. “La ricerca dell’autenticità è sempre stato un concetto intrinsecamente polemico” continua Gerosa. “In epoca romantica si declina come resistenza dell’individuo all’incipiente massificazione della società, e all’emergere del modo di produzione della società industriale”. L’autenticità parte quindi come immaginario di resistenza: l’estetica si fa, per la prima volta, cifra di un progetto politico.
Definire l’autenticità
Dopo l’excursus storico, The Hipster economy si concentra soprattutto sul periodo che va dagli anni Settanta del Novecento ai nostri giorni, quello della transizione verso il neoliberismo e il modello di produzione post-fordista, e soprattutto di una “estetica hip nel regime di consumo, basata sull’autenticità”. La definizione proposta nel libro di “autenticità” si compone di tre dimensioni, tutte in opposizione ai meccanismi di alienazione propri della società industriale. “Il primo elemento che analizzo è proprio questa opposizione, l’autentico come ricerca di autonomia”, prosegue Gerosa. “ La seconda dimensione della definizione di autenticità è l’espressione creativa dell’io all’interno del sistema come resistenza alla mercificazione, delle relazioni sociali e delle espressioni individuali. Il terzo elemento da considerare è la valorizzazione dell’unicità delle esperienze di vita che tendono alla standardizzazione sotto il capitalismo”. Autentico, dunque, significa libero dai meccanismi della società industriale, e libero di creare qualcosa che non ne rispetti i canoni costrittivi.
L’autenticità è stata stella polare di tanti movimenti che negli ultimi trecento anni hanno cercato una soluzione dall’alienazione. Oggi autentico è un paradigma di consumo.
“Per comprendere a fondo le tre dimensioni dell’alienazione sotto la società capitalista, l’esempio perfetto è quello della marcia del video musicale di Another Brick in the Wall dei Pink Floyd: tutti gli umani si trasformano in martelli e poi fanno una marcia al passo dell’oca. Individui fondamentalmente capaci di espressione creativa vengono trasformati in martelli, oggetti capaci di un solo gesto ripetitivo, e determinato da altri e non da loro stessi. Sono inoltre costretti a marciare allo stesso passo dell’oca all’unisono, dunque in una forma di standardizzazione totale, in cui chiunque è identico a chiunque altro”.
La cifra del tardo-capitalismo
Come si declina questo concetto multi-dimensionale nel contesto non più di una società romantica o fordista, ma all’epoca del neoliberismo e del metodo di produzione post-fordista? E ancora: che forme assume la ricerca dell’autentico nei contesti dell’economia contemporanea? Gli ultimi decenni del Ventesimo secolo sono stati caratterizzati, almeno in Occidente, da un’organizzazione della produzione detta post-fordista. Nel fordismo il lavoro era organizzato generalmente in grandi stabilimenti orientati alla produzione standardizzata. Dai tardi anni Settanta in poi emerge un nuovo paradigma, quello della produzione flessibile, o lean production. La domanda di beni si fa più diversificata, e la produzione si adatta di conseguenza, con lotti più piccoli, processi più veloci e riduzione dei costi. Oggi ci troviamo uno step più avanti, possiamo dire: produzione e consumo sono quasi personalizzati, targettizzati sull’individuo, anche grazie alle tecnologie digitali che lo permettono.
Il regime di produzione e di consumo in cui ci troviamo rende quindi il concetto di “consumo autentico” particolarmente ambiguo. L’autenticità è stata un po’ una stella polare di tutti quei movimenti e di tutte quelle persone che negli ultimi 300 anni nella società occidentale hanno cercato una fuga e una soluzione dall’alienazione. Oggi autentico è un paradigma di consumo, a cavallo tra la strategia di marketing e la necessità di trovare una via di fuga da un capitalismo che continua a inglobare sempre più aspetti della nostra identità. Un concetto che continua a essere sfuggente.
“Una cosa in cui il capitalismo eccelle, lo sappiamo”, illustra Gerosa. “è incorporare ogni forma di critica e farne una fonte di profitto. Lo diceva già Rosa Luxemburg: qualunque fenomeno rilevante nella società viene trasformato in una fonte di riproduzione del capitale stesso. Le sottoculture sono un esempio rilevante in questo ambito: basta a guardare a quelle musicali: se pensiamo al punk, si parte dai Clash negli anni Settanta e si arriva ad Avril Lavigne. Le controculture hanno usato in maniera potente l’idea di autenticità. Ma oggi questo ideale, questo paradigma da modalità e pratica di resistenza, è entrato nel reame del marketing”.
L’economia hipster e il neo-artigianato
“Tutti siamo, o ci comportiamo, un po’ da hipster” mi racconta Alessandro Gerosa. “Quando scegliamo una birreria con una selezione di birre artigianali al posto della solita lager, o un bar con cocktail unici ideati dal barista invece del solito gin tonic”. Negli ultimi vent’anni si è assistito a un’esplosione del neo-artigianato: imprese che usano materie prime di qualità, valori etici di fondo e filosofie basate proprio sul concetto di autenticità. Si legge nel libro:
Non solo un’estetica alla moda è alla base della centralità acquisita dall’artigianato nell’economia e nel marketing contemporanei, come qualità da possedere e come processo da mettere in atto – un’estetica hip ispira un gran numero di persone (giovani e di classe media) a diventare a diventare piccoli imprenditori con obiettivi etici; domina economicamente e visivamente il panorama del commercio al dettaglio urbano delle città contemporanee.
Il neo artigianato è una modalità creativa e produttiva che ricerca l’autenticità come fuga dall’alienazione. Spesso ha anche a che fare con radicali cambi di vita delle persone che danno impulso a questi progetti: il consulente di città che decide di lasciare il suo lavoro per mettere su una food truck artigianale, la studentessa che investe i risparmi di famiglia in un mobilificio autogestito. Ma è anche un regime di marketing, e per questo, un segnale di appartenenza di classe.
La ricerca dell’autenticità nei consumi è qualcosa che fa appello alla classe media.
Prosegue Gerosa: “Senza dubbio la ricerca dell’autenticità nei consumi è qualcosa che fa appello alla classe media, non certo a chi ha il problema di portare il pane in tavola tutti i giorni, che vive l’alienazione capitalista in maniera molto più diretta”. Autentico può voler dire anche esclusivo, di nicchia, inaccessibile. “E’ facile trovare contraddizioni nelle esperienze di economia hipster”, conclude il ricercatore. “D’altronde, ci muoviamo in un’economia capitalista. E’ importante che dai protagonisti dell’economia dell’autenticità si sviluppino delle riflessioni anche di stampo collettivo, perché le imprese neo-artigianali e tutta l’economia dell’autentico non restino solo elementi cosmetici accessibili a pochi”.