I l personale non è soltanto politico ma spirituale” scrive la teorica femminista M Jacqui Alexander in Pedagogies of Crossing: Meditations on Feminism, Sexual Politics, Memory, and the Sacred (2005). In questa raccolta di saggi, l’autrice, originaria di Trinad e Tobago, offre una serie di meditazioni sull’imperialismo occidentale, sulla colonialità della produzione di cultura e di conoscenza, e su forme pedagogiche alternative e radicali. Il testo si apre con una riflessione sulla necessità di recuperare la spiritualità e il senso del Sacro a partire da storie, epistemologie e pratiche educative che destabilizzino e riconfigurino binarismi oppositivi, parziali e coloniali – creati proprio dall’occidente per definirsi e delinearsi vis-à-vis “l’altro non-occidentale”, dominare, escludere e opprimere – come: modernità e tradizione, globale e locale, secolare e sacro, teoria e pratica, corpo e mente, uomo e natura, civilizzato e incivile, umano e disumanizzato. Ispirata dal lavoro del pedagogista brasiliano Paulo Freire, Alexander contrappone al modello educativo egemonico, basato sull’umanesimo razionale e bianco dell’Illuminismo, una pedagogia femminista, Nera, decoloniale che attraversa le dimensioni metafisiche, spirituali, affettive dell’esperienza umana.
Geneaologia spirituale dell’Atlantico Nero e oltre
A partire dal Middle Passage – il viaggio forzato attraverso l’Oceano Atlantico di milioni di persone africane schiavizzate – la studiosa recupera storie silenziate che si incontrano con le pratiche spirituali Yoruba e della diaspora africana, ricostruendo la genealogia fisica, metafisica e culturale che, attraverso le correnti oceaniche, connette l’Africa ai Caraibi, oltrepassando l’imperialismo e lo schiavismo. L’attraversamento diventa metafora di conoscenza e apprendimento oltre i confini delle contingenze materiali in grado di creare nuove forme di esistenza e legami spirituali di solidarietà tra soggettività oppresse e marginalizzate. Alexander supera in qualche modo i confini delle riflessioni espresse da Paul Gilroy in The Black Atlantic: Modernity and Double Consciousness (1993) di una cultura Nera transatlantica, generata dalla sua storia coloniale e dalla schiavitù, andando a scavare nelle potenzialità liberatorie e pedagogiche del femminismo Nero e della queerness intersezionale, che rivelano le relazioni di potere nei contesti post-coloniali e gli intrecci locali e globali tra forze reazionare e repressive.
Nella visione di Alexander la sacralità si esplicita nelle connessioni transnazionali, intergenerazionali e collettive tra corpi, memorie e storie. La piena dimensione umana non esiste nell’individualità e nelle singole identità presenti, ma si realizza in una collettività aperta alla sovversione, alla trasformazione, al disorientamento, alla possessione e a esperienze spirituali che mettano in luce la condizione transcorporale dell’umano. In un testo, recentemente pubblicato in Italia da Mimesis e tradotto da Paolo Stella Casu, Divinità Queer. Candomblé, Santería e Vodou: transcorporeità nelle religioni dell’atlantico nero (2023), Roberto Strongman, professore di Black Studies presso l’Università di Santa Barbara, studia le religioni afro-atlantiche attraverso una prospettiva decoloniale e queer, mettendo in luce come i fenomeni di trance, di possessione transcorporea, di incarnazione del divino nella natura siano riti quotidiani centrali nella spiritualità africana della diaspora.
Alla base di tutto questo c’è la comprensione del corpo Nero precoloniale come corpo aperto, animato dagli spiriti e dall’ambiente circostante e in comunione plurale con loro. Nell’analisi di Strongman, durante il colonialismo e il commercio schiavista “l’imposizione del discorso europeo di interiorità identitaria sulle popolazione colonizzate e schiavizzate riduce la rappresentazione del corpo nero a un guscio vuoto” imprigionando il corpo, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente con la proibizione dei rituali religiosi di transcorporeità, come il Vodou. Per lo studioso l’idea del sé afrodiasporico aperto, molteplice e rimovibile assume connotazioni queer e antinormative di fronte al modello filosofico occidentale e cartesiano della separazione tra corpo materiale chiuso e mente immateriale.
I fenomeni di trance, di possessione transcorporea, di incarnazione del divino nella natura sono riti quotidiani centrali nella spiritualità africana della diaspora.
Per la scrittrice e filosofa giamaicana Sylvia Wynter la ‘scoperta’ e colonizzazione delle Americhe, delle sue vaste terre e delle popolazioni indigene da parte dell’Europa e lo sviluppo dell’economia di mercato hanno avuto effetti sul modo in cui l’ambiente circostante, la Natura e l’essere umano stesso vengono percepiti e definiti dall’uomo bianco occidentale: la prima viene ridotta a mera risorsa territoriale sfruttabile, mentre il secondo a forza lavoro e manodopera da schiavizzare. In questa maniera “l’uomo occidentale vede sé stesso come ‘signore e proprietario della Natura’. La Natura subisce così una trasformazione a senso unico. Dal momento che l’essere umano è parte della Natura stessa, un processo di disumanizzazione e alienazione viene messo in atto”, come scrive in un testo pubblicato nella sua raccolta We Must Learn to Sit Down Together and Talk about a Little Culture (2022).
In questo sistema di dominazione disumanizzato i vecchi legami spirituali di interdipendenza con la realtà circostante vengono sostituiti da nuove relazioni basate sull’estrattivismo e lo sfruttamento. Per Wynter non è possibile tornare a un ideale passato pre-coloniale, dal momento che le strutture sociali precedenti sono già state distrutte e sostituite da una pervasiva economia di mercato, ma recuperare le storie, i miti e i racconti orali tramandati serve ad avere consapevolezza di ciò che è avvenuto in passato fuori dai canoni storici occidentali per costruire una nuova società, minare il sistema economico contemporaneo e ricucire la dicotomia tra essere umano e Natura.
Questз autorз Nerз ci invitano a porci delle domande sul senso del sacro, sui legami umani, non umani e più che umani e a decentralizzare i modelli occidentali di produzione di conoscenza e percezione della realtà. È una genealogia Nera decoloniale che dal Middle Passage arriva a oggi, mettendo in luce il valore politico e personale della spiritualità in un contesto e un momento storico caratterizzato dal cambiamento climatico messo in atto dalle attività antropiche, da forme di sfruttamento sempre più estreme, dalla chiusura delle frontiere, dalle continue morti in mare e dalle violenze sui confini; in un momento politico polarizzato in cui le forze più fasciste, reazionarie, patriarcali, eteronormate, razziste ed ecocide stanno reagendo alle richieste da parte di soggettività umane, di essere viventi non umani e del pianeta stesso di trasformazione e di smantellamento delle storiche forme di potere, oppressione e sfruttamento.
Undrowned. Lezioni di femminismo Nero dai mammiferi marini
In questa genealogia si inserisce la meditazione e il lavoro di Alexis Pauline Gumbs, poeta, attivista e studiosa indipendente, parte del quale è proprio ispirato alla figura di M Jacqui Alexander. Nel 2018 Gumbs ha infatti pubblicato M Archive: After the End of the World, un saggio speculativo sull’ecologia e il femminismo che riflette anche sull’influenza teorica, poetica e spirituale della femminista Nera di Pedagogies of Crossing. Mentre in Italia il suo libro più recente, Undrowned. Lezioni di femminismo Nero dai mammiferi marini (2023), è stato pubblicato dalla casa editrice Timeo e tradotto Marie Moïse, Mariam Camilla Rechchad e Makda Ghebremariam Tesfaù. È un testo ibrido in cui speculazioni teoriche si combinano a riflessioni poetiche sulla vita e sulle pratiche di esistenza dei mammiferi marini che popolano o hanno popolato il pianeta. Con un linguaggio poetico e sensuale, l’autrice sviluppa il suo discorso attraverso diciannove lezioni di femminismo Nero fondate “sull’esempio sovversivo e trasformativo dei mammiferi marini” in un contesto storico in cui
Respirare in circostanze irrespirabili è quello che facciamo ogni giorno nella morsa soffocante dell’abilismo patriarcale e razzializzante del capitalismo. Continuiamo a inannegare. E per noi non intendo solo chi, come me, discende dai sopravvissuti al middle passage. Perché la portata del nostro respiro è globale, come minimo
Gumbs esplora con amore le potenzialità femministe del mondo marino, mettendo in discussione i modelli scientifici egemonici con cui viene descritto. Nello studiare attraverso manuali di biologia marina, l’autrice si rende conto di incontrare lo stesso linguaggio colonizzante, razzista e patriarcale attraverso cui vengono definite e oppresse soggettività Nere, femminili e di genere non conforme. Per la scrittrice le creature mammifere del mare possono insegnarci “qualcosa sulla vulnerabilità, sulla collaborazione e sull’adattamento di cui abbiamo bisogno ora, per convivere con il cambiamento”, soprattutto quello che sta causando una crisi climatica globale e profonda.
Gumbs esplora le potenzialità femministe del mondo marino, mettendo in discussione i modelli scientifici egemonici con cui viene descritto.
Il suo ambizioso tentativo è quello di produrre un processo di identificazione, con cui sviluppare e nutrire empatia e rendere più fluidi i confini del nostro corpo, fino a identificarci con l’esperienza di un’altra creatura vivente. In questo richiede all* lettor* di abbandonarsi all’immersione, al viaggio sottomarino che ci conduce a svelare le nostre intimità, ambiguità e fragilità fino a decostruire ciò che definiamo umano. Alexis Pauline Gumbs pone domande sulle nostre pratiche di esistenza, trascendendo i sistemi di potere egemonici e oppressivi della nostra contemporaneità per creare “uno spazio di meraviglia condivisa”. È un invito a rendere degne, vivificanti e sovversive le esperienze Nere, queer e femministe, ispirandosi alle mammifere marine, che nel testo di Gumbs appaiono come “creature queer, indomite, protettive, complesse, forgiate dal conflitto e in lotta per la sopravvivenza in un contesto estrattivo e militarizzato che la nostra specie ha imposto a sé stessa e all’oceano”.
Undrowned guida in modo generoso all’interno delle correnti oceaniche e della genealogia Nera afrodiasporica, costruendo nuove modalità di esperire la spiritualità e la trascendenza corporea. In questo ci aiuta a ridefinire il rapporto dicotomico che l’uomo ha creato con la Natura, proprio perché porta a identificarsi con le mammifere marine attraverso un’esperienza che da una parte valica i confini fisici del corpo e dall’altra incarna quelli di creature altre da noi. Utilizzando la scrittura, una forma distintiva dell’essere umano, Gumbs cerca nei limiti imposti dal linguaggio di oltrepassarli e di “coltivare un’immaginazione morale che comprenda le dimensioni piene e non romantiche dell’esperienza umana”, come scrive M Jacqui Alexander in Pedagogies of Crossing. Nella sua prefazione a Undrowned, la scrittrice e attivista adrienne marie brown afferma che la sua lettura porta a comprendere l’esistenza come una cronologia non lineare di “dolore e magia”, di increspature della superficie del tempo che ci restituiscono “antenate, specie sorelle e forme di solidarietà diverse che possono insegnarmi qualcosa su me stessa. Non sapevo di condividere così tanta Nerezza con il mondo dei mammiferi marini!”.
Dai delfini del Rio delle Amazzoni che ci insegnano l’importanza di limiti e bordi per la nostra sopravvivenza alle foche monache hawaiane che ci mostrano l’impatto della militarizzazione, non solo sul loro habitat naturale, ma sulle nostre esistenze; dalle balene dal becco che dimostrano quanto sono cruciali l’elusività e il rifiuto di farsi vedere di fronte all’oppressione razzista e patriarcale, alle balene grigie dell’Atlantico e ai delfini che ci ricordano la necessità di collaborazioni e solidarietà interspecie, le lezioni che Alexis Pauline Gumbs ci trasmette insieme alle mammifere marine possono essere definite una pedagogia dell’attraversamento. Proprio perché invitano ad attraversare i confini materiali del nostro corpo per immergersi in un’esperienza altra da cui trarre pratiche e modalità di esistenza alternative e sovversive, al cui centro c’è l’amore, che per l’autrice è uno spazio sacro di scoperta, apprendimento e disapprendimento. Come scrive infatti: mentre imparavo a conoscere meglio i mammiferi marini, ho scoperto come guardare tra le pieghe del linguaggio, attraverso le pratiche poetiche che ho dovuto usare per trovare me stessa e amarmi, in un mondo che ogni giorno mi dà un nome sbagliato. E ho provato tanto amore e umiltà. Ho provato tanto stupore e un senso di possibilità.
Nelle sue parole leggo l’idea di una pedagogia Nera e queer, femminista e decoloniale che dimostra come il personale non solo è politico, ma anche spirituale, perché riesce a toccare le profondità dell’esistenza e a elevarle a forza sovversiva verso la cura reciproca di sé e degli altri esseri viventi, umani e non. Undrowned ci pone infatti la domanda su cosa significa andare a fondo delle nostre azioni quotidiane, “al di sotto della superficie degli eventi di attualità e delle reazioni sui social media”, e di riscoprire la responsabilità collettiva e la sacralità dei nostri gesti e per far questo Gumbs chiede consiglio agli esseri viventi che sono più adatti a immergersi nel fondo, come i capodogli che arrivano a più di un chilometro sotto la superficie del mare. Perché “l’oceano custodisce così tante lezioni di profondità che, quando pensi di aver toccato il fondo, a volte si può andare ancora più giù. Fai un bel respiro”.
Le lezioni che Alexis Pauline Gumbs ci trasmette insieme alle mammifere marine possono essere definite una pedagogia dell’attraversamento.
E il respiro è centrale in Undrowned, come lo è per le mammifere marine che necessitano di respirare in circostanze irrespirabili. Gumbs ci ricorda che il respiro è pratica politica urgente nel momento in cui viene negato: dai naufragi in mare delle persone che migrano alla soffocante violenza razzista; dall’industria carceraria delle prigioni (o dei CPR in Italia) allo sfruttamento sul lavoro, che impediscono di reclamare aria e libertà di movimento; dalla transfobia che soffoca con la sua presenza costante le vite delle persone trans, soprattutto se razzializzate, all’abilismo che non permette di vivere vite degne alle persone disabili; fino al cambiamento climatico, generato dal capitalismo estrattivista più estremo. Il respiro è collettivo e interspecie, come Gumbs ci ricorda, perché anche le nostre compagne marine respirano con noi e per noi: il respiro delle balene è cruciale per il nostro stesso respiro e per il ciclo del carbonio del pianeta quanto le foreste della terraferma. Stando alle ricerche, se le balene tornassero ai numeri precedenti alla caccia commerciale, il loro gigantesco respiro immagazzinerebbe tanto carbonio quanto 110.000 ettari di foresta, ossia di una foresta delle dimensioni del Rocky Mountain National Park.
Imparare a essere mammifere marine oggi diventa un imperativo per assumere la responsabilità del nostro impatto sul mondo e rifiutare di adattarsi e seguire le norme egemoniche di esistenza, apprendimento e violenza imposte dal capitalismo razzista, eteropatriarcale e abilista. Significa riconoscere la violenza intrinseca nelle nostre vite e cercare di superarla attraverso la cura, la lotta e la sovversione dell’antropocentrismo bianco e occidentale per riscoprire una dimensione umana più piena, sacra e aperta al cambiamento. Perché ogni giorno “agiamo sapendo che tutto potrebbe cambiare… Presto saremo tutti mammiferi marini. Grazie per averci ricordato di continuare a nuotare”.