M entre percorro la strada per raggiungere alla sede di Ásatrú, l’organizzazione religiosa neopagana islandese, il cielo di Reykjavík si carica di nuvole grigie e umidità. Anche se siamo non lontani dal centro, le strade della capitale islandese si snodano anonime lungo un paesaggio piuttosto piatto. Quando il navigatore mi segnala che sono arrivato a destinazione le prime gocce cominciano a cadere, ma mi lasciano il tempo di osservare la facciata del palazzo, grigio e anonimo, che ospita l’associazione religiosa. Ci sono delle grandi vetrate smerigliate che riportano delle scritte ordinate in islandese, una disposizione che farebbe pensare più ad uno studio medico che alla sede di un movimento religioso, se non ci fosse una croce solare – il simbolo antenato della croce celtica – e la scritta “Ásatrúarfélagið” a campeggiare sopra di esse. Il termine significa “Fratellanza della fede negli Asi”, ovvero la famiglia di dei di cui fanno parte Odino e Thor. Il paganesimo norreno conta oggi più di tremila seguaci, una cifra che può sembrare esigua ma che, in una nazione che conta poco più di trecentomila abitanti, equivale all’un per cento della popolazione. E anche se c’è chi vorrebbe avvalorare l’idea che l’antica religione non si è mai davvero estinta, ma è rimasta come una corrente sotterranea al cristianesimo, la realtà dei fatti è tutt’altra: Ásatrú, fondata solennemente durante il solstizio d’estate del 1972, all’inizio della sua storia contava giusto qualche decina di persone. A confermarlo è Hilmar Hilmarsson, oggi autorità spirituale della rinata chiesa di Odino, che si iscrisse alla fratellanza di Ásatrú all’età di sedici anni, nel 1974: “La mia tessera d’iscrizione era tra il numero trenta e il quaranta”, dice, ricordando l’epoca pionieristica del neopaganesimo islandese.
Hilmar arriva infagottato nel suo giacchetto alla sede di via Síðumúli numero 15. Mi saluta frettolosamente, quasi con imbarazzo, ma la sua faccia lascia intravedere un sorriso timido mentre mi apre la porta dell’associazione. All’interno lo spazio assomiglia più a un ufficio, o alla sede universitaria di un dipartimento di etnologia: gli unici elementi che lasciano intravedere la natura di questo luogo sono una statua di Thor in legno – riproduzione in grande di quella in bronzo custodita al Museo nazionale d’Islanda e che risale più o meno all’anno 1000 – e alcuni altri manufatti in legno. Ma il fatto che la sede del movimento neopagano sia tanto anonima non è una sorpresa, è anzi un aspetto connesso al motivo della mia visita. Ásatrú, pur essendo un movimento religioso riconosciuto dallo Stato islandese a partire dal 1973, non possiede un vero luogo di culto. Ma visto che nel frattempo la comunità è cresciuta e ha avuto accesso alle risorse della “sóknargjald” – una tassa destinata alle organizzazioni religiose, simile al nostro otto per mille – ha deciso di costruirne uno. Il primo Tempio di Thor su suolo islandese dall’anno mille – anno in cui l’isola scandinava fu convertita al cristianesimo. Un luogo di culto che accoglierà le pratiche religiose e assembleari, e che sorgerà in un quartiere periferico di Reykjavík. La zona è già stata cantierizzata e i lavori sono in corso: Hilmar ha promesso di accompagnarmici, dopo la nostra chiacchierata.
“L’idea di costruire un tempio che accolga i nostri incontri e i nostri rituali non è un’idea di oggi, risale a più di venticinque anni fa – mi spiega Hilmarsson –. È maturata nel tempo, perché ci riunivamo in un edificio qualunque, un po’ come quello in cui siamo ora, ma sentivamo la necessità di un luogo adeguato. Così fu indetto un concorso a cui hanno partecipato otto architetti. Alla fine ci siamo concentrati su due dei progetti presentati, scegliendo quello definitivo per via delle suggestioni che era in grado di realizzare”. Gli edifici sacri, in effetti, hanno un ruolo importante nel costruire l’atmosfera adeguata ad un rito, e in Italia lo sappiamo bene. Nel caso di Ásatrú l’elemento più importante è l’armonia e il rapporto con la natura, poiché la connessione tra quest’ultima e il divino è uno degli aspetti centrali del paganesimo norreno. La confraternita islandese, però, ha impresso a questo principio un carattere ecologista, in puro stile scandinavo. Hilmar mi spiega infatti che la richiesta fatta ai progettisti è stata quella di usare la maggior quantità di materiale naturale possibile. “Quello che sta sorgendo a Reykjavík è il primo edificio religioso le cui fondamenta sono interamente costruite con legno islandese. Fino al 2015 questo procedimento non era realizzabile, perché in Islanda non c’erano alberi sufficientemente grandi per realizzare un edificio di tali dimensioni. Oggi le cose sono cambiate grazie a un programma di rimboschimento. Ma la scelta è motivata anche dalla volontà di costruire un edificio che sia il più ecologico possibile. La pianta segue un disegno di geometrie separate, alla base delle quali c’è il numero nove. È un numero che per la nostra religione ha un’importanza capitale, una grande simbologia, noi lo chiamiamo il nostro numero segreto”.
In effetti uno dei particolari che mi impressiona di più, durante il mio giro per l’Islanda, è la vastità dei panorami, resa tale dalla quasi assenza di elementi verticali. Gli alberi sull’isola si sono praticamente estinti a causa dell’intenso utilizzo che ne fecero i vichinghi per realizzare le loro navi e per fare spazio ai pascoli. Successivamente il clima, estremamente ventoso, ha reso impossibile lo sviluppo di nuove foreste – e il programma governativo per il rimboschimento a cui fa riferimento Hilmar ha cambiato le cose sì, ma ancora in percentuali esigue. Mentre scomparivano gli alberi, attorno all’anno mille, anche gli antichi dei seguivano lo stesso destino. È proprio in quell’anno, così carico di simbologie poiché chiudeva un millennio per aprire il successivo, che viene fatta cadere la conversione dell’isola (che fu soprattutto un atto politico). Nell’estremo nord dell’Islanda c’è una delle cascate più suggestive del paese, meta di turisti a caccia di bellezze naturalistiche, che nel nome conserva la memoria di quello storico spartiacque: Goðafoss. La “cascata degli dei” è chiamata così perché il capo pagano Thorgeir Ljósvetningagoði scagliò nelle sue acque le statue dei suoi idoli pagani, per suggellare l’avvenuta conversione al cristianesimo. Quella che può sembrare una resa era, in realtà, un pragmatico compromesso. Ljósvetningagoði era anche una figura politica e sedeva nell’Althing, l’antico parlamento islandese, che nell’anno 999 era intento a discutere su come evitare l’invasione del re cristiano Olaf I di Norvegia. La scelta del cristianesimo, già abbracciato da diversi componenti dell’assemblea, fu dunque l’estrema ratio per evitare l’invasione. Il sacerdote pagano ottenne che le antiche tradizioni non venissero spazzate via: tutti dovevano battezzarsi e praticare il cristianesimo pubblicamente, ma nel privato delle loro abitazioni gli islandesi potevano continuare a fare sacrifici in onore agli dei pagani.
La storia, per quanto suggestiva, non dimostra affatto che le pratiche del paganesimo siano state conservate in modo integrale e trasmesse fino a noi. Lo stesso Hilmarsson ammette che alla base della loro religione c’è soprattutto lo studio dell’Edda, il poema epico di Snorri Sturluson, per comprendere e reinterpretare gli antichi miti, più che una trasmissione diretta di qualche segreta confraternita. Questo però non toglie che certe tradizioni abbiano solcato il mare del tempo scorrendo come un fiume carsico sotto l’ufficialità del cristianesimo. Hilmar, ad esempio, aveva uno zio che conosceva le antiche tradizioni ed era, in un certo senso, un “pagano” – anche se quel termine, tornato di moda di recente, non veniva utilizzato ufficialmente. La figura di questo zio, stando a quanto racconta, ha giocato un ruolo importante nella scelta di abbandonare il cristianesimo professato dai suoi genitori in favore della fede negli antichi dei. Un altro segno di questo fiume sotterraneo, oggi divenuto folklore ad uso e consumo dei turisti, sono le storie di stregoneria. A Hólmavík, una piccola località dei fiordi nord-occidentali, è sorto persino un museo della stregoneria, allestito e gestito da un ristoratore della zona in attesa che qualcuno dalla capitale si decida a finanziarlo come attrazione turistica. La scelta del luogo non è casuale: non lontano da lì sorge una presunta “casa dello stregone”, una tipica abitazione col tetto di torba diventata attrazione anch’essa e connessa al museo. I fiordi nord-occidentali sono l’area geografica in cui si concentrò la repressione della stregoneria, nella seconda metà del XVII secolo, che causò ventuno morti sul rogo accertate. Un numero che può sembrare esiguo, ma va rapportato all’esiguità della popolazione islandese, a cui va poi aggiunto un numero indefinito di fustigazioni, pena più mite per chi veniva trovato in possesso di rune o di altri elementi legati alla tradizione pagana, o era semplicemente sospettato di praticare gli antichi riti. I quali, comunque, dovevano essersi parecchio corrotto nel corso dei secoli di dominazione del cristianesimo: molti degli incantesimi o dei riti riportati nel museo di Hólmavík, infatti, sembrano essere connessi alle festività o ai simboli sacri della religione cristiana, che veniva provocata o sbeffeggiata come una sorta di antagonista. Il museo, realizzato in modo da impressionare il turista, ne riporta uno particolarmente truculento, che consiste nel fabbricarsi dei pantaloni fatti con la pelle di un cadavere – previo accordo con il defunto prima del trapasso – allo scopo di ottenere del denaro. Spesso, ammesso che sia corretto quanto riportato dall’attrazione di Hólmavík, sembrano riti volti a ottenere benessere materiale per alleviare le condizioni di chi le praticava, presumibilmente contadini, che nell’Islanda del Seicento non dovevano passarsela molto bene.
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Tornando alla sede dell’Ásatrúarfélagið, nella moderna Reykjavík, tutto questo immaginario gotico va lasciato da parte. Lo scopo di Ásatrú è recuperare i principi di pace e fratellanza della filosofia religiosa che animava anticamente il paganesimo norreno, attraverso lo studio delle fonti. Anche il Cesnur, il Centro studi sulle nuove religioni fondato da Massimo Introvigne, conferma che rispetto all’approssimazione che caratterizza molti movimenti neopagani legati alla tradizione nordica, Ásatrú è caratterizzato da “una concentrazione non abituale di autentici studiosi”. Hilmar Hilmarsson conferma che, rispetto alla tradizione antica, la cesura fu netta e gli elementi folklorici sopravvissuti poco significativi. “Ci sono stati dei revival di stampo romantico durante il diciannovesimo secolo, ma sostanzialmente la memoria degli antichi dei era diventata una questione letteraria. Non è più così a partire dal 1972”. Cioè da quanto Ásatrú si costituisce come religione.
Ma cosa fanno i neopagani nel ventunesimo secolo? E in che cosa credono realmente? La risposta è più complessa di quello che si possa pensare e, quando la pongo a Hilmarsson, lui si prende un bel po’ di tempo per rispondere. Da un lato ci sono le antiche credenze, con il loro rapporto con i cicli naturali della morte e rinascita delle stagioni e il pantheon di divinità. Dall’altro i riti che scandiscono l’esistenza di una persona, come i matrimoni e i funerali. Il pantheon norreno è piuttosto conosciuto, o almeno lo è la sua figura centrale, il dio Odino – “grazie soprattutto al cinema americano”, chiosa Hilmar ridendoci su. “Ma la figura più amata in Islanda è certamente Thor, il dio con il martello. A lui sarà dedicato il nostro tempio”. Thor, Týr e Odino fanno parte della stirpe degli Asi – da cui deriva il nome della religione – mentre Njördhr, Freyr e Freyja appartengono ai Vani, che prima si oppongono e poi si uniscono alla stirpe di Odino. Ci sono poi una serie di divinità minori sulle quali Hilmarsson preferisce sorvolare, ma che comunque sono connesse a vari livelli ai più disparati aspetti dell’esistenza. “I nostri dei sono connessi agli elementi della natura, ai principi o ai sentimenti che governano la vita degli uomini. Non è molto diverso dal pantheon greco o romano, funziona un po’ allo stesso modo”, spiega.
Ma al di là della cosmogonia e della dottrina, che interessa più da vicino coloro che scelgono di approfondire con lo studio le antiche tradizioni, quello che riguarda più da vicino i fedeli sono i riti, che scandiscono le tappe dell’anno e della vita come per le altre religioni. I principali sono quattro, uno per stagione, e il più importante è l’equinozio di primavera. Un ruolo particolare, per la comunità Ásatrú, lo riveste un festival estivo la cui data viene calcolata utilizzando un vecchio almanacco solare – e per questo non coincide col nostro solstizio. “La maggior parte delle feste e dei riti vengono celebrati all’aperto – mi spiega Hilmarsson – eccetto quando è inverno. Durante i rituali, sostanzialmente, si suonano canzoni e si raccontano storie. E poi si mangia tutti insieme”. Sentir parlare di cibo legato alla ritualità è una cosa che mi incuriosisce, non solo perché il cibo ricopre un valore simbolico in molte religioni, ma anche per l’esotismo che la cucina, certe volte, è ancora in grado di suscitare. Chiedo così a Hilmar se esistono cibi e preparati particolari. “Indubbiamente la carne di cavallo ricopre una certa importanza, perché è una tradizione della nostra terra e si accompagna a certi momenti specifici, anche rituali. Però mangiamo anche cibo di tutti i giorni e non necessariamente islandese. Vuoi un esempio: il bacon. Siamo molto aperti in tema di cucina”. A quest’ultima affermazione il mio senso dell’esotico culinario ha un drastico picco negativo, ma l’atmosfera che dipinge Hilmar con i suoi resoconti è sempre piuttosto informale, e proprio per questo intrigante, perché lontana dalle ingessature con cui siamo soliti immaginare vengano officiati i riti religiosi.
Scoprirò presto che quella che lui chiama “apertura” è un atteggiamento che orienta i seguaci di Thor in molti aspetti. La musica, ad esempio. Hilmarsson stesso di professione fa il musicista, è esperto di tradizioni islandesi ma non solo: tra le sue molte collaborazioni ci sono anche nomi internazionali famosi come i Sigur Rós, i Current 93 e, negli anni Ottanta, un’ancora sconosciutissima Björk. Il sincretismo tra passato e presente fa sì che, durante le cerimonie, si possa ascoltare un repertorio che spazia dai Rímur – racconti epici cantati a cappella, risalenti all’epoca vichinga – alla musica moderna. “Un genere che riscontra molto successo, ad esempio, è l’heavy metal. Lo abbiamo usato varie volte anche per i matrimoni”. Già, perché matrimoni celebrati da Ásatrú hanno valore legale, in Islanda, e assieme ai funerali sono i riti principali che scandiscono la vita dei fedeli ordinari, quelli che non si addentrano nello studio approfondito dell’Edda, ma chiedono alla loro fede di benedire i momenti di passaggio, siano essi di dolore o di gioia. A questo proposito, Hilmar mi spiega che nelle credenze Ásatrúarfélagið la fine della vita non è solo coronata dall’ingresso nel Valhalla, il paradiso vichingo; c’è anche il Niflheimr, la terra delle nebbie, dove c’è anche una sorta di inferno, ma nemmeno questo esaurisce le possibilità. Secondo la tradizione norrena, dopo la morte l’anima del defunto può risiedere in un elemento naturale, come una montagna o una piccola pietra, e persino dimorare in mezzo ai proprio amici e congiunti ancora in vita. Forse queste ultime opzioni così terrene, più che dimore ultramondane immaginate dai miti, sono quelle che colpiscono maggiormente la sensibilità dei contemporanei.
Visto che abbiamo toccato il tasto dell’heavy metal, che in certi ambienti si interseca con il recupero della mitologia norrena, non possiamo non affrontare l’altra identificazione che spesso ha accompagnato il neopaganesimo: quella con la destra estrema. Su questo punto Hilmarsson taglia corto, perché per un islandese l’idea di associare la propria mitologia con un pensiero politico è fuorviante. Per di più l’estremismo politico è qualcosa che contraddice il codice morale di un Ásatrú. Cosa prescrive questo codice morale? “Non molto, non abbiamo sistemi prescrittivi. Non esistono cose simili ai dieci comandamenti, nel nostro credo. Se volessimo riassumerlo in un principio esso sarebbe: sii una persona buona, non tradire gli altri, perché è disonesto, e per il resto cerca di vivere una buona vita”. Essere persone oneste e giuste è l’esortazione che i seguaci di Thor ricavano dagli antichi poemi come l’Hávamál, la cui traduzione suona all’incirca come “I canti dall’Altissimo”. Anche questi sono oggetto di discussione e interpretazione durante gli incontri settimanali con i fedeli, organizzati più come un dibattito attorno a delle letture che come riti alla maniera cattolica. Sembra che, nonostante il legame con la tradizione sia al centro di questo credo, la sua reinterpretazione secondo la sensibilità contemporanea abbia un ruolo non secondario. E visto che affrontiamo il tema dell’estremismo, chiedo a Hilmarsson cosa ne pensa del fondamentalismo religioso. Anche qui taglia corto e mi risponde: “Penso sia il male. È il male come qualunque pensiero assoluto, che pretenda di disciplinare per intero l’essere umano e i rapporti con gli altri”. E la posizione di chi crede in Thor e Odino qual è? Può praticare sincreticamente più religioni o deve rispettare un dettato particolare? “Noi non siamo una religione prescrittiva, come dicevo prima. Possiamo imparare molto anche dalle altre religioni. Ad esempio dall’induismo, che ha molti punti di contatto con l’etenismo: nel pantheon dell’induismo ci sono alcune divinità che sono praticamente le stesse che abbiamo noi. E poi c’è il buddismo, che è una sorta di riforma di quella religione. Credo che si possa apprendere cose importanti da qualunque religione, anche da Gesù Cristo – anche se per me non è stato così. Siamo aperti alla possibilità di apprendere da qualunque filosofia o religione”.
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Dopo la nostra chiacchierata nell’anonima sede dell’Ásatrúarfélagið, Hilmar mi propone di andare a vedere il sito dove sorgerà il tempio di Thor. Il progetto, che ho avuto modo di esaminare, lascia immaginare una figura armoniosa e ampi spazi che nella sede attuale mancano. Anche se le riunioni settimanali del sabato, per come me le ha raccontate Hilmar, hanno un’impronta decisamente informale – “A volte semplicemente parliamo di un libro o di un film che ci è piaciuto molto e ne consigliamo la lettura o la visione agli altri”, mi ha spiegato – con l’apertura del luogo di culto tutto prenderà una piega differente in termini di atmosfera. Non ci vuole molto a raggiungere il luogo, che si trova un po’ più in periferia, ma a Reykjavík le distanze sono tutto sommato relative. Facciamo pochi passi attraversando un’area verde, all’interno della quale è stato aperto il cantiere, e una pioggia fitta ci bagna da capo a piedi. Hilmarsonn sembra non accorgersene nemmeno e, una volta giunti davanti al cartello di apertura lavori, comincia a spiegarmi le varie fasi del lavoro. L’inaugurazione è fissata per l’estate del 2018 (ma, apprenderò nei mesi successivi al nostro incontro, i lavori slitteranno di un po’, presumibilmente di un anno). Hilmarsson vorrebbe che l’apertura coincidesse con una delle principali festività della fratellanza, quando la collettività si raduna in massa per le celebrazioni.
La comunità dei fedeli, per altro, sembra in crescita. Il primo picco si è avuto nei primi anni Novanta, quando i membri hanno superato le duemila unità, e il secondo nel 2015, quando il numero dei fedeli si è avvicinato a quota tremila, superata l’anno successivo. All’epoca del nostro colloquio il numero ufficiale dei seguaci di Thor era vicino ai 3.600 mentre nell’estate del 2018 hanno superato quota quattromila. Ma Hilmar Hilmarsson, oggi gran sacerdote neopagano, ha vissuto gli albori di questa riscoperta del culto degli Asi, quando dichiararsi Ásatrú era qualcosa di bizzarro e di ultranicchia. Gli chiedo così qual è stata la sua motivazione. “È vero, oggi siamo una realtà importante, mentre quando ho abbracciato la fede io eravamo qualche decina. Ci vollero anni prima di arrivare a cento membri. Cosa porta la gente a ad aderire al credo degli antichi dei? Beh, penso che un elemento importante sia l’esigenza di seguire qualcosa che ti rappresenti veramente. Per me è stato così. Anche perché non mi sentivo a mio agio con la religione cristiana. Ho avuto una brutta esperienza con un prete, non un abuso, ma comunque un comportamento invadente. Tra chi ha scelto Ásatrú c’è gente che ha avuto esperienze simili alla mia o anche peggiori. Ma il vero nodo non sta lì. Personalmente ero molto arrabbiato con la Chiesa, dopo quell’episodio, e certamente Ásatrú ha giocato un ruolo importante per darmi un’altra possibilità. Ma oggi, dopo tanti anni, e dopo che quella rabbia è svanita, ho capito che il punto è altrove. All’interno della Chiesa d’Islanda io non mi sentivo davvero me stesso, mentre è successo con la fede negli antichi dei. Questo vale per me come per tanti altri confratelli. Oggi ufficialmente ancora l’80 per centro della popolazione è cristiana [ma solo il 69% appartiene alla Chiesa nazionale, d’impostazione luterana, Ndr], ma io penso che i veri credenti siano pochissimi: principalmente nasci in un ambiente cristiano e ti definisci così. Noi invece scegliamo di essere ciò che siamo. E poi gioca un ruolo importantissimo l’amore per la letteratura antica e le nostre tradizioni”.
Osservo il cantiere dove, pezzo dopo pezzo, il primo tempio dedicato a Thor da mille anni e oltre a questa parte sta prendendo piede sul suolo d’Islanda. Dentro di me si accavallano considerazioni di vario genere, da quelle dal sapore new age – “sta davvero finendo l’era dei pesci e con essa il predominio del cristianesimo” – a quelle di carattere antropologico – “in fondo ogni rito è una sorta di teatro, basta credere in ciò che si fa”. Di certo il racconto che mi ha fatto Hilmarsson è quello di una fede che è allo stesso tempo arcaica, a causa delle sue radici, eppure profondamente contemporanea, priva di assolutismi e, come si dice in inglese, open minded. Qualcuno potrebbe obiettare che questo senso di appartenenza religiosa, per così dire, a bassa intensità, sia in fondo una contraddizione in termini: una religione o è tale – e dunque totalizzante – o non è altro che l’ennesima dimostrazione della morte di Dio. Però è anche vero che, dalla morte di Pan narrata da Plutarco a quella del dio cristiano teorizzata da Nietzsche, quella della scomparsa della divinità è un mito ciclico che lascia intravedere una rinascita: chissà allora che questa bassa intensità non sia la caratteristica dei culti del futuro.
Anche se la domanda resta a risuonare soltanto nella mia testa, Hilmar in qualche modo mi risponde quando, prima di salutarci, gli chiedo come vede il suo movimento religioso tra qualche anno. “Sarebbe bello se divenissimo il dieci percento della popolazione, dall’un per cento che siamo oggi. Ma soprattutto, al di là dei numeri, è importante che ci sia una nuova generazione che raccolga la tradizione degli antichi dei e la porti avanti. Per noi credere negli Asi è una forma di identità culturale, ma in un senso molto bello e pacifico. Non concepiamo noi stessi come una comunità esclusiva o isolazionista, piuttosto come una comunità aperta composta gente con interessi simili e una simile visione del mondo. Per questo siamo molto aperti alle opinioni degli altri e anche tra di noi abbiamo idee diverse, si può concordare o dissentire. L’identità come rigidità e chiusura è qualcosa di molto lontano da noi”.
Saluto il gran sacerdote Hilmar Hilmarsson e con lui l’Islanda ricca di leggende incredibili quanto i suoi paesaggi. Chissà se, alla prossima tappa in questa terra sempre meno remota, il tempio di Thor sarà davvero in piena attività. Nel frattempo l’Ásatrúarfélagið continua a crescere, un poco alla volta, riempiendo questa terra di nuovi miti, che certo attingono agli antichi, ma che non nascondono il loro retrogusto di postmodernità.