I n un pomeriggio di inizio novembre, Mega Trisnawatii posa sul lungomare di Ancol, la località balneare all’estremo nord di Jakarta che durante il fine settimana si riempie di famiglie, coppie, gruppi di amici e turisti. Il fotografo è Febry, suo marito. Ha al collo una macchina digitale e nel marsupio un bambino di un anno che sta dormendo. Finito lo scatto con il mare di sfondo, Mega si toglie le scarpe con il tacco e raccoglie un grande sacchetto pieno di vestiti. La loro giornata di shooting è finita e insieme all’altro bambino di tre anni che li accompagna, si dirigono alla macchina.
Mega è una celebrity di Instagram, ha 26 anni e 39.600 follower. Indossa abiti di noti marchi di moda musulmani e quest’anno è brand ambassador di Amily. La si può trovare nella homepage del marchio indonesiano con il capo coperto da lunghi hijab colorati e il corpo avvolto da fluttuanti abiti che le arrivano alle caviglie. Fabry ha 37 anni, fino a due anni fa lavorava come impiegato ma ha dato le dimissioni per dedicarsi a seguire Mega e la sua carriera. In poco tempo ha imparato a usare i programmi per ritoccare le foto e ora passa le sue giornate a cercare location adatte a ritrarre la moglie. “Mi interessa trovare posti particolari, oltre che belli” spiega. Il suo nuovo lavoro gli piace e gli permette di guadagnare molto di più: “Ci pagano 250 mila rupie (quasi 18 dollari) a foto e oggi ne abbiamo fatte 12. Quando va bene riusciamo ad arrivare a 30 milioni di rupie al mese (più di 2.000 dollari).” Mega e Fabry si sono sposati con un matrimonio combinato dalle loro famiglie e dicono di essere felici.
Come Mega sono moltissime le ragazze in Indonesia che hanno trovato in Instagram una fonte di guadagno. La maggior parte sono diventate un punto di riferimento per la moda musulmana, altre sponsorizzano trucchi e creme e altre ancora, in modo molto sottile, sono ambasciatrici di uno stile di vita “lontano dal peccato” e più vicino alla religione e alle dottrine dell’Islam. Uno stile di vita che in Indonesia ha milioni di proseliti e che ha dato nome a un trend: “hijrah” prendendo spunto dal significato storico della parola ‘ègira che indica l’esodo di Maometto, assieme ai primi devoti musulmani, dalla natia Mecca alla volta di Medina per sfuggire all’oppressione della tribù dei Quraish.
In Indonesia, le persone che hanno abbracciato questo movimento sono soprattutto giovani che trovano le loro guide spirituali sui social network. Elma ha 23 anni ed è una collaboratrice della rivista femminista digitale Magdalene. La incontro nel bar del coworking dove il magazine ha la sua sede e mi racconta che da piccola ha frequentato una scuola coranica e che in passato portava il velo, ma che crescendo ha messo in discussione il modo dogmatico in cui praticava la sua fede. Oggi ha i capelli corti tinti di biondo e con i suoi articoli analizza con ironia le tendenze dei giovani musulmani indonesiani. “L’anno scorso, sotto copertura, sono andata all’incontro di due ‘Insta Celebs’ – mi racconta – si chiamano Natta Reza e Wardah Maulina e sono l’emblema di una coppia di giovanissimi che si è sposata senza essersi mai incontrata prima di persona. All’incontro Natta ha ricordato di aver chiesto a Wardah di sposarlo con un messaggio in Instagram e di come lei, arrabbiata, gli rispose di rivolgersi a suo padre.” Netta ha un milione e cinquecentomila follower mentre Wardah ne vanta 100mila in più. Le loro foto rappresentano la tipica coppia di fidanzati felici che fanno cose “cool”: viaggiano, hanno belle macchine, vestiti alla moda. L’unica cosa diversa da una coppia di consumisti occidentali è che Wardah – oggi proprietaria di un suo fashion brand – indossa sempre il niqab e ad accompagnare le immagini ci sono versetti del Corano e frasi che invitano chi legge a vivere la vita coniugale nel rispetto dei precetti dell’Islam. C’è anche un video che rappresenta appieno il rapporto che i due hanno o che vogliono far credere di avere: Natta che viene imboccato da Wardah in diversi ristoranti senza che lei tocchi mai cibo.
Secondo quanto ha osservato Elma, negli ultimi tempi fenomeni come Reza e Maulina sono sempre più comuni e sono diventati portavoce di comportamenti che prima d’ora non appartenevano al modo liberale e tollerante di interpretare l’Islam in Indonesia, come appunto i matrimoni combinati e la poligamia. Nikita Devi Purnama, 29 anni, è amica di Elma. È esperta in studi di genere e fa parte del SETARA Institute for Democracy and Peace, un network di ricercatori che studia il fondamentalismo, le discriminazione e la violenza che minacciano il pluralismo e i diritti umani in Indonesia. “Moltissimi nostri coetanei si stanno avvicinando all’hijrah. Escono meno, frequentano bar senza musica e si affidano alle famiglie per trovare un partner. Io ho una cugina – racconta – che da un giorno all’altro è passata dall’uscire la sera nei locali e bere alcolici, a indossare un hijab lungo fino alle ginocchia. Non sa spiegare bene il perché, ma dice di sentirsi più serena, e quando l’ho vista al compleanno di mia zia aveva anche cominciato a usare frasi e modi di dire in arabo.”
Neqy, 33 anni, è una attivista di perEMPUan, una community che vuole combattere le violenze sessuali nei luoghi pubblici e sui mezzi di trasporto. Ha da poco pubblicato una piccola guida alla prevenzione che si può scaricare liberamente dall’account Instagram del network. Per scriverla sono state intervistate 500 studentesse. “La cosa più difficile è stata convincere le persone che anche le ragazze che indossano il velo sono oggetto di molestie. Il modo di vestire non c’entra nulla e l’hijab non ci protegge dagli abusi.” Neqy racconta che anche sua mamma, una donna che ha sempre lavorato e appartiene alla classe media di Jakarta, sta abbracciando l’hijrah. “Essere madre e avere una carriera non è semplice qui, e lei è come se fosse arrivata a un punto in cui ha bisogno di avere qualcosa che le dia pace, a cui affidarsi” mi spiega. Neqy indossa l’hijab e la sua coscienza femminista è cresciuta in parallelo con il suo avvicinamento alla religione: “Al contrario di quanto forse si crede in Occidente – afferma – il movimento femminista nel mondo musulmano esiste, è forte ed è fondamentale per arginare gli integralismi.” Neqy ha sei tatuaggi, il primo che ha fatto è una scritta in arabo: “Salam, vuol dire ‘pace’ ed è composto dalle stesse lettere di Islam”.
È di questa opinione la scrittrice Abigail Limuria, 25 anni, autrice di Lalita, che in sanscrito significa “bella”. Il libro è una raccolta di 51 storie di donne indonesiane che hanno dato il loro contributo alla crescita della nazione, dalla quindicenne Isabel Wijsen che combatte l’utilizzo di buste di plastica a Bali, alla settantenne Martha Tilaar, fonsatrice e CEO di una grande industria di cosmetici indonesiana. Lalita è l’ideale risposta indonesiana al famoso Storie della buonanotte per bambine ribelli: “Ci sono moltissime donne inspiring in quel volume – spiega Abigail – ma nessuna ci rappresenta davvero. Quando parliamo di modelli di ruolo, troppe volte pensiamo a figure maschili o a donne straniere, il nostro libro vuole offrire alle giovani lettrici delle alternative reali in cui riconoscersi”. Secondo Abigail in Indonesia la politica usa come linguaggio predominante quello dei social network e se è vero che le correnti più estremiste hanno trovato un linguaggio efficace per attirare possibili seguaci, anche le parti moderate e progressiste stanno rispondendo offrendo ai giovani modelli alternativi altrettanto validi.
Con i suoi oltre 272 milioni di abitanti, l’Indonesia è il quarto paese più abitato dopo Cina, India e Stati Uniti ed è anche il paese a maggioranza musulmana più popoloso del mondo. I dati del censimento della popolazione del 2018 mostrano che le persone in età riproduttiva (15-64 anni) hanno raggiunto circa il 67,6%, il che significa che il paese è in una nuova fase, nota come bonus demografico.“Bonus demografico – mi spiega Neqy – significa che davanti a noi ci sono due vie: possiamo diventare una generazione di nuovi leader con un peso considerevole, o possiamo trasformarci in esercito di disoccupati frustrati. E significa anche che siamo un mercato potenziale enorme per l’Islam radicale” aggiunge.
Certo per il presidente mantenere un equilibrio tra le forze non è semplice: “Jokowi deve seguire una linea sottile nell’affrontare la sfida islamista per garantire che la politica della sua amministrazione nei loro confronti non limiti i loro diritti costituzionali – riflette su The Diplomat Alexander Arifianto, ricercatore in Studi politici all’Università di Singapore – Alcune delle azioni proposte dai suoi funzionari – come la preselezione di tutti i sermoni del venerdì e la registrazione obbligatoria dei gruppi di predicazione – comunemente utilizzate dai governi del Medio Oriente per reprimere la minaccia estremista, potrebbero violare le garanzie costituzionali di libertà di religione e libertà di associazione sancite dalla Costituzione indonesiana.”
Ma se la radicalizzazione delle nuove generazioni è un fenomeno evidente e molto raccontato, è importante evidenziare anche le realtà che invece vanno in una direzione completamente diversa, quella della tecnologia e della creatività che include tutti, ragazzi e ragazze. Un esempio è SSR Jakarta, un’università aperta nel 2011 come filiale asiatica dell’omonima accademia di musica con sede a Manchester e che nel corso degli anni ha trovato una sua direzione particolare. Sandra Robles è la direttrice, originaria delle Filippine ma trasferitasi a Jakarta molto tempo fa. Nella sua vita precedente era un agente immobiliare e forse per questo motivo è riuscita a trovare una sede così grande e funzionale per SSR. “Questa era una scuola per tate che venivano mandate in Arabia Saudita a lavorare. Da qui l’architettura araba che si nota nella facciata. Ma quando il governo indonesiano interruppe l’accordo che aveva con Riyad, l’edificio rimase vuoto e lo acquistammo. Ho dovuto sbarazzarmi di centinaia di letti, culle, water… ” ricorda.
Oggi SSR ha messo da parte l’insegnamento della musica per incoraggiare i corsi di animazione.“C’è molta richiesta – spiega Sandra – fino a qualche anno fa gli animatori indonesiani lavoravano ‘nascosti’ per case di produzione cinesi o giapponesi che ci subappaltavano grosse commissioni americane, ad esempio. Ma adesso iniziamo a rivendicare il nostro ruolo e le nostre capacità.” Il governo indonesiano ha compreso il contributo che queste professioni possono apportare all’economia del paese e aiuta con importanti borse di studio. Quando visito SSR all’inizio di novembre, ci sono oltre 100 studenti che provengono non solo dall’isola di Java ma da tutta l’Indonesia e sono lì per seguire corsi intensivi e interamente finanziati.
Meri Khomsatun Nikmah ha 17 anni e viene da Cilacap, Giava Centrale. Indossa l’hijab come molte sue compagne di classe e sta seguendo un corso di sceneggiatura. Adora il genere fantasy e l’horror e sta lavorando alla storia di due ragazze che grazie a una tavola Ouija trovata in un negozio di antiquariato iniziano a comunicare con gli spiriti. La trama di Meri è complessa e tragica – lo spirito di un bambino uccide una delle due ragazze – ma quando me lo racconta vedo molta ammirazione nei volti dei suoi compagni. Nazheen invece ha 16 anni, vive nella capitale e studia graphic design. È alla SSR per seguire un corso di storyboard per cartoni animati, adora la fantascienza e vorrebbe studiare l’animazione 2D. “È più difficile del 3D, che è tutto digitale, perché devi saper disegnare molto bene – spiega – ma è quello che preferisco.” Secondo Yuka Dian Narendra, docente alla facoltà di Arte della Matana University, nonostante le opposte forze in azione, questo è un momento positivo per la gioventù indonesiana, specialmente per le ragazze. “Oggi le giovani leggono di più e meglio, e hanno modelli di riferimento diversi rispetto al passato.”
Narendra ha studiato a fondo il mondo underground della musica metal e ha scritto una tesi su un gruppo chiamato VoB – Voice of Baceprot,“noisy” in Sundanese, composto da tre teenager provenienti da un piccolo villaggio della provincia di Garut, nella parte occidentale di Java, a undici ore di macchina dalla capitale Jakarta. “La loro storia è emblematica – spiega – perché pur vivendo in un contesto rurale e frequentando delle scuole che raramente lasciano spazio alla libera espressione degli alunni, sono riuscite a seguire la loro passione e si sono fatte spazio in un mondo, come quello della musica metal, che in Indonesia è ancora a predominanza maschile.” Per Yuka, VoB rappresenta un esempio di nuovo modello per le giovani indonesiane: “Sono loro stesse, fanno quello che gli piace e per di più lo fanno bene”.
Su suo consiglio incontro le quattro componenti di Zirah (armatura), un gruppo rock composto esclusivamente da ragazze, tutte ventenni. Al contrario delle musiciste di VoB nessuna di loro indossa l’hijab, ma in un programma trasmesso online la loro storia è stata raccontata assieme a quella delle metallare di Garut. “In molti sotto hanno commentato dicendo che noi siamo meno brave. Non è stato piacevole ma è vero, loro sono delle vere professioniste, noi ci siamo emozionate. Però non siamo invidiose, anzi le ascoltiamo e seguiamo con ammirazione.” Le ragazze di Zirah vivono nella zona Sud di Jakarta, quella più moderna, piena di locali, piccole librerie, cinema indipendenti e studi di registrazione, eppure anche per loro affermarsi nel panorama musicale indonesiano non è stato semplice. Raissa è la chitarrista del gruppo, studia audio engineering al SAE Institute e nella sua classe è l’unica ragazza: “In tutta la scuola siamo solo in quattro” racconta.
Le ragazze di Zirah però non si sentono minacciate nella loro libertà e sono sicure che continueranno a suonare insieme, anche in futuro. Hanno scelto di cantare in indonesiano perché vogliono parlare ai loro coetanei senza scimmiottare lingue che non gli appartengono. Anche per loro il presidente sta giocando bene le sue carte e mentre parliamo, al piano di sopra di un vecchio mercato rimodernato, pieno di chioschi che vendono brownies, succhi tropicali, moda alternativa e vinili, l’ipotesi di un paese governato dalla sharia sembra decisamente improbabile. Ma osservare con attenzione quanto accade tra i diversi gruppi di giovani indonesiani dovrebbe essere una priorità anche per l’Occidente. Se nei prossimi anni Jokowi non dovesse riuscire a tenere isolate le spinte più radicali che mirano a dissolvere il pluralismo dell’Indonesia, sarà una sconfitta per tutti, non solo per il “lontano” sud-est asiatico. Al contrario, se questi milioni di giovani cresceranno nella libertà di pensiero e avranno accesso a una buona istruzione, seguendo la prima possibile via offerta dal bonus demografico, sarà affascinante vedere quali nuovi equilibri mondiali si delineeranno.