Germania: la storia infinita dell’estremismo di centro
La SPD deve continuare a trattare con la Merkel per formare una nuova Große Koalition?
La SPD deve continuare a trattare con la Merkel per formare una nuova Große Koalition?
D omenica 21 gennaio, Bonn, mancano pochi minuti alle 16.30 quando l’assemblea straordinaria dei delegati della SPD tedesca vota per alzata di mano. La domanda è una: i socialdemocratici di Schulz devono continuare a trattare con la CDU-CSU di Angela Merkel allo scopo di formare una nuova Große Koalition (grande coalizione) per governare la Germania? Risultato: 362 delegati dicono di sì, 279 si oppongono. Continuano così le trattative per creare un quarto governo Merkel, sul solco dell’estremismo di centro tipicamente merkeliano.
Come Schulz ha cambiato idea
Un passo indietro. L’inversione a U di Martin Schulz e dei suoi in merito alla possibilità di governare con la CDU-CSU è stata davvero brusca e merita di essere ricostruita.
Il 24 settembre 2017 la SPD incassa solo il 20,5% dei voti su scala nazionale: è il peggior risultato socialdemocratico dal 1949 a oggi. Schulz dichiara subito che quel voto è un chiaro NO contro l’attuale governo di grande coalizione SPD-CDU-CSU, in carica dal 2013.
Il 20 novembre 2017 falliscono miseramente le trattative per la creazione di un inedito governo Jamaika, che avrebbe portato a un esecutivo di CDU-CSU, Verdi e liberali FDP. Sono proprio questi ultimi a fare saltare completamente il tavolo delle discussioni, all’interno di un’operazione prettamente strategica e nella speranza di poter tornare velocemente alle urne (e conquistare qualche punto percentuale in più, con un riorientamento verso destra). In quell’occasione, malgrado lo shock per il fallimento delle trattative per un governo Jamaika, Martin Schulz dichiara di non avere paura di nuove elezioni e conferma di non essere disponibile a entrare in un governo con i cristiano-democratici.
Nei giorni e nelle settimane successive, però, accade qualcosa: la pressione su Schulz e i suoi per rivedere le proprie posizioni si fa enorme. Frank-Walter Steinmeier, socialdemocratico e Presidente della Repubblica, diventa il portavoce più visibile di un movimento in favore di una nuova Große Koalition (GroKo), di cui si fanno sponsor alcuni settori chiave delle istituzioni tedesche, del mondo industriale e dell’elite materiale del paese. Non c’è solo preoccupazione per un’eventuale instabilità politica e geopolitica, ma anche per un danno al country brand tedesco, da decenni fatto di efficienza, stabilità e responsabilità.
Non c’è solo preoccupazione per un’eventuale instabilità politica e geopolitica, ma anche per un danno al country brand tedesco, da decenni fatto di efficienza, stabilità e responsabilità.
Così, il 7 dicembre 2017, in un congresso di partito a Berlino, Schulz chiede (e riceve) il mandato per una Sondierung, uno scandaglio politico che miri a comprendere se sia possibile trattare per una nuova GroKo.
La mattina del 12 gennaio di quest’anno, Martin Schulz, Angela Merkel e Horst Seehofer (leader dei cristiano-sociali bavaresi) presentano un documento di 28 pagine in cui c’è un accordo preliminare per un nuovo governo di grande coalizione.
I temi affrontati nell’accordo sono diversi: la SPD non riesce a far passare completamente una riforma strutturale del sistema di assistenza sanitaria, ma viene (potenzialmente) reintegrata la divisione al 50% delle spese sanitarie tra lavoratore e datore di lavoro, a questo si aggiungono alcuni provvedimenti sociali in tema di pensioni e un alleggerimento delle tasse per i meno abbienti. Da parte sua la CDU riesce a bloccare il sogno SPD di un nuovo calcolo fiscale che tassi maggiormente i redditi più alti, mentre la CSU riesce a imporre quello che, seppur ambiguo nella forma, è un tetto annuale all’accoglienza di profughi e migranti sul territorio tedesco.
L’accordo preliminare sembra soddisfare le file interne dei cristiano-democratici, mentre il malumore tra i socialdemocratici diventa subito palpabile. Pochi minuti dopo l’annuncio dei tre leader, Kevin Kühnert, Presidente degli Jusos, l’ala giovanile dei socialdemocratici fortemente ostile a una nuova GroKo, scrive in un tweet: “Sia Schulz sia Seehofer giudicano l’accordo raggiunto come ‘eccellente’ per i loro partiti, vuol dire che almeno uno dei due si sbaglia”.
Essere o non essere socialdemocratici
Per la SPD si arriva così alla giornata decisiva del 21 gennaio a Bonn: il dibattito prima del voto dura cinque ore, sotto gli occhi di tutta la Germania (e non solo). Il primo a salire sul palco è proprio Martin Schulz. Il suo discorso non è certo tra i migliori e più vincenti della sua carriera politica, anzi, è proprio scarso e impacciato: gli applausi sono pochi, quasi stanchi. Schulz rivendica la possibilità di poter far valere l’agenda socialdemocratica in un nuovo governo e, soprattutto, torna al suo tema favorito: l’Europa. La narrazione europeista, a ben guardare, è la sola carta ideologica che Schulz possa davvero giocarsi davanti ai suoi. “Mi ha chiamato Macron ieri, e lui spera in una GroKo”, dice Schulz, che poi spiega che l’occasione di avere una sponda europeista in Francia non può essere sprecata proprio ora. Pochi istanti prima, durante il suo discorso, Schulz dichiara anche che in Europa deve “finalmente scomparire lo spirito del neoliberalismo”. Su Twitter si scatena subito chi trova ironica la contemporanea vicinanza alle politiche di Emmanuel Macron e la volontà di combattere il neoliberalismo. Piaccia o meno, la socialdemocrazia in Germania è anche questo: una volenterosa contraddizione in crisi d’identità.
Schulz rivendica la possibilità di poter far valere l’agenda socialdemocratica in un nuovo governo e, soprattutto, torna al suo tema favorito: l’Europa.
Dopo il fiacco intervento di Schulz, sul palco di Bonn salgono a far sentire la propria voce diversi altri dirigenti o delegati socialdemocratici. Tutta la leadership del partito è schierata con il Segretario, seppur con diverse tonalità. Gli interventi di alcuni pezzi grossi della SPD, fatti di parole ben poco romantiche e infarcite di realpolitik, risulteranno decisivi per il voto finale. Per il resto, il dibattito conferma una dinamica chiara: la vera spaccatura interna alla SPD è generazionale. In merito alle trattative con la CDU-CSU, i giovani Jusos accusano la dirigenza di non aver preteso abbastanza sull’uguaglianza sociale, le riforme sanitarie e fiscali e sull’accoglienza degli immigrati. Ma c’è di più: la richiesta dei più giovani è anche identitaria, esistenziale, culturale. La SPD esce proprio ora da una grande coalizione con Merkel: davanti a un costante declino elettorale e al pericolo della definitiva pasokification, le nuove leve si chiedono cosa resterebbe della socialdemocrazia dopo altri quattro anni accanto a un alleato scomodo come la Cancelliera. Se il dibattito di Bonn venisse deciso con un applausometro, non ci sarebbe partita: i contrari alla GroKo sono più rumorosi, entusiasti, convinti, risoluti. Lo zoccolo duro del partito, però, replica ripetendo fatti concreti e difficili da ignorare: andare ora verso nuove elezioni danneggerebbe ulteriormente la SPD, i compromessi sono necessari per evitare uno scivolamento a destra dell’asse di governo, va sfruttata la favorevole situazione sul piano europeo, fra quattro anni potrebbe essere troppo tardi. Prima del voto finale dei delegati, lo stesso Schulz torna sul palco e promette che le trattative verranno continuate pretendendo molto di più e che, dopo i primi due anni di un eventuale governo, verrà fatto un esame dell’andamento dell’esecutivo, con l’implicita possibilità di sciogliere la GroKo a metà mandato.
Così, con una risicata maggioranza del 56,5%, passa il sì alla Große Koalition, con un gruppo dirigente che tiene, ma con un Segretario a dir poco indebolito.
Le dinamiche di democrazia interna ai socialdemocratici, tuttavia, prevedono ancora un passaggio decisivo. Quando, nelle prossime settimane, le trattative tra SPD e CDU-CSU saranno terminate, dovranno essere i quasi 450 mila iscritti SPD a dare un nulla osta finale. Questo significa che una base delusa dagli accordi raggiunti potrebbe nuovamente ribaltare la decisione del congresso di Bonn e l’ipotesi GroKo potrebbe ancora saltare.
Un governo Merkel per chiudere l’era Merkel
Il convitato di pietra alla giornata dei socialdemocratici è stato di nuovo lei: Angela Merkel, attualmente Cancelliera reggente in attesa di lasciare o essere riconfermata per la quarta volta alla guida della Germania. Mai come ora, i destini di Schulz e Merkel sembrano intrecciati: se cade il primo, potrebbe cadere anche la seconda. Senza una nuova GroKo e con nuove elezioni, Schulz sarebbe certamente disarcionato dalla leadership. In quanto ad Angela Merkel, una nuova tornata elettorale potrebbe perlomeno riaprire il dibattito sulla sua successione. In questi dodici anni, la Kanzlerin ha notoriamente fatto in modo che non emergesse mai un vero e proprio successore capace di insidiare la sua egemonia personale. Data per spacciata decine di volte e risorta altrettante, le risorse di Merkel sono state sottovalutate troppo spesso, anche negli ultimi mesi. Tutti sono però abbastanza certi che un’eventuale nuova GroKo sarebbe comunque l’ultimo mandato per l’eterna Cancelliera. Un governo Merkel conclusivo, che porterebbe a compimento l’estremismo di centro del merkelismo, senza particolari strappi rispetto ai primi tre esecutivi. Se i socialdemocratici, quindi, hanno dovuto promettere ai propri delegati un governo innovativo che non sia un semplice “weiter so” (avanti così), dovranno sperare che la CDU-CSU conceda qualcosa sul piano formale, pur sapendo che, nei fatti, la nuova GroKo rischia di concentrarsi semplicemente sulla gestione e la messa in sicurezza di quanto fatto negli anni passati. Come già detto, la sola carta narrativa che potrebbe essere davvero offerta a Schulz è quella dell’europeismo, anche se la GroKo potrebbe costringere velocemente Schulz a scoprire che non tutti gli europeismi sono uguali.
Merkel, infatti, sembra determinata a rafforzare l’asse franco-tedesco come condizione strutturale dell’Unione Europea. Un’impostazione che un governo Merkel-Schulz non potrebbe che favorire, ma all’interno del potenziale paradosso di un bilateralismo sempre più aperto ed evidente tra Berlino e Parigi, in cui l’europeismo idealista da Stati Uniti d’Europa di Schulz potrebbe passare velocemente di moda. Negli scorsi giorni Merkel ha incontrato di nuovo Emmanuel Macron, in occasione del 55° anniversario del Trattato dell’Eliseo e proprio in previsione (e in sostegno) di un nuovo esecutivo della Cancelliera. L’incontro è stato idealmente anticipato da un significativo documento programmatico presentato da economisti francesi e tedeschi riconducibili sia all’area socialdemocratica sia a quella cristiano-popolare (alcuni dei quali molto vicini ai rispettivi governi nazionali). Il documento ha affermato la necessità di stabilità per l’apparato europeo, ma ha anche invitato a coniugare l’esigenza di flessibilità di parte francese con il tradizionale rigore tedesco, giungendo a ideare una specifica revisione dei trattati di Maastricht che, a ben guardare, sembra indicata per la salute dell’asse franco-tedesco, ma lascia diversi interrogativi aperti sull’effetto che avrebbero per altri paesi dell’UE. In altre parole: l’europeismo franco-tedesco potrebbe non essere quel sogno europeista ideale di alcuni socialdemocratici, Schulz incluso.
Merkel sembra determinata a rafforzare l’asse franco-tedesco come condizione strutturale dell’Unione Europea: un’impostazione che un governo Merkel-Schulz non potrebbe che favorire.
Lo scorso 17 gennaio, intanto, pochi giorni prima di visitare Macron, Angela Merkel è stata protagonista di un altro incontro diplomatico di vitale significato, anche per lei stessa. La Cancelliera ha infatti accolto a Berlino Sebastian Kurz, 31 anni, neo-Cancelliere dell’Austria con una coalizione che comprende i cristiano-democratici austriaci e i populisti di destra della FPÖ (Partito della Libertà Austriaco). Se Emmanuel Macron è l’enfant prodige del centrismo liberal, Kurz è sempre più spesso visto come un enfant prodige del nuovo corso conservatore delle destre europee. Di fronte alle telecamere, l’esperta Cancelliera tedesca e l’ambizioso Cancelliere austriaco hanno sottolineato la convergenza delle loro politiche, ma è impossibile per Merkel non vedere in Kurz proprio un pericoloso esempio di quel giovane contendente che ha sempre cercato di non far emergere in patria. Risolutamente severo in tema di immigrazione, europeista con riserva e orientato verso lo storico sbocco a est dell’Austria, Sebastian Kurz rappresenta tante delle istanze neo-conservatrici che esistono all’interno della stessa CDU tedesca (per non parlare della CSU bavarese). Non è un caso che, proprio durante la visita del Cancelliere austriaco, il quotidiano tedesco Die Welt abbia provocatoriamente scritto che “L’alternativa ad Angela Merkel non è l’AfD (Alternative für Deutschland), ma Sebastian Kurz”. Anche se Merkel riuscirà a dar forma a un nuovo esecutivo con la SPD, la questione di un Kurz tedesco è temporaneamente rinviata, ma sembra chiaramente destinata a riemergere.
La carestia di pallet in Germania
A inizio di questo gennaio 2018, in Germania è circolata una notizia curiosa: nel paese c’è scarsità di pallet, i bancali da carico che vengono trasportati con i muletti. Il problema, a quanto pare, è che la domanda sta ampiamente superando l’offerta. I produttori di pallet hanno dovuto aumentare la produzione, mentre anche il mercato di bancali usati è sotto stress. I pallet servono per trasportare qualunque tipo di merce all’interno della Germania e, forse ancora di più, per esportare prodotti tedeschi all’estero. L’insufficienza di bancali, così, viene letta da molti come uno degli indicatori più chiari della crescita tedesca. Nonostante gli ultimi mesi di incertezza politica, per il 2018 le previsioni di crescita per l’economia tedesca si assestano attorno al 2,6%, la più alta degli ultimi nove anni.
Le attuali difficoltà nella formazione di un nuovo esecutivo, quindi, sono al momento adagiate su una congiuntura economica che sembra particolarmente favorevole. Uno scenario che nelle prossime settimane può favorire un accordo relativamente soddisfacente per le dirigenze di SPD e CDU-CSU, visto che non ci sarà da lottare su ogni singolo euro e che le casse dello stato offrono il margine per muoversi verso provvedimenti sociali senza dover intervenire con decisione sulla tassazione.
Se Martin Schulz e Angela Merkel possono potenzialmente contare su un’economia galoppante, però, per il futuro di una nuova GroKo restano delle criticità ineliminabili:
– l’instabilità internazionale del momento non permette di fare facili scommesse sulle congiunture economiche positive.
– I numeri ufficiali dell’economia tedesca non rispecchiano un benessere nazionale che sia equamente distribuito, né socialmente né geograficamente
– Malgrado il rallentare della cosiddetta crisi dei migranti, il problema dell’immigrazione e dell’integrazione rimane una spina nel fianco del tradizionale estremismo di centro della grande coalizione, con il relativo consolidarsi della destra populista.
A questi tre elementi, inoltre, si aggiunge un ultimo aspetto: pochi mesi fa, davanti alle telecamere di mezzo mondo, proprio la Cancelliera Merkel aveva dichiarato la necessità per la Germania e l’Europa di iniziare a provvedere da sole alla propria difesa e alla propria sicurezza geopolitica, ma nelle 28 pagine di accordo preliminare per la nuova GroKo non c’è nessun chiaro riferimento in questa direzione. Un’altra dimostrazione che un quarto governo Merkel chiuderebbe diligentemente un’importante era della storia tedesca, ma rimanderebbe la possibilità di affrontare apertamente questioni sempre più cruciali per la Germania e l’Europa.