La storia della politica internazionale è stata a lungo analizzata come una “semplice” vicenda di scontri armati. Per i primi esponenti della scuola realista delle relazioni internazionali infatti, la sola forza che contava nello scenario anarchico delle contrapposizioni tra stati era il fuoco dei propri cannoni. Col suo sterminato esercito e un arsenale nucleare quasi illimitato, per un lungo periodo l’Unione Sovietica ha rappresentato quindi l’epitome di questo mantra realista.
“Il Papa? Quante divisioni ha?”. Quando Stalin diede questa risposta al Presidente Francese Pierre Laval, nel 1935, di sicuro non immaginava che sessant’anni più tardi l’Unione Sovietica non sarebbe più esistita e che una delle stoccate decisive all’URSS l’avrebbe inflitta proprio quel minuscolo stato quasi del tutto privo di un esercito. La visita di Giovanni Paolo II in Polonia, nel 1979, scatenò un effetto domino che avrebbe portato allo sfilacciamento del dominio sovietico, fino al collasso nel 1991. Tutto ciò, senza usare una sola divisione.
Riflettendo sull’esito della Guerra Fredda, Joseph S. Nye Jr coniò il termine “soft power”. Secondo Nye, il potere morbido si identifica con tutto ciò che uno stato è in grado di ottenere dagli altri attori globali non per mezzo della coercizione (“hard power”) ma grazie alla forza di seduzione che è in grado di esercitare su di essi. Per Nye convincere è un mezzo più efficace che costringere e il tracollo dell’Unione Sovietica avrebbe dovuto essere da monito per il nuovo egemone globale emerso dalla guerra fredda: gli Stati Uniti.
È con l’avvento della società di massa che la capacità di distillare potere dalle arti e dall’intrattenimento arriva a livelli mai raggiunti prima.
Se soft power è un termine relativamente nuovo, il concetto è vecchio quanto la politica. Gli uomini di potere di ogni epoca e area geografica hanno infatti sempre ponderato i vantaggi di rendere “attraente” il proprio dominio. Questioni marginali, certo, rispetto alla gestione della guerra, ma quelle faccende in apparenza accessorie hanno via via determinato lo sviluppo di molti aspetti importanti della nostra società, a cominciare dall’arte, che a lungo fu una storia di commissioni da parte di potenti e potentati. Per le corti rinascimentali italiane a cavallo tra il XV e il XVI secolo, lottare per ottenere i migliori artisti e studiosi in circolazione non era solo questione di prestigio, ma un aspetto della lotta per il potere.
È però con l’avvento della società di massa, agli inizi del XX secolo, che la capacità di distillare potere dalle arti e dall’intrattenimento arriva a livelli mai raggiunti prima, per merito soprattutto di nuovi media come la radio e il cinema. Attraverso di essi, un evento o un’opera possono per la prima volta essere fruite non più dal solo pubblico presente fisicamente in un luogo, ma trasmesse al mondo intero. Si apre così la stagione della grande e pervasiva propaganda dei totalitarismi. In tal senso le Olimpiadi del 1936, rappresentano l’apice di un’azione volta “a non limitarsi a sottomettere le masse, ma renderle dipendenti dal governo”, per citare direttamente l’architetto della propaganda nazista: Joseph Goebbels.
Dal dopoguerra e per tutta la seconda metà del XX secolo, la televisione, più del cinema e della radio, amplia ulteriormente il bacino d’utenza dei due grandi riti collettivi che influenzano il tempo libero e l’immaginario di milioni di persone nell’Occidente e oltre: i film hollywoodiani e lo sport. In entrambi i casi non si tratta però di forme di svago completamente inedite. I film proseguono infatti nel solco tracciato dalla drammaturgia teatrale, mentre lo sport è dà sempre presente nelle società umane. Sono state semmai le nuove modalità di diffusione televisiva, in grado di raggiungere qualunque angolo del globo, a fornire a entrambe un seguito di proporzioni mai viste in precedenza e, di conseguenza, un potere altrettanto inedito.
Se la storia recente ci insegna qualcosa è che quando si tratta di intrattenimento è sempre la tecnologia a guidare i processi.
E così, a partire dagli anni ‘50, attraverso la propria industria dello spettacolo, la potenza americana è riuscita a esportare stili di vita e modelli di comportamento in tutto il pianeta, o, per fare un esempio recente, piccoli ma ricchissimi stati arabi del Golfo hanno dato vita, durante le ultime Olimpiadi, a una vera e propria campagna acquisti di campioni stranieri a cui offrire passaporto e lauti stipendi.
Eppure fino al XIX secolo le grandi fonti d’intrattenimento globale erano il teatro e il romanzo mentre lo sport e il cinema si stavano appena affacciando sulla scena. Si può dunque supporre che mentre leggete questo articolo stiano già emergendo, da qualche parte là fuori, le modalità di svago con cui le prossime generazioni spenderanno il proprio tempo libero. È molto difficile prevedere con esattezza quali saranno, ma se la storia recente ci insegna qualcosa è che quando si tratta di intrattenimento è sempre la tecnologia a guidare i processi. Una forma di svago dominante, di solito è espressione di ciò che di più tecnicamente avanzato una società può proporre, che si tratti dell’Odeon degli antichi greci o di uno schermo 4K.
Sappiamo tutti come, per esempio, lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale sia una delle grandi sfide tecnologiche di questo secolo: mentre nella seconda metà del XX Secolo l’obiettivo degli scienziati informatici era aumentare la potenza di calcolo delle macchine, oggi invece si lavora incessantemente per renderla più dinamica, analitica, in altre parole più umana. Se lo sport rappresenta la massima espressione di competizione tra uomini, in futuro potrebbero nascere forme d’intrattenimento in cui la competizione questa volta è tra l’uomo e la sua creazione. I duelli tra super computer e campioni di scacchi hanno avuto il merito di attirare l’attenzione sul potenziale di questa sfida, ma il futuro potrebbe riservare competizioni non solo di natura intellettuale.
Un futuro dell’intrattenimento del XXI secolo dominato dalla partecipazione attiva dell’utente all’esperienza è solo uno degli innumerevoli scenari possibili.
Laddove poi non fosse la robotica ad affermarsi come nuova frontiera dell’intrattenimento globale, potrebbe esserlo la realtà virtuale. Se la produzione cinematografica, così come ogni altra rappresentazione drammaturgica, ha sempre avuto la caratteristica di lasciare lo spettatore passivo, la realtà virtuale potrebbe creare esperienze in grado di ridefinire completamente il concetto di film. Ma le potenzialità della realtà virtuale non si fermano certo al cinema o ai videogiochi. Vivere un evento storico, abitare in una community strutturata in modo simile a Facebook o LinkedIn, ma fatta di edifici e stanze con altre persone che in quel momento ci sembrano tangibili e concrete, sperimentare persino nuove forme di affettività, potrebbero rappresentare presto il futuro della nostra socialità.
L’evoluzione della realtà virtuale, unita a un’intelligenza artificiale sempre più indistinguibile da quella umana, porterebbe a un salto di qualità nell’intensità vissuta durante l’esperienza d’intrattenimento rispetto a quanto avviene oggi. Codificare queste sensazioni potrebbe essere l’occasione che gli stati (ammesso che essi stessi sopravvivano a questi sussulti innovatori) aspettavano da decenni per agire sulle persone ad un livello di manipolazione impensabile.
Tecnicamente la natura e i contenuti di queste forme d’intrattenimento dovrebbero dipendere dalle volontà personali dei loro creatori (e raramente un creativo è felice di scoprirsi quale “longa manus” del proprio governo), ma se c’è una cosa che ci ha insegnato il XX secolo è come un certo quantitativo di soft power possa derivare anche da creazioni assolutamente autonome, se non apertamente critiche verso il potere che lo emana.
Naturalmente un futuro dell’intrattenimento del XXI secolo dominato dalla partecipazione attiva dell’utente all’esperienza è solo uno degli innumerevoli scenari possibili. Ma sia che nel 2100 gran parte del mondo spenderà il proprio tempo libero a sfidare un’intelligenza artificiale in un mondo fatto di codici o, preso da una folle mania vintage, si diletterà a far ruotare il cerchio con un bastone, potremo essere certi di una cosa. Finché esisteranno, gli stati continueranno a fare il possibile per attrarre il maggior numero di persone possibile e convincerle – e tramite esse convincere gli altri stati – che i propri desideri rappresentino il meglio per tutti.