D ove c’è guerra c’è oppio. Se esistono anche le condizioni ambientali per coltivarlo, si intende. Così, mentre gli occhi di tutti sono generalmente puntati sull’Afghanistan – dove l’invasione Usa non ha ridotto bensì aumentato la produzione oltre il livello precedente al bando talebano del luglio 2000 – il vecchio Triangolo d’Oro tra Birmania, Laos, Thailandia e Vietnam risale la speciale classifica proprio a causa di una guerra sconosciuta.
Birmania, Myanmar: negli ultimi dieci anni la quantità di terreno utilizzato per la coltivazione di papavero – dalla cui linfa si estrae l’oppio usato per produrre l’eroina – è più che raddoppiato. Secondo le Nazioni Unite, il Paese rappresenta oggi oltre il 25 per cento della superficie mondiale coltivata a papavero, e di fatto è il secondo produttore dopo l’Afghanistan. La stragrande quantità è prodotta dai contadini poveri che abitano le aree di confine nord-orientali, gli altopiani degli Stati Shan e Kachin, a ridosso della Cina. Nel 2012, alcuni studi registrarono la presenza di coltivazioni di oppio in 49 delle 55 comunità dello Stato Shan, con il coinvolgimento di oltre duecentomila famiglie. È proprio questa l’area dove, dal 2011, è ripresa la guerra tra il Kachin Independent Army (Kia), l’esercito indipendentista della minoranza Kachin, e l’esercito birmano, il Tatmadaw, dopo una tregua di diciassette anni.
In queste aree di confine, l’economia dell’oppio è ambivalente: crea problemi mentre si propone di risolverli. Il reddito che genera permette ai coltivatori di evitare la miseria dovuta all’aumento dei prezzi alimentari, alle pesanti “tassazioni” da parte dei gruppi armati, e alla mancanza di investimenti pubblici nelle campagne. I contadini crescono il papavero perché non possono produrre abbastanza cibo per sfamare le proprie famiglie. Il Programma Alimentare Mondiale stima che quasi un milione di persone nello Stato Shan – un quinto della popolazione – soffra di “grave e cronica insicurezza alimentare”. Il reddito generato dall’oppio consente agli agricoltori di acquistare cibo e talvolta anche di coprire i costi di un’assistenza sanitaria e di un’istruzione rudimentale. Ma il produttore è spesso anche il consumatore e, negli Stati Shan e Kachin, l’abuso di droga ha preso molte più vite del conflitto, mentre il dilagare dell’eroina fa delle due aree confinanti gli epicentri dell’epidemia di HIV/AIDS nel Myanmar.
Il reddito generato dall’oppio consente agli agricoltori di acquistare cibo e di coprire i costi di un’assistenza sanitaria e di un’istruzione rudimentale. Ma il produttore è spesso anche il consumatore.
Quando nel 2014 visitai le aree sotto il controllo del Kia, parlai di questo problema con il prete cattolico di Laiza, la capitale dello Stato Kachin “indipendente”. I Kachin sono cristiani, in maggioranza protestanti ma anche cattolici (anche in questo caso, in opposizione alla maggioranza buddhista birmana), piuttosto rigidi a dire il vero. Padre Joseph era quindi un’autorità, un ometto sorridente e, sì, pretesco nel suo alternare banalità poco interessanti e preziosi indizi buttati qua e là. Una cosa interessante, però, la disse: secondo lui, addirittura la metà dei giovani Kachin era eroinomane. La droga accedeva al mercato mondiale dopo aver attraversato il Triangolo d’Oro ed essere poi passata in Thailandia e negli altri Paesi del Sudest Asiatico. Ma una parte dell’export andava invece in Cina e rimbalzava poi in Birmania per l’uso locale, così il consumatore doveva solo attraversare un torrente o alcuni campi di canna da zucchero per raggiungere il lato cinese e acquistare una dose da cinque yuan (meno di un euro).
Andai a visitare il locale campo di riabilitazione per tossicodipendenti , gestito dal Kia, che di fronte all’emergenza aveva vietato sia il traffico sia il consumo. A capo c’era un maggiore del Kia che mi spiegò la sua strategia di recupero/proibizione. Faceva leva soprattutto sulla promessa salvifica della religione. “Diamo a tutti una Bibbia e, dopo cinque giorni di trattamento con compresse di difenossilato [un oppiaceo sintetico, ndr], che compriamo in Cina, li introduciamo alle attività di gruppo”, raccontò. Aggiunse che dal 2010, quando il centro era stato aperto, erano transitati più di mille pazienti-detenuti. Non solo Kachin. C’erano birmani di Yangon e anche cinesi. In definitiva, tutti quelli che il Kia acchiappava sul territorio che controllava. “Siccome la nostra riabilitazione dura solo sei mesi – spiegò il maggiore – alcuni tossici cinesi vengono a farsi da questa parte del confine. Se li prendono a casa loro, si fanno almeno due anni. I nostri ospiti comprano droga soprattutto in Cina, a volte li spiamo perfino con il binocolo. Ma la collaborazione con le autorità cinesi è solo sulla carta. Capita che diamo loro tutte le prove per arrestare qualche spacciatore che traffica sul loro lato, ma raramente fanno qualcosa”.
Il fatto è che il papavero può crescere bene anche sulle terre sterili e sui dirupi scoscesi delle colline, dove invece la produzione di riso richiede una cura maggiore (ed è meno redditizia). A differenza delle altre colture idonee alla coltivazione in montagna – alberi da frutto, tè e caffè – il papavero da oppio produce entro soli quattro mesi. Questo lo rende una coltura ideale per contadini che hanno urgente bisogno di denaro, o costretti a creare dal nulla una piccola coltivazione dopo essere stati sfollati a causa del conflitto. E poi il mercato è ampio e garantito. Anche se la concorrenza dell’eroina afgana è pesante, la domanda della vicina Cina – il mercato mondiale in più rapida ascesa – mantiene alti i prezzi dell’oppio.
Ma il boom della produzione di stupefacenti nelle zone di confine del Myanmar non ha solo cause economico-sociali, bensì anche politiche. Il traffico è da sempre parte integrante dell’economia di guerra, fin dai tempi delle raffinerie di eroina installate nella foresta dai cinesi nazionalisti riparati in Birmania dopo la sconfitta nella guerra civile. Negli ultimi dieci anni, la produzione è però aumentata anche nel territorio sotto il controllo del governo. Oltre a garantire un reddito aggiuntivo ai membri di un esercito che da sempre sfugge al controllo del potere politico, è parte integrante delle strategie utilizzate dal Tatmadaw per controllare il territorio in una regione preziosa per l’abbondanza di risorse naturali e per ragioni strategiche –in quanto corridoio verso la Cina.
Scendere a patti e tassare i coltivatori di oppio, i commercianti e i trafficanti, è diventato un semplice mezzo con cui le unità dell’esercito di stanza nello Stato Shan si auto-finanziano, in conformità con le richieste del comando centrale che le invita a mantenersi da sole invece di spedire rifornimenti. Molto spesso, i dati sulla distruzione delle colture sono falsi: servono a tenere buoni gli organismi internazionali.
Il traffico è da sempre parte integrante dell’economia di guerra, fin dai tempi delle raffinerie di eroina installate nella foresta dai cinesi nazionalisti. Negli ultimi dieci anni, la produzione è però aumentata anche nel territorio controllato dal governo.
Il traffico di droga è utilizzato dall’esercito birmano anche come modo per finanziare le milizie locali che svolgono compiti di sicurezza e di contro-insurrezione. In un circolo vizioso, queste milizie sono state dispiegate per proteggere oleodotti, gasdotti e dighe in tutta l’area di confine. Certo, non sono pagate direttamente dal governo, ma in cambio dei loro servizi sono libere di fare il proprio business: tassare i contadini, raffinare eroina e venderla. Così, i comandanti militari non si sporcano le mani con il traffico di droga ma al contempo, grazie alle milizie fedeli, lo sottraggono ai gruppi di insorti.
Nel campo di riabilitazione di Maijayang – un’altra località sotto il controllo del Kia – parlai con un uomo che si chiamava Lazing Htoi Shang, 43 anni, tossico, spacciatore ed ex disertore dell’esercito Kachin, nonché lì detenuto. “Detenuto” non è un termine scelto a caso: quando andai in visita in quello che mi apparve poco meno di un campo di concentramento, 53 persone tra drogati e pusher stavano incollate una all’altra in celle de 16 metri quadrati: dodici o tredici per ciascuna. “All’inizio bevevo solo alcolici – mi raccontò Lazing – poi ho cominciato a farmi per via delle cattive compagnie. Compravo l’eroina a Loi Je, nel territorio Kachin occupato dai birmani”.
Raccontò di essere entrato nell’esercito nell’89. Nel ’98 aveva disertato, poi aveva fatto il contadino. Quando la guerra era ricominciata, nel 2011, era tornato nell’esercito. Si faceva al fronte. Una vita tra guerra, campi, eroina.