E ra un’artista eccezionale, adorata da zar e imperatori, una stella brillante osannata da nobili e miliardari, un’attrazione venerata dal popolo di mezzo mondo. Elisa Volta Mantovani è salita rapidamente sui gradini più alti del podio del successo, ma con la stessa velocità è caduta nell’oblio.
Ho ricostruito la biografia dell’acrobata a partire da un articolo del Corriere della Sera pubblicato nel giorno del suo funerale, per poi dipanare la matassa e procedere a ritroso fino al 22 marzo 1874, giorno in cui viene al mondo. Elisa nasce a Budapest in una famiglia circense italiana, madre veneta di Agordo e padre emiliano di Budrio. Quest’ultimo, Giuseppe, è cresciuto sull’arena e maestro severo: alleva sin dai primissimi anni la bambina al duro esercizio delle acrobazie. A quattro anni ha inizio la sua carriera e a otto è mandata a studiare danza nella scuola di ballo della Scala; in tutù realizza i primi volteggi sui bianchi cavalli che galoppano intorno alla pista. Leggenda vuole che un giorno Elisa sbagliò una terzina, un passo di danza sulla groppa del cavallo, e che il papà le lanciò una scudisciata così violenta che la fece cadere a terra svenuta. Giuseppe è consapevole che la giovane ha un talento raro, da perfezionare con la massima severità, fatica e dedizione, e Elisa non delude quasi mai, sin dagli esordi fa cose straordinarie, prima cavallerizza, poi trapezista, “con due ali di carta attaccate alle spalle si libra nel ‘volo d’angelo’ da un trapezio all’altro compiendo un doppio salto mortale senza rete sotto”, riportano i giornali dell’epoca.
“Con due ali di carta attaccate alle spalle si libra nel ‘volo d’angelo’ da un trapezio all’altro compiendo un doppio salto mortale senza rete sotto”, riportano i giornali dell’epoca.
La ragazza non ha ancora compiuto sedici anni quando sposa l’acrobata Onorato Mantovani, con il marito, la sorella Angiolina e il cognato Carlo forma la troupe dei “4 Mantovani”, trapezisti volanti diventati ben presto famosi in Russia, in America, in Germania, di quella formazione l’agile Elisa è la punta di diamante. I quattro Mantovani saranno scritturati dal circo Truzzi, si esibiranno davanti all’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, attraverseranno l’Inghilterra e l’Olanda, dove la regina Guglielmina, incantata, regalerà a Elisa un diadema, il primo di una serie di preziosi riconoscimenti. Nel 1913 la troupe parteciperà a una lunga tournee in Russia e in quell’occasione lo zar Nicola II donerà all’acrobata un trapezio d’oro, ma poi scoppia la rivoluzione, il circo Truzzi leva le tende in tutta fretta e i circensi lasciano il Paese a bordo di un sottomarino, abbandonando 350 cavalli in terra russa.
Di ritorno in Italia, altre commissioni e altre trasferte non tarderanno ad arrivare. Elisa Mantovani avrà come compagno di fune l’equilibrista francese Charles Blondin, acrobata e funambolo celebre ancora oggi per le sue camminate sopra alle cascate del Niagara, impresa che Blondin realizzerà numerose volte, la prima nel 1859, sopra un cavo metallico lungo quattrocento metri e posto ad un’altezza di sessanta, in seguito proponendo varianti originali: una volta è bendato, un’altra è rinchiuso in un sacco, in una è sui trampoli, in un’altra ancora porta in spalla il suo manager e si ferma a metà strada per cuocere e mangiare un’omelette. Con Charles Blondin, durante una tournee in America, anche Elisa attraverserà le cascate ma della notizia praticamente non c’è traccia, aldilà di un documento conservato nel prezioso archivio del Cedac, il Centro educativo di documentazione delle arti circensi di Verona, eppure l’impresa ai tempi non passa inosservata, tanto che il magnate dell’automobile Henry Ford, ammirato da un numero così sensazionale, le porta in dono un prezioso anello tempestato di brillanti. Di ritorno dagli Stati Uniti la troupe si ferma a Parigi, dove darà spettacolo e otterrà un vero trionfo con un numero che terrà cartello per due anni al Cirque Napoleon. La squadra nel frattempo si è arricchita di altri quattro acrobati e gli otto eseguono una piramide umana nella quale Elisa sostiene il ruolo della “portatora”, colei che regge tutto il peso della piramide.
Elisa Volta Mantovani ormai è nota in tutto il mondo come “la regina del trapezio”. Tutti la vogliono, tutti la cercano, la donna ormai è ricca e potrebbe ritirarsi con il marito per godersi il meritato riposo, dopo una logorante carriera professionale e una vita privata molto dura, segnata dalla nascita di quattro figli, morti tutti prematuramente; il circo però la attrae ancora e lavora fino all’età di cinquantadue anni, esibendosi e insegnando. Ha diversi allievi, la sua preferita è Maruska, una piccola donna di Odessa, e un certo Gingillino, che poi diventerà proprietario di una ruota panoramica con la carovana del Luna Park di Genova; un altro affezionato alunno è Gino Piancastelli, che in seguito si impegnerà come acrobata al Gratta, il circo arena al campo Marte di Firenze, con un numero con i cani ammaestrati, l’unico con animali in quella piccola e preziosa arena. La rivista Circo negli anni Ottanta del secolo scorso ha avuto la curiosità e la pazienza di raccogliere i ricordi di Maruska, Gingillino e Gino, tra le rarissime testimonianze che abbiamo del passaggio sulla terra di Elisa.
Le protagoniste della storia del circo spesso non sono note né raccontate, nonostante siano state tra le massime interpreti di una storica arte tradizionale, che affonda le sue radici in un passato lontanissimo, fino ai tempi della pietra, quando, se due persone lottavano o si divertivano a portare un’ascia di selce in equilibrio sul naso, era naturale che gli altri si raggruppassero intorno, sedendosi per terra e disegnando, esattamente, un circo. Così sono cadute nell’oblio anche Miss Zaeo, una delle trapeziste più virtuose del secolo scorso, e Madame Saqui, la coraggiosa equilibrista chiamata più volte a emozionare e stupire la corte di Napoleone.
Le protagoniste della storia del circo spesso non sono note né raccontate, nonostante siano state tra le massime interpreti di una storica arte tradizionale, che affonda le sue radici in un passato lontanissimo.
Marguerite Saqui ha visto un susseguirsi di regimi, da Luigi XVI a Carlo X, dalla monarchia cittadina alla Repubblica e al Secondo Impero. Nasce in Occitania nel 1786, tra i venti della rivoluzione. Figlia di un ballerino e un’acrobata, debutta nella squadra del grande Jean-Baptiste Nicolet come funambola e rimarrà sulla corda fino alla fine, in una continua ricerca di palchi sempre più prestigiosi. Prima beniamina di Napoleone, poi di Luigi XVIII, non c’è festa senza la sua partecipazione e lei rilancia ogni giorno con nuove imprese spettacolari. Una volta intraprende la traversata della Senna, all’altezza del Pont-Royal, camminando su una fune da marinaio e usando due bandiere come pendoli, indossa piumati e ingombranti cappelli e collane eccentriche, che presto saranno rinominate à la Saqui e i pasticceri in quegli anni vendono solo scatole di caramelle con inciso il suo ritratto.
Il suo successo è strabiliante e fulmineo, così come la sua discesa: apre un teatro a soli 28 anni ma l’epidemia di colera affonda gli affari e Saqui è costretta a dare il suo spettacolo d’addio il 23 dicembre 1839, il teatro fallirà due anni dopo e verrà demolito. Quasi settantenne, per la festa di Napoleone III, il 15 agosto 1853, attraversa in cordata il Campo di Marte, l’ultima esibizione prima di morire una decina di anni dopo nel suo piccolo appartamento in affitto, dimenticata da coloro che l’avevano idolatrata. Miss Zaeo spopola alla fine dell ‘800, è nota per le sue esibizioni in tutta Europa, dalla Spagna alla Germania, dalla Francia al Portogallo. Zaeo sfodera sempre un numero eccezionale: si arrampica su una corda fino a trenta metri di altezza, lancia un fazzoletto, indica il punto in cui è caduto e si lancia nel vuoto a prenderlo.
È la serata d’addio, a Trieste, per il circo di cui Zaeo è la punta di diamante. La donna sale sul trapezio fissato sotto il soffitto, poi, nel silenzio della sala e mentre rullano i tamburi, ecco il salto. Ma l’artista quel giorno, per la prima volta nella sua vita, ha calcolato male la traiettoria: anziché cadere nella rete il suo corpo finisce sul bordo, rimbalza e piomba su un gradino. Viene raccolta viva ma sanguinante al viso, sotto lo sguardo sgomento del pubblico. Da quel giorno diventerà la beniamina dei triestini, tanto che al suo nome sarà intitolato un palco del teatro e un musicista le dedicherà una polka che per anni sarà suonata durante i balli e i concerti nei caffè. Di entrambe esiste una bibliografia pressoché nulla in Italia, eppure le due hanno emozionato migliaia di uomini e donne, ammaliandoli con quei numeri in cui mettevano in gioco la loro stessa vita. È per questo che ancora oggi trapezisti e acrobati volanti continuano ad affascinare il pubblico e a emanare un’aurea di rispetto e adorazione, per quella continua tensione, per quel sottile margine che nelle imprese aeree a decine di metri da terra separa la vita dalla morte.
Elisa Mantovani, come Miss Zaeo, Madame Saqui, e migliaia di altre acrobate in ogni latitudine e epoca, morirà in silenzio, una scatola con dentro vecchie fotografie come unica dote, mentre il diadema della regina Guglielmina, il trapezio d’oro di Nicola II, l’anello di brillanti di Ford erano stati via via sacrificati nei tempi duri della lunga vecchiaia. Elisa rimane vedova nel 1952 e si ritira nella villa di Bronciliano, la casa di riposo per gli anziani dello spettacolo viaggiante a Scandicci, alle porte di Firenze, un istituto nato per volontà di don Dino Torregiani, presbitero che ebbe tra i suoi alunni anche un giovanissimo Dossetti. La casa c’è ancora, anche se durante la pandemia sono morti sette dei suoi residenti. Oggi appartiene ad un’associazione in parte religiosa e in parte formata da gente dello spettacolo itinerante, che si occupa e offre assistenza a chi non ha fissa dimora, fra cui circensi e giostrai. Quando Elisa Mantovani arriva a Bronciliano, nel 1952, stupisce le altre ospiti della casa di riposo: sa parlare in sette lingue e scrivere fluidamente in tre.
L’ultimo numero del 1958 de La Domenica del Corriere riporta un articolo di Renato Albanese dal titolo a piena pagina: “Addio ‘Regina del trapezio’! Sovrani e zar la coprivano d’oro, ora é morta povera e dimenticata”. Chi quel giorno assiste alle esequie di Elisa nota che in testa al breve corteo funebre, composto di vecchietti, ex equilibristi, acrobati, saltatori, cavallerizze, camminano quattro uomini dalla gigantesca corporatura, componenti della celebre troupe, e una donnetta di mezza età, dai capelli grigi e crespi, il volto roseo, seguita da un cane barbone: è Maruska, la piccola signora di Odessa, allieva prediletta della regina del trapezio. Maruska è arrivata precipitosamente a Bronciliano, avvertita da un telegramma di suor Elisabetta, la madre superiora della casa di riposo, con un treno da Genova, dove con il marito Emilio conduce un tiro a segno alla Foce nel periodo delle feste natalizie. Quel giorno ha gli occhi rossi per il gran piangere e chiede espressamente che la grande Elisa, da lei affettuosamente chiamata “zia”, non sia sepolta nella terra, ma trovi l’eterno riposo in un loculo alto perché “colei che aveva sempre volato con tanto ardimento non doveva finire cosi in basso”. La sua preghiera viene ascoltata e i resti di Elisa Volta Mantovani ora riposano a due metri da terra nel cimitero di Scandicci, accanto a Bibi, un amico nano morto l’anno precedente, a pochi metri da quella casa in cui ancora oggi equilibristi, acrobati e artisti trascorrono gli ultimi anni, tra scarse visite, molti ricordi e poche foto ingiallite.