C ominciamo una serie di conversazioni della redazione con intellettuali che possano aiutarci a seguire meglio quel che sta succedendo in Ucraina: lanciandoci spunti diversi, cercando di andare nel passato e di proiettarci nel futuro, lontano dalla pornografia della notizia quotidiana.
Marco d’Eramo è nato a Roma nel 1947. Laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con Paese Sera e Mondoperaio, e collabora con il manifesto. Tra le sue pubblicazioni: Gli ordini del caos (manifestolibri, 1991), Via dal vento. Viaggio nel profondo sud degli Stati Uniti (manifestolibri, 2004), Moderato sarà lei (con Marco Bascetta, manifestolibri, 2008) e, con Feltrinelli, Il maiale e il grattacielo (1995), Lo sciamano in elicottero. Per una storia del presente (1999), Il selfie del mondo. Indagine sull’era del turismo (2017), Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi (2020).
Marco d’Eramo: La prima vittima della guerra è la verità. La voce del nemico va tacitata. In Russia le tv occidentali. Qui in occidente è stata oscurata la tv russa. Allora guardo i tg cinesi, altrimenti assisto solo a un coro unanime. È divertente guardare queste tv “aliene”: sono come le nostre, ci sono i servizi con sussiegosi pareri di autorevoli esperti ed accademici occidentali sulla povertà in Germania, o sulla gente che muore di fame in Gran Bretagna. Con la tv russa almeno uno faceva così, bilanciava le tv occidentali, Bbc, Al Jazeera, France 24. Non sappiamo effettivamente nulla sui combattimenti di questi giorni. Io non capisco niente di strategie, ma a me una colonna lunga 64 km che se ne sta lì bella tranquilla non mi pare compatibile con una situazione di battaglia, di difesa o di attacco… Da Lilli Gruber il generale Fabio Mini parlava di offensiva russa al ribasso, con carri armati vecchi, con truppe non addestrate, infatti sembra che non abbiano fretta di andare avanti. Siamo totalmente esclusi dalla verità e quindi qualunque cosa diciamo è una pura illazione. Per questo sulla New Left Review ho scritto l’articolo sul dopo. Perché ora non si fa altro che rivangare il passato (su quanto si è sbagliato in precedenza) o abbandonarsi ai lirismi e agli struggimenti…
Francesco Pacifico: Stavo riguardando un approfondimento di Limes di aprile 2021 e diceva che l’America aveva bisogno di provare la fedeltà degli europei, stava mettendo sotto pressione la Russia, la Russia non avrebbe attaccato mai perché non aveva senso, perché avrebbe perso tutto, ma la situazione già un anno fa risultava questa: l’Europa deve essere più fedele all’America secondo gli americani, che non vogliono perdere un contatto stretto con l’Europa. Ora, rispetto al tuo pezzo io vorrei partire dalla Siberia: tu la tiri in mezzo per far inquadrare il problema della Russia, cioè che è un paese gigantesco che ha un PIL relativamente minuscolo. La Siberia non la puoi staccare dalla Russia in una immaginaria ex Russia del futuro divisa in tanti stati, perché altrimenti se la prenderebbe la Cina con tutte le risorse che ha dentro. E l’America non apprezzerebbe. Io partirei da questo: citi la Siberia per far capire che sui media è quasi tutta una pappa sentimentale, i telegiornali ci fanno piangere, ci sentiamo i soliti europei buoni e superiori alla storia perché abbiamo conquistato la pace a metà Novecento e ragioniamo solo in termini di bontà mentre l’America difende per noi le rotte dei commerci. Cose strutturali tipo questa sulla Siberia ci interessano meno. Mi sembra che il tuo pezzo cominci un po’ da lì, no?
MdE: Sul sentimentale non lo so. Io guardo molte televisioni: non è possibile che a testimoniare dal terreno siano sempre e solo giovani ucraine attraenti. Mai un maschio brutto, mai una donna anziana. È incredibile e ti fa riflettere. Sempre sul lirismo e sulla solidarietà: mi piacerebbe vedere quando in Polonia cominceranno a esserci quattro, cinque milioni di ucraini… (tra parentesi, mi piacerebbe sapere quanti rifugiati hanno accolto gli Usa). Per quanto riguarda la Siberia: ne ho scritto un po’ perché ci ho passato due mesi, un po’ perché è un posto straordinario. La Siberia è veramente un far west della Russia, ha una sua dimensione particolare, è stata colonizzata da rivoluzionari aristocratici e delinquenti comuni e politici. E poi è complicata perché è vuota sì, ma c’è una ferrovia (la transiberiana) e allora stanno tutti lungo la ferrovia che è abitatissima. È chiaro che la Siberia pone un problema: è più grande degli Usa. Devi considerare che la terza, quarta, quinta, sesta città russa stanno in Siberia. Le uniche due città più grandi sono Mosca e San Pietroburgo. Quindi la Siberia pone un problema. La conflittualità sulla frontiera russo-cinese è una storia vecchia… Negli anni Sessanta tra la Cina di Mao e l’Unione Sovietica si rischiò il conflitto armato sul fiume Amur. D’inverno l’Amur è incredibile, questo fiume immenso ricoperto di ghiaccio.
FP: E questa cosa della paura russa di essere penetrabile, per spiegarla ai nostri lettori, come la colleghiamo al motivo per cui la Russia è così instabile e spaventata, e arriva a fare un’operazione di questo tipo?
MdE: Il problema è che nel 1991 gli Stati uniti hanno vinto la Guerra Fredda e l’Unione sovietica l’ha persa. Ma, a differenza di tutte le altre guerre, non c’è stata una resa formale e poi non c’è stata nessuna conferenza di pace (come per esempio a Vienna nel 1815 o a Versailles nel 1919). Non ci sono stati patti chiari. Io pensavo che lo smembramento dell’URSS (furono staccate le tre repubbliche baltiche, Bielorussia, Ucraina, Kazakistan, Georgia, Armenia, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan) fosse scritto in patti segreti – i patti segreti sono una tradizione consolidata nella diplomazia internazionale –, in cui si diceva “noi vi diamo la pace e voi vi smembrate“.
Invece da tutto quel che è avvenuto negli anni successivi è apparso evidente che questi patti segreti non ci furono. L’URSS si è arresa, ma qual è stato il termine di questa resa? Non ne abbiamo idea. Tutto si basa su questo giochetto. È chiaro che ai russi era stato assicurato verbalmente che la NATO non si sarebbe allargata a est, e che questa rassicurazione non è stata rispettata: dopo il 1991 la NATO è passata 14 a 30 membri. Ma anche a prescindere dall’allargamento della NATO, gli Stati Uniti non hanno mai smesso di considerare la Russia un nemico. È questo il punto fondamentale. Con un partner non ti comporti così: dopo la seconda guerra mondiale gli Usa non si comportarono così con la Germania e con il Giappone. È chiaro che in tutta questa storia c’è un doppio standard, due pesi due misure: sono passati cento anni da quanto Roosevelt disse di Somoza “Sì, è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”. Però Washington non è mai riuscita a integrare la Russia in modo tale che Putin diventasse il loro figlio di puttana.
Nicolò Porcelluzzi: In questi giorni raramente nei media di massa, parlando di NATO, si fa una disamina razionale o critica del passato recente. Anche dal tuo articolo si evince che negli anni si è impastata una mescola di silenzi e di inerzie che hanno contribuito alle premesse di questa situazione. Più che una domanda, un input: cos’ha fatto la NATO negli ultimi vent’anni?
FP: E aggiungiamo l’articolo scritto da Kissinger nel 2014, con i punti cruciali che dicono: l’Ucraina dovrebbe avere il diritto di scegliere liberamente le sue associazioni economiche e politiche compreso in Europa; l’Ucraina non dovrebbe unirsi alla NATO; l’Ucraina dovrebbe essere libera di creare un governo compatibile con la volontà del suo popolo…
Matteo De Giuli …E poi la Russia non dovrebbe annettere la Crimea ma riconoscere la sovranità dell’Ucraina sulla Crimea. E se una di queste quattro condizioni dovesse saltare assisteremo a una guerra.
Elisa Cuter: Questa domanda è legata a quella che volevo fare anche io. Mi sembra che ci sia comunque una discrasia tra la propaganda negli stati occidentali (inclusa l’Italia) e quelli che sembrano gli interessi a intervenire. È chiaro che gli Usa non sembrano interessati a intervenire direttamente, ma si continua a parlare del fatto che dovremmo correre in soccorso dell’Ucraina in virtù della sovranità nazionale, dell’integrità territoriale. Mi sembra ci siano due livelli: da un lato serve creare questa specie di adesione ai valori dell’occidente, e dall’altro ci sono gli interessi effettivi in termini di politica estera, che non stanno sullo stesso piano. Allora perché fomentare dei “prodi” contro l’invasore se poi non è il reale interesse?
MdE: Si tratta di due livelli del discorso. Credo che all’inizio la Russia volesse solo minacciare di invadere l’Ucraina e che solo poi si sia sentita costretta a mettere in atto la minaccia: come avessero bluffato, gli Usa avessero visto il bluff e li avessero costretti a rilanciare o a perdere il piatto. Se avessero davvero voluto invadere all’inizio, non si piazzavano lì per un mese con i carri armati schierati ad aspettare che gli avversari preparassero per bene le proprie difese e si facessero mandare flussi di armamenti dagli Usa e dalla NATO. Le invasioni si fanno all’improvviso. È da Napoleone in poi che si sa che un’invasione ha successo se è un’invasione lampo, inattesa, di sorpresa, una Blitzkrieg. È chiaro che un’invasione così a rilento fa parte di una strategia più ampia. C’è una politica guerresca e viceversa una guerra politicante, e gli Usa ne sono coscienti: sanno bene che non possono far rispettare una no fly zone altrimenti rischiamo davvero la terza guerra mondiale. I tedeschi sono prudenti perché sanno che sarebbero i primi a essere rasi al suolo dalle testate atomiche. Non si valuta appieno il ruolo dell’arma atomica in un conflitto tradizionale: lo limita, quindi lo condiziona e ne determina le forme e le dinamiche. Fino a che punto ci si può spingere prima della catastrofe? Stanno giocando a questo gioco pericolosissimo. Anche perché fino all’invasione russa dell’Ucraina, la NATO aveva perso rilevanza, era diventata un’alleanza s-centrata perché lo scontro mondiale si era spostato sul Pacifico, e quindi la NATO era divenuta periferica.
FP: Com’è l’Europa vista dagli Stati Uniti in questo momento?
MdE: La zona Euro comunque ha un PIL superiore a quello della Cina. Checché se ne dica, la seconda potenza mondiale è l’Europa, anche come livello di vita. La Cina produce un gran PIL perché ha un miliardo e mezzo di abitanti. Ma un paese relativamente benestante come l’Italia ha un PIL pro capite annuo triplo rispetto alla Cina. Quindi è chiaro che il controllo dell’Europa rimane fondamentale. È vero che gli USA stavano sentendo che il controllo sull’Europa si stava allentando, anche perché gli inglesi erano stati talmente stupidi da uscire dall’Europa, loro che invece per Washington costituivano il piede americano nel continente. Stavano dentro e fuori. Il fatto è che l’Europa ha perso due guerre mondiali, non è che ce lo dimentichiamo, e gli Usa ne hanno vinte due. Su Micromega ho scritto un saggio sulla forza dell’impero americano… Dopo la ritirata dall’Afghanistan tutti hanno parlato di crisi dell’impero americano. Adesso nessuno lo ricorda, ma la vera crisi avrebbe dovuto esserci dopo che erano scappati da Saigon nel 1974, perché lì stavano perdendo tutto: non solo era perso il Vietnam, ma c’era stata la svalutazione del dollaro (con la fine del sistema monetario di Bretton Woods nel 1971), la crisi del petrolio (1973), la perdita di parte dell’Africa (prima Angola e Mozambico, negli anni successivi l’Etiopia), la rivoluzione dei garofani in Portogallo. E c’era una guerra civile interna. Black Lives Matter fa ridere rispetto a quello che succedeva tra bianchi e neri alla fine degli anni Sessanta – Settanta. Ma 15 anni dopo l’URSS non esisteva più, e gli Stati Uniti erano più potenti di prima. Gli USA hanno perso tutte le guerre dal ‘45 in poi (Corea, Vietnam, Iraq, Afghanistan) e ogni volta sono diventati sempre più forti. Cioè la loro potenza si basa su altre fondamenta rispetto a quelle degli imperi tradizionali. Ricordiamo che noi europei abbiamo perso le due guerre mondiali e ci siamo abituati ad essere i secondi dell’impero. Il fatto è che gli USA avevano bisogno di riprendere il controllo sugli europei questi vassalli prosperi ma un po’ infidi. Però ancora una volta l’obiettivo rimane la Cina. La Russia è secondaria, ha un PIL minuscolo, inferiore a quello dell’Italia, un quattordicesimo di quello statunitense: la Russia può radere al suolo qualche città con il suo arsenale atomico, ma di fatto non può competere per il potere mondiale.
FP: Che ne pensi dell’idea che tutto ciò stia succedendo anche come forma indiretta di punizione all’Europa da parte degli Usa perché ci siamo troppo avvicinati alla Russia negli ultimi 15 anni?
MdE: Non la vedo tutta questa simpatia per Mosca. La descrizione che ci viene fatta della Russia è ancora da guerra fredda: un paese chiuso, immobile, oppresso. Poi se ci vai, ti rendi conto che non è così, anzi, è un paese molto dinamico da certi punti di vista, un livello di cultura e di istruzione tecnico scientifica incredibile.
MDG: Nel tuo libro, Dominio, spieghi bene come in occidente i neoliberisti hanno ridefinito il concetto di giustizia, legandola al mercato, perché uno dei cardini di qualsiasi impero è il diritto, e chi domina il diritto impone la giustizia e il suo modo di amministrarla. Ora Putin ha almeno in parte una visione imperiale della Russia. Che tipo di giustizia ha in mente allora? Perché in questa guerra non si è neanche preoccupato di costruire una narrazione forte che giustificasse lo scoppio del conflitto, né si sta preoccupando ora di fornirne un volto accettabile, colpisce i civili, porta lo scontro fin dentro le centrali nucleari. Se metti insieme tutto questo qual è secondo te, se c’è, il concetto di giustizia che ha in mente Putin, collegato alla sua visione imperialista della Russia?
MdE: Nel libro racconto che nel dialogo La Repubblica il sofista Trasimaco dice a Socrate che il diritto è il diritto del più forte, sancisce come legittima la convenienza del più forte e come reato quello che non conviene al più forte. Spesso le guerre si fanno solo per mettere nero su bianco questa realtà. Sai che al processo di Norimberga gli inglesi volevano inserire tra i crimini nazisti di guerra il bombardamento di Londra, ma gli americani dissero di no, altrimenti avrebbero dovuto metterci anche i loro bombardamenti a tappeto su Dresda e atomico su Nagasaki. La definizione di crimine dipende da chi vince. Non credo che Putin si sia mai posto il problema della giustizia o il problema di un impero al di fuori dei confini della Russia zarista. Penso che i suo obiettivo sia ricostituire quella Russia: un progetto incredibilmente tradizionalista. Per capirlo meglio, ecco un esempio del rapporto che la Russia ha con la sua memoria. In un’aula elementare di Krasnoyarsk sul fiume Yenisei, in Siberia, vedi dietro la cattedra una lavagna grande e da un lato c’è la foto dello Zar Nicola II e dall’altro il ritratto di Lenin, ambedue numi tutelari del presente. A Irkutsk, vicino al lago Baikal, il corso Marx sfocia nella piazza Alessandro III, lo zar più fetente di tutti. Un’altra strada, la via Dzerzinskij, l’uomo che aveva fondato la polizia segreta sovietica, sbocca in una piazza in cui campeggia la statua del generale delle guardie bianche che combattevano contro i bolscevichi. Stanno cercando di ricostituire una continuità della storia russa reintegrandoci dentro il periodo sovietico e tagliando fuori solo Stalin che non compare da nessuna parte. Per questo nel mio articolo sul “problema Russia” ho tirato fuori la sua “Santità” (la Santa Russia). Tra le altre cose, Putin ha rivalutato moltissimo la chiesa ortodossa: è chiaro dove vuole dirigersi. Credo che il suo obiettivo sia la ricostituzione della Russia zarista.
MDG: Questo cortocircuito di narrazioni mi ricorda quello dei Balcani, in fondo anche lì c’è stato un salto, uno strappo, dal comunismo al nazionalismo più spietato, ed è stata riesumata l’idea della Grande Serbia, e come succede in Russia anche in Serbia i nomi dei battaglioni e delle curve dello stadio per esempio sono ancora nomi socialisti (Stella Rossa, Partizan, eccetera) anche se sono apertamente nazionalisti.
MdE: C’è solo nome, non più valore.
MDG: Esatto. E allora forse non è un caso che l’unico posto in Europa, credo, dove ci sono state manifestazioni a favore della Russia in queste settimana sia stata proprio la Serbia, dove tra l’altro si era consumata l’ultima guerra europea. Tutto sommato anche i Balcani sono al confine tra est e ovest, con tutto quello che ne consegue e ne è già conseguito, compresi gli errori fatti dalla NATO. Nel tuo pezzo parli di Russian problem (“che posto deve occupare la Russia in un ordine mondiale?”) ma forse c’è anche il Serbian problem che si riproporrà, di nuovo, nei prossimi mesi?
MdE: Tito era riuscito a fare una cosa incredibile, mettere insieme tante piccole realtà apparentemente inconciliabili, una parte proveniente dall’impero austro-ungarico, un’altra dall’impero turco e un’altra ancora indipendente (ricordate che all’inizio del ‘900 la prima guerra mondiale era stata preceduta, come pericolosa avvisaglia, dalle Guerre Balcaniche). La Federazione creata da Tito era riuscita a convivere per 45 anni. Poi è successo lì ciò che sta succedendo in Ucraina adesso, cioè una guerra tra gente che parla la stessa lingua. Il serbocroato era una lingua sola, poi le lingue si sono differenziate a mano a mano. Ci sono poi elementi del tutto differenti: mentre adesso si dice che le regioni russofone del Donbass non possono essere indipendenti perché rovinerebbero l’unità territoriale ucraina, allora invece Bosnia e Kosovo dovevano essere separate per ragioni identitarie, etniche. Quando fa comodo, gli indipendentisti vanno bene; quando no, vanno male. Il fatto è che la Bosnia è qualcosa che non esiste. Lo sanno anche loro, che sono incasinati, e come per ogni soluzione artificiale, ci vorranno altre due tre guerre perché poi la storia faccia il suo budino umano. Ma a parte le similitudini, io insisto che quel che va tenuto sempre presente è che la Russia non è l’obiettivo principale degli USA. Tutt’al più può essere un esempio di punizione di come va castigata una marca di frontiera ribelle e riottosa che non ha saputo stare al posto suo. Gli obiettivi sono l’Europa per un motivo e la Cina per un altro.
In generale, per tornare alla guerra di questi giorni, è deprimente guardare la tv oggi perché non ci sono mai notizie. Non possiamo considerare notizia il fatto che venga aperto un corridoio umanitario, non ci dice niente su come stanno andando le trattative… Gli israeliani dicono che i loro colloqui a Mosca erano andati benissimo (l’ho saputo tramite la tv cinese): chissà cosa volevano dire… All’Onu, nella condanna alla Russia si sono astenuti oltre a Cina, India e Pakistan (comunque 3 miliardi di persone) Emirati Arabi e Sauditi (che di solito in diplomazia sono cagnolini obbedienti degli Stati uniti): nessuno ci ha spiegato il perché. Tu, Elisa, ponevi il problema della propaganda. Il padre di un mio amico, Claud Cockburn, giornalista comunista che aveva coperto la guerra di Spagna, coniò un grande slogan: “non credere mai a nulla che non sia stato ufficialmente smentito”.
EC: Vorrei fare una domanda ingenua. Mi sembra di capire che siccome non sappiamo niente, dovremmo aspettare a prendere posizioni; però noi facciamo fatica, anche in redazione abbiamo posizioni leggermente diverse, e non sono sicura che ci siano descrizioni che non siano anche interpretazioni. Cosa pensi di questa cosa, su cui abbiamo discusso in redazione: era più facile essere pacifisti quando i cattivi eravamo noi? Tu parlavi di come i concetti si ribaltano a seconda di quello che conviene, mi sembra un caso analogo. Un’altra domanda ingenua (che tra l’altro è ancora più ingenua perché hai detto che Putin non ha ambizioni imperialiste): da giorni penso alla frase di Lenin sul trasformare ogni guerra imperialista in guerra civile – in questo momento sembra impossibile, ma come bisognerebbe raccontare quello che sta succedendo per cercare di creare questo fronte, quello che spera che l’indicazione di Lenin possa essere utile?
MdE: Certo che le guerre vertono sempre sul potere. Ma non sempre il potere ha la forma di un impero o pretende di esserlo. Non è che o sono guerre disinteressate o sono guerre imperialiste. Possono essere guerre interessate, per il potere, ma non mirate a fare impero. I propri interessi possono essere salvaguardati (con la forza delle armi) anche in forma non imperiale.
FP: L’interesse delle nazioni non è molto considerato in questi discorsi…
MdE: Io diffido sempre dei toni indignati di chi parla col groppo alla gola. Sai la famosa frase del Dottor Johnson: patriotism is the last refuge of scoundrels… delle canaglie…
EC: Dicevamo prima che sembra esserci spazio solo per i sentimenti, e i sentimenti che vengono fuori sono proprio i peggiori!
MdE: Bisogna andarci piano. Io non sono mai stato pacifista. Non ci credo, il pacifismo trascura la tragicità della storia. Gli umani sono perfettibili ma non saranno mai mammole. C’è una frase fulminea del governatore di Batavia, Jan Pieterzsoon Coen, che nel ‘600 scriveva agli Heeren della Compagnia Olandese delle Indie Orientali per chiedere fondi: perché non si può far commercio senza guerra né guerra senza commercio.
FP: Le navi militari che proteggono le navi mercantili…
MdE: Il punto è: non è vero che il commercio porta pace e la guerra è invece cattiva. Detto questo, capisco perché si vogliono dare date armi agli ucraini, perché questa fornitura cambia la guerra stessa. Rende chiaro ai russi che anche se prendono l’Ucraina, non la terranno. Dare armi non è questione di pacifismo o di sentimento nazionale: supponi che i russi conquistino tutta l’Ucraina; poi dovrebbero fronteggiare una guerriglia al cui confronto quelle in Vietnam o Afghanistan fanno ridere… È noto che le guerriglie si vincono solo quando dispongono di santuari, cioè quando i guerriglieri possono avere rifugi dove recuperare le forze, armarsi di nuovo e ritornare a combattere: retrovie intoccabili. Laos e Cambogia erano santuari per i Vietcong,i ìl Pakistan per i talebani. Gli ucraini avrebbero tutta Europa come santuario e come fonte di approvvigionamento. I russi non avrebbero scampo. È chiaro che fornire armi agli Ucraini cambia i dati del problema, indipendentemente dal numero di mitragliette che ora gli arrivano. Non è questione di pacifismo: ci fanno imbestialire tutti queste vite distrutte senza senso, è ovvio. Perché la gente è morta? Perché sono morti quelli in Iraq? Cosa ha cambiato la morte di tanti, la cancellazione di tante irripetibili vite? Non si sa. Sarà la stessa inutilità, una volta finita la guerra in Ucraina. Perché diavolo erano morti? Sarà tremendo. Mentre capisco bene le ragioni della Russia che si sente continua mente erosa, come la marea che ti porta via la sabbia da sotto i piedi, allo stesso tempo è chiaro che con questi bombardamenti, con questa ferocia, sta creando lei una nazione Ucraina che forse prima non esisteva: anche gli ucraini russofoni non devono essere molto contenti di farsi bombardare dai fratelli russi. Perché come diceva Ben Anderson, il nazionalismo nasce su un’idea, che “i morti sono i nostri morti” e questo nostri definisce la comunità che chiamiamo nazione (non a caso il monumento simbolico del nazionalismo è il Milite Ignoto, il morto sconosciuto che è ognuno e tutti nello stesso tempo). Con gli ucraini che ammazzano, i russi stanno creando la nazione Ucraina ed è questa l’insensatezza. Vi consiglio di leggere Picnic sul ghiaccio, il più bel romanzo ucraino letto dopo la caduta del muro. Kurkov scrive in russo. È russofono. Ma ora sta facendo in giro per l’Europa conferenze e trasmissioni per l’indipendenza ucraina. Da questo punto di vista Putin si è dimostrato molto arcaico. Con un’idea arcaica del potere. Per esempio, scusate, sarò frivolo: sono vent’anni che la Russia cerca di avere un suo spazio. Nel frattempo i turchi hanno sviluppato un soft power turco. Sapete che ci sono concorsi in lingua turca in Kenya? Le soap opere turche hanno un seguito enorme nel mondo arabo, almeno da quando le fanno doppiare in arabo siriano, che è il toscano degli arabi. Successo pazzesco. Allora io mi chiedo, i russi che hanno il fascino slavo e le donne più belle del mondo non sono riusciti a creare una moda, a stabilire un trend, a imporre la bellezza russa come standard. Perché? Secondo un vecchio detto, mentre ai tedeschi basta essere temuti, gli americani oltre che temuti vogliono essere anche amati: ecco i russi sono come i tedeschi, quanto a capacità di farsi amare e a livello di soft power, cioè a zero. Si fanno solo temere. Tu conosci una canzone tedesca?
MDG: Be’, il krautrock.
MdE: Non conosci una canzone pop tedesca, un romanzo tedesco, film tedeschi li hai conosciuti per vent’anni e poi basta.
MDG: Di canzone c’era “Zuppa romana”, quella era tedesca…
MdE: Capite? Il paese più potente e più ricco d’Europa come egemonia culturale sta a zero. Come i russi. Gli USA gli dovrebbero dare ripetizioni dalla mattina alla sera. Per cui Mosca ha una concezione arcaica del potere. L’unica cosa divertente è che accanto a Novosibirsk, c’è un’enorme città universitaria che si chiama appunto Akademgodok, con ben 40.000 ricercatori, con un sacco di start up in edifici modernisti (la chiamano Taiga valley). E lì hanno eretto un monumento bronzeo alla cavia ignota, ai miliardi di topolini sacrificati nei laboratori per gli esperimenti scientifici: c’è un topone che sembra una babushka russa con occhiali che sta facendo a maglia il Dna.
NP: Chiuderei facendo un passo indietro: ho la sensazione che Trump sia assente dal discorso pubblico, è nominato molto meno di quanto si dovrebbe; ha governato gli Stati Uniti fino l’anno scorso, dopotutto. Prima dicevi della Cina, e dell’ossessione americana per la Cina: è giustificata, e Trump l’ha confermata con le sue mosse. Non è forse vero che ha accelerato la questione ucraina con il suo “avvicinarsi” alla Russia, allontanandosi dall’Europa?
MdE: Donald Trump non si è mai avvicinato alla Russia. È una scempiaggine che ci veniva raccontata, come la storia dell’interferenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016. Dalle audizioni del Senato Usa si evince che i russi avrebbero speso cinquanta milioni di dollari per condizionare le elezioni. Ma gli americani avevano speso 14 miliardi di dollari per la stessa campagna elettorale. Vorrebbe dire che gli USA spendono malissimo e gli altri sono investitori bravissimi che riescono a far fruttare una miseria investita in un enorme profitto politico. Lì successe una cosa strana: era la prima volta che il complottismo veniva invocato dall’establishment invece che da chi ne sta fuori. Di solito il complottismo viene usato dai sudditi, da quelli che stanno sotto. Che devono spiegarsi quello che succede. Ripeto sempre che il complottismo è la versione laica della fede nella provvidenza: la provvidenza dà un senso (il disegno divino) a quello che apparentemente non ha un senso. Lo stesso fa il complottismo (le oscure trame dei centri di potere occulti). E i democratici Usa dopo il 2016 si appellarono alle oscure trame moscovite, per non ammettere di aver perso sul terreno del consenso. Per quanto riguarda la vicenda ucraina, oggi Trump sta facendo quello che deve fare un Trump adesso: aspetta che questa amministrazione democratica si dia la zappa sui piedi con il prezzo del petrolio e della benzina, che è l’unica cosa che interessa gli americani che fra un po’ dovranno pagare la benzina 4 dollari al litro, non al gallone (un gallone sono 3,8 litri). Penso che Joe Biden stia facilitando il ritorno di Trump nella scena politica americana. Li farà incazzare davvero. Trump si è sempre presentato come quello del basta con le guerre all’estero. Vi segnalo un saggio uscito su Micromega, e che uscirà ora sulla New Left Review, in cui contraddico l’idea che l’impero americano sia in declino, perché l’impero americano si fonda su altre basi, non sul numero di cannoniere o sui lingotti delle riserve auree. Negli anni Cinquanta-Sessanta un operaio americano della Ford o della Gm a Flint (Michigan) guadagnava l’equivalente di 90.000 dollari l’anno, mandava i figli all’università, aveva casa di proprietà, godeva di pensione, vacanze, assistenza sanitaria. Ora più niente. Quindi allora l’operaio americano era co-interessato all’impero americano, ora non più. Trump ha cercato di ri-co-interessare la classe media americana al suo impero, per questo era tacciato di “populismo” (naturalmente, essendo lui stesso un miliardario, la sua era demagogia). Voi dovete pensare che il dibattito nella classe dirigente americana è un dibattito non fra chi è più imperialista e chi è meno imperialista, ma tra quale strategia imperiale è più efficace per imperare, su come gestire e rendere più forte l’impero. Secondo i democratici con la strategia della globalizzazione, secondo Trump con la strategia America first. Sono due modi diversi di gestire l’impero.
Trump ha posto due problemi: 1. La coerenza interna: il capitalismo globalizzato si stava giocando il retroterra nazionale e non aveva più una base interna. 2. La competizione esterna: la questione della Cina. Su tutti e due i fronti l’amministrazione Biden l’ha seguito, ma con una mentalità arcaica, da guerra fredda: Biden ne è un residuo e sta nelle peste. Tutti dimenticano sempre che Biden è stato per 35 anni senatore del Delaware, il più paradisiaco paradiso fiscale interno agli Stati Uniti. Il sessanta per cento delle società USA ha sede legale lì, perché lì non pagano tasse. Lui rappresenta gli interessi dei grandi evasori fiscali degli Stati Uniti. Qualunque cosa vada a raccontare in giro, lui questo è. Bisognerebbe guardare questa guerra non solo dalla parte dei russi, degli ucraini, degli europei, ma anche degli americani: vedremmo che non è una guerra ovvia per gli USA, perché sta creando grossi problemi anche a loro: 1. Sulla logica della globalizzazione in senso lato, perché non funziona più come prima. 2. Per il prezzo interno con il proprio elettorato. 3. Il rapporto della Casa bianca democratica con i deputati democratici. Biden sta con loro nella stessa situazione di Di Maio con i 5 Stelle. Sanno che alle prossime elezioni metà di loro non ci sarà. Stanno in un casino pazzesco.