E mmanuel Macron scende dall’auto e Angela Merkel arriva velocemente per stringergli la mano. Sorrisi, gentilezze, saluti entusiasti. Gran parte dei telegiornali del mondo spiegano che il neoeletto Macron e Angela Merkel rilanceranno l’Europa. Che cosa questo voglia dire, però, non è ancora chiaro. I due leader si incontrano a Berlino in un momento in cui Francia e Germania sono a un bivio epocale. Nonostante l’Inno alla Gioia fatto intonare da Macron sull’esplanade du Louvre, l’asse franco-tedesco rischia di essere sempre più una questione bilaterale di cui l’UE è solo una cornice necessaria. Il rapporto tra i due paesi appartiene a un passato fatto di guerre, pacificazioni, alleanze, ribaltamenti. Oggi, invece, quel rapporto significa più di 100 miliardi di export annuale dalla Germania alla Francia e poco meno di 70 miliardi in senso opposto. La Germania è da tempo molto più forte della Francia, fatta eccezione per la forza militare, dove i francesi continuano a essere potenza nucleare e, in tempi di crisi progressiva dell’equilibrio atlantico, potranno far valere questo primato sul tavolo delle trattative europee. Il destino dell’asse franco-tedesco sarà soprattutto conseguenza dell’incontro della sua storia con gli shock geopolitici contemporanei.
Charles de Gaulle e il cavallo tedesco
Settembre 1870: l’esercito prussiano del generale Von Moltke sta assediando Parigi. Pochi mesi dopo, mentre i parigini stremati sono costretti a mangiarsi gli animali dello zoo, Otto von Bismarck riunisce i principi tedeschi nella Reggia di Versailles e Guglielmo I di Prussia viene proclamato imperatore. È il 18 gennaio 1871 e il tanto temuto Impero Tedesco nasce nel cuore della Francia sconfitta. Seguirà mezzo secolo di vendette e milioni di morti. Il 14 giugno 1940 le armate hitleriane marciano nelle strade di Parigi, ma cinque anni dopo è la Francia che si aggiudica un pezzo della Berlino occupata e ridotta in macerie.
La nuova Germania occidentale del dopoguerra è un paese sotto tutela militare e l’affermazione internazionale tedesca è solo possibile sul piano dell’espansione commerciale. Anche se mutilata, tuttavia, la Germania preoccupa ancora molti francesi. Alcuni di loro iniziano a pensare a un’unione commerciale europea per disinnescare l’eterno conflitto franco-tedesco. Il 9 maggio 1950 il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman presenta l’idea di una comunità del carbone e dell’acciaio fra Germania dell’Ovest, Francia e altri paesi europei. Si tratta di quella CECA che porterà alla nascita della CEE nel 1957 e dell’UE nel 1992.
La Germania è da tempo molto più forte della Francia, fatta eccezione per la forza militare, dove i francesi continuano a essere potenza nucleare.
L’idea di un’unione Europa non piacerà a tutti, e certo non a Charles De Gaulle, divenuto Presidente francese nel 1959. Secondo il Generale, l’Unione è destinata a essere prigioniera della volontà americana di controllare il continente a discapito della Francia e tramite la supremazia industriale tedesca. De Gaulle vorrebbe un’Europa unita a modo suo, fatta di “un cavallo tedesco e un cocchiere francese” e indipendente dal crescente strapotere USA. Nei suoi piani il Presidente-Generale trova una potenziale apertura proprio in Germania, nel padre della Patria e Cancelliere Konrad Adenauer, un tedesco algido, intelligente, conservatore e profondamente cattolico come le Général. Il 22 gennaio 1963 Adenauer si reca a Parigi per firmare il Trattato dell’Eliseo, che sancisce un’amichevole collaborazione tra Francia e Germania e, per un attimo, sembra far nascere un asse franco-tedesco parzialmente esterno al patto atlantico. L’irritazione degli Stati Uniti e del Presidente Kennedy è enorme. Il risultato è che al momento della ratifica dell’accordo dell’Eliseo il Parlamento tedesco inserisce di gran fretta un preambolo con cui si pone l’accento sul legame tedesco con gli USA.
Negli anni a seguire i rapporti franco-tedeschi diventano così molto più istituzionali e culturali e meno strategici, anche se il Trattato verrà rispettato costantemente con la consuetudine di incontri intergovernativi semestrali. Negli anni ‘70 la Germania del Cancelliere Willy Brandt sembra più concentrata a guardare verso le nuove prospettive dell’Ostpolitik che al fronte occidentale. Il processo di unificazione europea viene invece molto rafforzato dal cancellierato di Helmut Schmidt e dalla Presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, i principali attori della svolta del voto diretto per il Parlamento Europeo. Il momento di avvicinamento più stretto tra i due paesi, però, deve ancora arrivare: il 22 settembre 1984, davanti al mondo intero, Helmut Kohl e François Mitterrand si fanno fotografare mano nella mano di fronte all’Ossario di Douaumont, in onore dei 300 mila morti francesi e tedeschi della battaglia di Verdun. Francia e Germania non sembrano mai essere state così vicine e quattro anni dopo, in occasione del ventiduesimo anniversario del Trattato dell’Eliseo, i due leader firmano anche la nascita del Consiglio franco-tedesco per l’economia e la finanza e il Consiglio franco tedesco di sicurezza e difesa.
Muro, bombe atomiche e Merkozy
Ma la Storia, si sa, è imprevedibile e pure beffarda: nel 1989 crolla il Muro di Berlino. Dopo aver ubbidito alla Nato e ai partner europei per anni, dopo aver allevato un popolo intero in nome della tolleranza e della democrazia, ora le élite politiche ed economiche tedesche vogliono la riunificazione della loro nazione. La reazione del resto d’Europa è tutt’altro che entusiasta. In quei convulsi mesi la premier inglese Margaret Thatcher tiene nella sua borsa una cartina raffigurante la Germania dei confini del 1937. Lo scopo della Lady di Ferro è mostrare quanto sarebbero grandi, forti e pericolose le due Germanie messe insieme: “Abbiamo battuto i tedeschi due volte, e ora sono di nuovo qua”, dice il primo ministro britannico a una cena con gli altri capi di stato europei. Uno dei maggiori interlocutori di Thatcher è proprio François Mitterrand, preoccupato quanto lei per il potenziale di una nuova nazione da 80 milioni di abitanti. Le reazioni dei due leader saranno però diverse. Margaret Thatcher inizia la sua più convinta crociata anti-europeista di cui, molti anni dopo, il Brexit del 2016 diventerà il terminale politico più concreto. Mitterand, invece, è un uomo paziente e riflessivo. La soluzione del Presidente francese al possibile strapotere della nuova Germania è quella di depotenziarne l’arma più micidiale: quel marco che nel 1990 vale quasi 3,5 franchi francesi. Il Trattato di Maastricht del 1992 sancisce anche un patto più o meno formale: la Germania si è riunificata, ma accetta il progetto di una moneta unica europea.
Il problema, però, è che Mitterand vede la realtà un po’ troppo come De Gaulle: anche per lui l’Europa dev’essere un cavallo tedesco con un cocchiere francese. La moneta che ha in mente dovrebbe ancorare la Germania all’Europa, contenendo e addomesticando la quasi naturale tendenza tedesca all’espansione. Ma a distanza di anni il risultato di quella moneta, l’euro, sembra essere l’opposto.
Dal 2005 a oggi Angela Merkel ha incontrato quattro presidenti francesi e non sembra intenzionata a smettere. Nel frattempo la Francia è sempre più in crisi, non solo economica, ma anche sociale.
Il fatto è che la nazione tedesca appena riunita sceglie di cambiare se stessa in nome della competitività, costi quel che costi. Mentre il nuovo Presidente francese Jacques Chirac mostra i muscoli facendo esplodere testate nucleari in Polinesia, la fitta rete accademico-istituzionale degli economisti tedeschi si rende conto che l’appesantimento dovuto alla riunificazione e la densità dello stato sociale non sono sostenibili per un’economia mercantilistica che voglia competere in uno scenario globale. Con l’arrivo al potere di Gerhard Schröder nel 1998 è una coalizione di centrosinistra a prendersi l’onere di varare una riforma che cambia profondamente il paese: più flessibilità nel mercato del lavoro, rallentamento della crescita dei salari, smantellamento del welfare della vecchia Germania Ovest e creazione di uno stato sociale molto più essenziale. La cura si chiama Agenda 2010 e avrà costi sociali più alti di quanto si possa immaginare, inclusa la depressione della domanda interna, ma proprio per questo motivo favorirà quel surplus commerciale che è oggi vitale per l’economia tedesca. A gestire i primi risultati della svolta in Germania arriva una donna, Angela Merkel, che il giorno dopo la sua prima elezione vola a Parigi, dove Monsieur Chirac la accoglie con un baciamano. Per la Cancelliera è solo l’inizio: dal 2005 a oggi Angela Merkel ha incontrato quattro presidenti francesi e non sembra intenzionata a smettere. Nel frattempo la Francia è sempre più in crisi, non solo economica, ma anche sociale: le fiamme delle banlieue in rivolta intossicano in principi stessi della République. Nel 2007 i francesi eleggono presidente il loro ex Ministro degli Interni, Nicolas Sarkozy, uno che non si fa più problemi a chiamare pubblicamente racaille, “feccia”, le bande delle periferie metropolitane. Ben presto, mentre la Germania di Merkel prende le misure per affrontare l’arrivo della crisi dell’Eurozona, Sarkozy decide che la via per mantenere la grandezza della Francia sia ancora quella militare e post-coloniale. Il violento abbattimento di Muhammar Gheddafi è uno delle eredità più difficili che il Presidente francese lascerà all’Europa (e all’Italia).
Durante la crisi dell’euro, invece, il legame tra Francia e Germania è un gioco più spettacolare che reale. Parlando con il partner francese la Germania può fingere di non decidere unilateralmente, mentre la Francia può far finta di contare davvero qualcosa. C’è un motivo se nasce il soprannome Merkozy mentre nessuno si ricorda la versione invertita, Sarkel, inventata da qualche patriota francese.
La sostanziale sudditanza di Sarkozy prosegue anche con Hollande, anzi, viene in qualche modo congelata. Hollande insiste nel tentativo francese di non perdere importanza come media potenza militare, prima cercando aggressivamente un ruolo nella guerra in Siria e poi venendo ricambiato con la presenza a fianco della Germania nelle trattative sull’Ucraina. A ben guardare, Hollande cerca talvolta di farsi portavoce di interessi per così dire mediterranei, ad esempio chiedendo un allentamento dell’austerità nell’Eurozona. Ma l’imbarazzante mancanza di carisma del Presidente francese diventa un handicap quasi insuperabile e ben presto la domanda che circola in Germania è: “Dopo Hollande arriverà Marine Le Pen?”
Merkron: utopia e realtà
Nel maggio 2017 Marine Le Pen non vince, perché è l’ora dell’enfant prodige liberal-liberista Emmanuel Macron. Il trentanovenne di En Marche! non sconfigge solo la leader del Front National, ma anche una sinistra socialista indipendente sempre più agitata e un candidato gollista, François Fillon, il cui tendenziale anti-americanismo è forse il primo erede ideale delle strategie geopolitiche del Generale De Gaulle.
Macron accende subito le speranze degli europeisti di tutto il continente e metà dei politici degli altri paesi fanno a gara ad autoproclamarsi il “Macron” di casa propria. Ma la storia dei rapporti fra Germania e Francia fin qui rievocata ci mostra un dato specifico: l’europeismo di Macron non è una strategia per salvare l’Europa, è una strategia per salvare la Francia. Ogni volta che Emmanuel Macron sventola la bandiera europea sta chiedendo ad Angela Merkel di non voltare definitivamente le spalle al proprio fronte occidentale e di non concentrarsi unicamente sulla Kerneuropa e sull’Ostpolitik. L’idea di Kerneuropa fu messa su carta nel 1994 da Wolfgang Schäuble, l’attuale Ministro delle Finanze tedesco, che paventava già allora un’Europa a velocità accelerata fatta da Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Francia. Da allora il modello è leggermente cambiato: si sono aggiunti paesi come Austria, Danimarca, Slovacchia e Repubblica Ceca, mentre il ruolo della Francia non è più scontato. La richiesta di più Europa di Macron punta quindi a garantire alla Francia un ruolo da protagonista. Le élite economiche francesi non vogliono diventare parte di una seppur importante periferia, condividendo magari lo status con l’Italia settentrionale (unico territorio italiano a rientrare nella filiera produttiva tedesca).
Visto che ha rifiutato l’idea sovranista di un (disperato) avventurismo nazionalista, Macron deve ora riuscire ad agganciarsi alla Germania senza fare in modo che i francesi lo caccino dall’Eliseo. Tra un festeggiamento e un altro, i falchi tedeschi del rigore gli hanno fatto capire che anche la Francia ha bisogno della sua Agenda 2010, vale a dire pesanti e strutturali riforme dello stato sociale e del mercato del lavoro. Il programma di Macron in questo senso esiste, ma la sua attuabilità è assolutamente relativa. Trasformare lo stato sociale e il diritto del lavoro in Francia non è facile come farlo in Germania, anzi, è una delle cose più difficili che ci siano. In Germania non esiste il diritto allo sciopero politico, la cogestione in nome della competitività è una specie di religione, il (post)anticomunismo è una carta spendibile e, soprattutto, l’obbedienza è una virtù. In Francia lo sciopero politico è un caposaldo della società civile, l’interesse nazionale fa rima con la libertà dei citoyens, l’anticomunismo non è un’ideologia fondante e l’obbedienza è tutto fuorché una virtù.
L’europeismo di Macron non è una strategia per salvare l’Europa, ma una strategia per salvare la Francia e garantirle un ruolo da protagonista.
Se si aggiunge che Marine Le Pen ha direttamente accusato Macron di voler consegnare l’Eliseo ad Angela Merkel e che quasi la metà dei francesi al primo turno hanno votato un programma anti-UE, è intuibile che la presidenza Macron sarà difficile, a prescindere da quali saranno i suoi risultati alle votazioni parlamentari di questo giugno.
Certo, se in Germania il prossimo Cancelliere diventasse il socialdemocratico Martin Schulz, lo spazio di manovra per Macron (e altri paesi) sarebbe più ampio, visto che la passione quasi ideologica di Schulz per l’integrazione europea potrebbe concedere molto sul piano della flessibilità dei conti e stemperare i meri rapporti di forza intereuropei. Ma tutti i sondaggi dimostrano che Angela Merkel è sulla strada del suo quarto mandato, tanto che la rivista Foreign Policy l’ha già ribattezzata “The forever Chancellor”. Con Merkel resterà al potere anche il sacerdote del rigore in Europa, il Ministro della Finanze Schäuble, lo stesso autore di quel primo paper del 1994 sulla Kerneuropa. Schäuble ha per ora mostrato un’inedita apertura verso il neoeletto Presidente francese – ad esempio sostenendo la creazione di un Ministero delle Finanze europeo, di un fondo monetario europeo e di un parlamento dell’eurozona – ma ha anche definito irrealizzabile una revisione dei Trattati Europei e ha indicato il metodo intergovernativo come la strada maestra per i rapporti nell’Unione. Un metodo che, appunto, potrà essere sfruttato dall’interesse specifico della Francia, ma che inchioderà alle proprie responsabilità contingenti ciascun altro paese (a partire dall’Italia). Nel frattempo Der Spiegel, il più diffuso settimanale tedesco, è uscito con una copertina che ritrae Macron e il titolo “Teurer Freund”: “Amico costoso”.
A mitigare la parte più aspra di un’Unione Europea solida ma definita dal solo interesse economico su breve periodo saranno però le necessità imposte alla Germania da un sempre più burrascoso scenario geopolitico. In tempi di Brexit e di equilibri sempre più traballanti all’interno della NATO, la Germania, il cui potenziale militare non è certamente ancora all’altezza di quello economico, dovrà trovare nell’importanza militare francese e di altri paesi una sponda strategica, ovviamente inserendola nella necessaria cornice di un sistema di difesa comune europea. “Non possiamo più fidarci di GB e USA” ha detto a chiare lettere Merkel dopo il disastroso G7 di Taormina.
Il crescente conflitto tra Stati Uniti e Germania non è semplicemente il prodotto della sconsolante inopportunità politica di Trump, ma ha precise basi materiali, commerciali e finanziarie. Mezzo secolo dopo, anche se con prospettive molto diverse, è oggi la Germania che deve fare un’alleanza con la Francia per resistere alla competizione e al confronto con gli Stati Uniti. Charles de Gaulle non ci riuscì con Konrad Adenauer, ci riuscirà Angela Merkel con Emmanuel Macron?