I l 7 luglio gli Stati Uniti hanno conquistato il loro quarto Mondiale di calcio femminile, battendo 2 a 0 i Paesi Bassi in finale al Parc Olympique Lyonnais con le reti di Megan Rapinoe e Rose Lavell. La nazionale italiana, allenata da Milena Bertolini, si è fermata ai quarti uscendo proprio contro i Paesi Bassi. Quella che si è tenuta in Francia è l’ottava edizione ufficiale del torneo. In questi anni il calcio femminile ha acquistato sempre più successo e visibilità sui media, e in questi mesi il Mondiale è stato spesso sfruttato dalle stesse giocatrici per portare l’attenzione su questioni di genere, uguaglianza e parità di retribuzione.
Abbiamo scelto una manciata di temi che consideriamo decisivi – tra politica, sport e questioni economiche – per analizzare successo e dibattiti nati attorno al Mondiale, e abbiamo chiesto un parere a Silvia Galbiati, giornalista sportiva, ed Emanuele Atturo, caporedattore de L’Ultimo Uomo.
SILVIA GALBIATI
In quattro anni siamo passati dai 740 milioni di telespettatori del torneo canadese al miliardo sfiorato nell’ultima edizione. In Italia, la Rai ha deciso di puntare sulla manifestazione, trasmettendo le 15 partite migliori sulla rete ammiraglia (e non su Rai2 come deciso inizialmente). I risultati hanno pagato. Italia-Brasile ha raggiunto il record storico di spettatori, 6,5 milioni, la partita con la Cina ha toccato il 30% di share. E non è un caso soltanto italiano. In Francia, Tf1 ha registrato dati di ascolto impressionanti, negli Stati Uniti la Fox ha deciso di investire la stessa quantità di risorse destinata ai Mondiali maschili e in Brasile Rede Globo ha acquistato i diritti rendendo la manifestazione per la prima volta visibile a tutti.
Anche sui social il Mondiale si è rivelato l’evento sportivo più commentato, insieme alla Coppa America. Gli account della Nazionale femminile italiana in neanche un mese hanno visto crescere il loro seguito: su Twitter da 1.700 follower a 19.000, su Facebook da 12.500 a 69.000 e su Instagram da 7.000 a 103.000. Barbara Bonansea, protagonista del Mondiale delle azzurre, è riuscita a toccare quota 195.000 fan.
In poche settimane il Mondiale è diventato “argomento da bar”, situazione impensabile fino a solo qualche mese fa, e nomi come Megan Rapinoe, Vivianne Miedema, Wendie Renard, Lucy Bronze sono improvvisamente usciti dall’anonimato. Almeno in Italia, possiamo parlare di notevoli passi in avanti sulla percezione del calcio femminile: se quattro anni fa il presidente della Lega Dilettanti Felice Belloli si faceva ricordare per una gaffe inquietante (“basta dare soldi a queste quattro lesbiche”), oggi questa disciplina sembra essersi guadagnata un posto di rilievo nelle cronache sportive. Possiamo discutere poi sulle reali motivazioni che gli hanno consentito di ottenere questa rilevanza, forse più politiche che di reale interesse sportivo.
EMANUELE ATTURO
I numeri che citi sono forse il dato più significativo per misurare il successo del Mondiale, ne aggiungo quindi qualcun altro. Con quasi 12 milioni di spettatori, USA-Stati Uniti è stato l’evento più seguito sulla BBC quest’anno. Su TF1 e Canal+ l’esordio della Francia è stato visto da più di 10 milioni di telespettatori (46% di share, il giorno dopo la Nazionale maschile contro la Turchia è stata vista dalla metà delle persone).
Un successo più diffuso del Mondiale femminile, però, è stato innanzitutto far ricredere tutta la parte più scettica della società, che poi corrisponde a quella più reazionaria. Donald Trump, che in passato aveva rilasciato dichiarazioni fredde sulla questione dell’equal pay, fa anche parte di una fazione politica che ha sempre trattato il calcio come uno sport anti-americano. Megan Rapinoe, stella degli USA apertamente omosessuale, in un’intervista a Eight by Eight Magazine aveva dichiarato “Non andrò alla cazzo di Casa Bianca”, aggiungendo che tanto non sarebbero state invitate. Trump aveva detto, con poca furbizia, “Rapinoe vinca e poi parli”. Dopo la vittoria Donald Trump è stato costretto a invitare la squadra alla Casa Bianca, dopo aver scritto un tweet di congratulazioni: “Congratulazioni alla Nazionale femminile di calcio per aver vinto la Coppa del Mondo! Grande partita. L’America è fiera di tutte voi”. Certo, parole di circostanza, ma costringere Trump a un basso profilo, dopo attacchi così ripetuti e diretti, è di per sé un successo.
In Italia la Gazzetta, che di solito non brilla certo per political politeness, ha dedicato un bello speciale in prima pagina al Mondiale nel giorno dell’inaugurazione e, specie intorno alle partite dell’Italia, ci sono stati diversi articoli ed editoriali che, per quanto spesso goffi, erano animati da buone intenzioni. In corrispondenza del Mondiale le squadre di club hanno presentato le maglie per la prossima stagione, e in tanti hanno deciso di farlo affiancando i volti della squadra maschile a quella femminile.
Sarebbe stupido non riconoscere il successo mediatico della competizione, ma bisogna anche avere l’onestà di riconoscere tutte le cose che non hanno funzionato. Del resto la finale è stata giocata lo stesso giorno della finale di Copa America e di quella di Gold Cup e, come ha detto sempre Rapinoe: “Se ti importa davvero programmeresti tre finali lo stesso giorno? Certo che no”.
Prima della finale di domenica le homepage dei siti sportivi italiani relegavano le notizie su USA-Olanda in fondo alla pagina, dietro il calciomercato e il gossip; più in generale da quando l’Italia è stata eliminata l’attenzione generale è scesa proprio in corrispondenza delle partite più importanti. Dopo la vittoria degli USA una mini-sequenza di Alex Morgan che balla è circolata sui principali siti dei giornali con titoli pruriginosi (se non proprio volgari).
Non è un problema solo italiano. Scrivendo un articolo di presentazione sulla Germania femminile ho fatto una grande fatica a trovare materiale interessante e l’articolo più completo a riguardo, la guida del Guardian, ammetteva chiaramente di non sapere come si sarebbe schierata la squadra durante i Mondiali.
I principali media sportivi internazionali hanno coperto il Mondiale con tante risorse e attenzione, ma concentrandosi sempre sulle questioni più sensibili politicamente e limitandosi alla cronaca per quanto riguarda il campo. Mi pare che i media abbiano faticato ad aggiungere valore puramente sportivo, perdendo così l’occasione di smentire i detrattori del calcio femminile. Sono mancati approfondimenti, editoriali tecnico-tattici, articoli analitici. Insomma: tutto ciò che aiuta a rendere il calcio maschile – ma anche gli altri sport – degno di essere guardato fino a un livello d’attenzione molecolare di cui oggi molti di noi non riescono a fare a meno. Capisco che il Mondiale femminile abbia una rilevanza culturale che non va trascurata, ma parlare un po’ più di campo ci permetterebbe di disinnescare tanti pregiudizi alla radice, instaurando un discorso virtuoso. Anche quella, in fondo, è politica.
L’attenzione per il calcio femminile è destinata a scomparire?
SG
È proprio questo il grande dubbio: è molto facile tenere alta l’attenzione durante un torneo di queste dimensioni, con investimenti, spettacolo, partite ogni giorno e grandi storie da raccontare. La prova del fuoco arriverà quando si spegneranno le luci e il grande carrozzone mondiale tornerà a casa. A quel punto si ripartirà con il campionato e, almeno in Italia, le ragazze torneranno a giocare su campi di provincia, davanti a pochi parenti ed amici, spesso contro avversarie ancora acerbe e impreparate.
Ma i segnali positivi non mancano. La scorsa stagione si è rivelata un crescendo di interesse, con gli ascolti televisivi che alla fine del campionato sono aumentati di più del 50 %. Una svolta che deve molto alla scommessa di Sky che dalla scorsa estate ha deciso di acquistare i diritti delle partite di Serie A e ha creato, con una sapiente operazione di marketing, quell’enorme evento mediatico che è stato il match all’Allianz Stadium di Torino tra Juventus e Fiorentina, lo scorso marzo: 40.000 spettatori, il più alto numero mai raggiunto dal calcio femminile italiano, che ha attirato forse per la prima volta l’interesse nazionale sul campionato.
Dopo l’apice del Mondiale, la prossima stagione sarà un banco di prova fondamentale per capire quante delle persone che si sono appassionate in Francia abbiano sviluppato un interesse reale per questa disciplina o quanto siano in realtà rimaste soltanto affascinate da un racconto coinvolgente e catturate nel corso di un’estate povera di eventi sportivi.
EA
Se il Mondiale è stato un grande successo, va detto che siamo in un momento di transizione nel calcio femminile, e in particolare in quello italiano. Ricordiamoci che è solo un anno che alcuni grandi club – Milan, Roma, Juventus – sono entrati nel mondo del calcio femminile. Con loro sono arrivati investimenti fuori scala per il contesto e il loro ingresso ha aiutato a destare interesse fra gli appassionati. Ma siamo solo agli inizi. I 40.000 spettatori di Juventus-Fiorentina sono significativi, ma vanno contestualizzati con i biglietti omaggio e il richiamo di una partita di cartello nel miglior stadio italiano. Ad esempio: non esistono praticamente tifosi in trasferta nel calcio femminile.
Creare senso d’appartenenza è un modo per generare interesse attorno al calcio femminile, ma non può essere l’unico modo per fidelizzare il pubblico. Bisognerebbe costruire dei luoghi in cui il calcio femminile è non solo trasmesso ma anche raccontato e analizzato. In Italia non esiste ancora una rivista, cartacea o digitale, sul calcio femminile, e nessun quotidiano ha una copertura seria e strutturata sul campionato italiano. Questo Mondiale ha dimostrato che per seguire uno sport il pubblico ha bisogno di storie, ma anche di informazioni che non rendano lo spettacolo televisivo del tutto inerte. Senza storie e senza informazioni è impossibile appassionarsi.
Nei giorni immediatamente successivi all’eliminazione dell’Italia è arrivata una brutta notizia sulla salute del movimento: l’Atalanta ha deciso di non investire più nel progetto dell’Atalanta Mozzanica, dopo un’affiliazione cominciata due anni fa. La società attraverso la sua presidente ha comunicato di non avere più i fondi necessari a iscriversi al prossimo campionato. Una brutta notizia passata sostanzialmente inosservata.
Questo Mondiale è stato davvero utile per sensibilizzare su questioni di genere o se ne è sopravvalutata l’importanza politica?
EA
Se da un punto di vista più strettamente sportivo il Mondiale non ha avuto forse il racconto che meritava, le questioni più politiche sono state discusse con grande vivacità. È stato soprattutto merito delle sue protagoniste. Il Mondiale era cominciato con il Pallone d’Oro Ada Hegerberg che alla CNN aveva dichiarato che non avrebbe partecipato al Mondiale per protesta contro la federazione norvegese e i rimborsi alle atlete; è proseguito con il video virale della Nazionale tedesca che si lamentava della disparità di attenzione; è finito con il pubblico che durante la finale cantava “Equal pay! Equal pay!”.
La questione dell’equal pay non è stata l’unico tema di genere su cui il Mondiale femminile ha stimolato l’opinione pubblica. La capitana degli USA Megan Rapinoe ad esempio ha introdotto il discorso dei diritti dei gay in un contesto, come quello del calcio, in cui quello dell’omosessualità è uno dei tabù più severi.
A un livello più diffuso e sottile, vedere dei corpi femminili impegnati negli stessi movimenti di quelli maschili, alla prova con le stesse situazioni e la stessa gestualità, con risultati eccezionali che sono sotto gli occhi di tutti, costringe tutti a una riflessione di genere potente. Non voglio metterla giù in termini troppo banali, ma come facciamo a sostenere che le donne non dovrebbero giocare a calcio se le professioniste lo fanno già esprimendosi meglio del 99,9% della popolazione maschile? E che effetti ha questa dimostrazione nella percezione più generale delle donne nella nostra cultura?
Ma l’importanza politica di questo Mondiale non è stata sopravvalutata soprattutto perché ha permesso alle bambine di poter pensare al mondo del calcio come a qualcosa di non esclusivamente maschile. Come detto con malizia commerciale nello spot di Nike al termine del torneo, “un’intera generazione di ragazze e ragazzi vorrà essere come Megan Rapinoe”.
SG
Sapevamo fin dall’inizio che questo Mondiale avrebbe avuto un’importanza politica fondamentale sia per il momento in cui arrivava, ovvero subito a seguito dell’ondata #metoo, sia per tutte le tematiche che permetteva di affrontare, dall’equal pay all’omosessualità. Ed è sicuramente stato utile in tutte le sue forme per stimolare il dibattito su questi temi, incentivando le squadre stesse, gli sponsor, le calciatrici ad esporsi.
Il messaggio lanciato dalla Nazionale tedesca alla vigilia del Mondiale è diventato virale e ha permesso a molti di riflettere su una lunga serie di pregiudizi molto diffusi sul calcio femminile e sulle donne in generale. E lo stesso hanno fatto tutti quegli spot di molti partner del torneo che hanno voluto rappresentare le giocatrici semplicemente come atlete, senza soffermarsi o sottolineare ancora una volta le battaglie e le fatiche affrontate per avere successo in quanto donne. Queste giocatrici sono le migliori del mondo. Punto.
Per quanto riguarda la questione dell’omosessualità nel calcio, credo che si sia fatto di più in questa edizione del Mondiale femminile che in anni e anni di battaglie nel calcio maschile. Se in Italia si era partiti nel peggiore dei modi con le parole di Alessandro Cecchi Paone che tentava di fare il conto di omosessuali e eterosessuali nella nazionale azzurra, le tante storie di giocatrici che hanno voluto raccontarsi con semplicità e serenità hanno dimostrato che questo tema può non essere un tabù. Anche con un bacio tra avversarie.
Il Mondiale femminile di calcio dovrebbe essere raccontato come il Mondiale maschile, ovvero semplicemente parlando di calcio: per farlo non sono necessarie giornaliste donne, telecroniste donne, arbitri donna; anche gli uomini possono parlare di calcio femminile. Le telecroniste donne dovrebbero raccontare una finale di Champions maschile e i giornalisti uomini commentare la finale del Mondiale femminile.
SG
Certamente questo Mondiale ha messo in evidenza ancora una volta il maschilismo e l’arretratezza di pensiero che ancora domina il mondo del calcio italiano. L’interesse che si è generato intorno al calcio femminile si è incomprensibilmente trasformato nell’occasione per dare libero sfogo a pensieri profondamente sessisti, di cui il tanto discusso articolo di Camillo Langone sul Foglio è solo la punta dell’iceberg. Quel “bucate il pallone alle giocatrici”, il suo “mancate di rispetto a voi stessi se guardate questo Mondiale” è una provocazione talmente scontata che finisce in realtà per dare man forte ai sostenitori del movimento femminile/femminista.
Ciò che dovrebbe preoccuparci è invece tutta la deriva “collovatiana” che insiste ostinatamente a paragonare il calcio femminile e quello maschile. La discussione sulle diverse ed oggettive caratteristiche fisiche di uomini e donne e quindi la diversità di gioco derivata da questa differenza può aprire un dibattito, ma quella sulla capacità delle donne di “capire il calcio” fa inorridire. Per non parlare degli innumerevoli articoli sui festeggiamenti con twerk e spumante delle americane vincitrici del Mondiale, trasformate in video sexy da diffondere e commentare. Questo Mondiale ha messo in evidenza come su alcuni argomenti l’Italia sia ancora un paese profondamente retrogrado e ha finito per diventare un ulteriore spunto di discussione su temi oggi più che mai d’attualità.
EA
Sapevamo già di vivere all’interno di una cultura con problemi di sessismo e questo Mondiale femminile ha solo fatto venire a galla gli interpreti più o meno noti di questi pensieri. Hai ragione a dire che non ci si dovrebbe soffermare troppo sull’editoriale di Langone, che ha cercato di costruire una carriera sulla provocazione inaccettabile, sul tentativo di farsi odiare dalle persone, sul far rumore sempre per i motivi sbagliati. Sono più preoccupanti e pericolose forme più sottili di discriminazione, che cercano di naturalizzare gli stereotipi di genere nascondendoli dietro una retorica positiva.
Mi riferisco all’articolo che indicava il segno zodiacale delle calciatrici italiane, al titolo della Stampa che definiva Bonansea “Barbie”, per arrivare al tweet, sempre della Stampa, in cui Bonansea non sapeva “dove mettersi” il premio per la miglior giocatrice della partita contro l’Australia. Nessuno di questi scivoloni è però passato inosservato e questo Mondiale ha confermato che non esiste più una comfort zone per le sparate sessiste. A guardare bene, le cose peggiori sono uscite all’inizio del Mondiale, mentre col tempo il discorso pubblico è diventato più civile. Bisogna però avere a mente tutti i brutti titoli e i pessimi articoli e ricordarli a tutti quelli che ritengono che il calcio femminile sia imposto dal politically correct con la forza, e che non è più permesso dire alla gente che non gli piace.
Va detto che lasciando fuori le uscite più apertamente sessiste, in pochi sono stati a proprio agio nel parlare di calcio femminile, anche quando se ne è voluto parlare positivamente. Un editoriale in prima pagina del direttore del Corriere dello Sport si apriva con “Confesso di aver urlato”, come se aver esultato a un gol dell’Italia femminile fosse paradossale: “È tutto così sorprendente” prosegue più avanti Zazzaroni. Questo tipo di paternalismo ha imbevuto quasi tutti i discorsi sul calcio femminile, a partire dall’hashtag #RagazzeMondiali, scelto dalla federazione con le migliori intenzioni. La Nazionale italiana è stata elogiata spesso per le sue qualità morali, emotive, persino per la sua italianità, raramente invece per l’organizzazione di gioco, la qualità tecnica o fisica. Come a voler sottolineare l’impegno in qualcosa che fondamentalmente continua a non appartenergli.
È quasi banale però dire che se questi problemi esistono nella nostra cultura non possono non esistere anche nel calcio, che ne è sempre il riflesso. Si può però vederla con un po’ di ottimismo: la conflittualità fa parte del processo. Scompariranno i residui di sessismo, e chi vuole elogiare e raccontare il calcio femminile, col tempo e l’abitudine, troverà finalmente le parole giuste.
Cosa si intende nello specifico con equal pay?
EA
Se ne è parlato moltissimo e spesso a sproposito, distorcendo la questione per sostenere l’idea che le calciatrici abbiano pretese fuori dalla realtà e che vogliano imporre uno spettacolo che non piace a nessuno. Riducendo la questione al massimo, per equal pay non si intende che Ada Hegelberg dovrebbe guadagnare quanto Luka Modric, né che la Juventus dovrebbe pagare Cristiana Girelli quanto Paulo Dybala. Ci si riferisce invece ai fondi che le federazioni, nazionali e internazionali, dovrebbero mettere a disposizione della crescita del movimento. A tutte quelle entità, cioè, che dovrebbero essere almeno in parte svincolate da logiche commerciali e di profitto. Stiamo parlando dei premi ovviamente, ma anche agli investimenti sulle strutture e sui settori giovanili. Diamo una misura: la Germania, una delle nazionali più forti e titolati al mondo, investe 4,3 milioni di euro l’anno sul calcio femminile, un ottavo di quanto speso per il maschile.
Il caso più estremo è quello della Nazionale statunitense, che secondo il Washington Post dal 2016 al 2018 ha generato più guadagni di quella maschile ma continua a guadagnare meno. La Nazionale ha citato in giudizio la Federazione statunitense per discriminazione di genere.
Quello che va sempre sottolineato quando si parla di equal pay è che non si tratta di una questione di merito – sportivo o economico -, ma di diritti. Una bellissima inchiesta del New York Times prima del torneo ha intervistato 108 atlete sul loro vero lavoro e sulla grandezza dei sacrifici che hanno dovuto fare per arrivare a giocare un Mondiale. Sara Gama, capitana dell’Italia, ha dichiarato: “Non abbiamo un’assicurazione sanitaria, una previdenza. Non abbiamo uno stipendio ma solo un rimborso spese. Però lavoriamo come professioniste: tutti i pomeriggi e qualche volta doppio allenamento”. La possibilità di una bambina di poter giocare a calcio e, se è abbastanza brava di poterne fare un lavoro, di guadagnare col calcio proprio come fanno i maschi, è una questione di diritti.
SG
Il grido “Equal pay, equal pay” di tutto lo stadio di Lione nel giorno della finale ha messo in evidenza come questa questione sia fortemente sentita da tutte le giocatrici del Mondiale. A marzo 28 componenti della nazionale di calcio hanno citato in giudizio la Federazione degli Stati Uniti per discriminazione e per aver pagato le donne meno dei membri della squadra nazionale maschile nonostante un “lavoro sostanzialmente uguale” e per aver negato loro “parità anche solo nelle partite, nell’allenamento e nelle condizioni di viaggio, parità nella promozione delle partite, lo stesso supporto e incentivo allo sviluppo nei termini delle condizioni dell’impiego uguali al Men’s National Team”. A Mondiale finito dovrebbe avere inizio la mediazione tra le parti che non sappiamo né dove né a cosa porterà.
Le intenzioni degli USA sono chiare e sono quelle espresse dalla portavoce Molly Levinson al termine della finale: “In questo momento di enorme orgoglio per l’America, l’equazione triste è fin troppo chiara e gli americani devono starci a sentire: queste atlete generano più entrate e ottengono ascolti televisivi più alti degli uomini ma vengono pagate meno semplicemente in quanto donne. È tempo che la Federazione corregga questa disparità una volta per tutte”.
Una disparità sottolineata, se ce ne fosse bisogno, dal premio in denaro per i vincitori del Mondiale. Il premio per la Coppa del Mondo maschile 2018 è stato di 400 milioni di dollari, mentre le ragazze americane riceveranno solo 30 milioni. Il presidente della FIFA, Gianni Infantino, ha promesso che per la Coppa del Mondo femminile nel 2023 il premio sarà raddoppiato. Considerando la disparità non siamo sicuri che sia sufficiente.
Il modo più semplice, e per certi versi più affidabile, per misurare l’importanza di un movimento sportivo è pesarne gli investimenti. In questo senso qual è lo stato del calcio femminile?
EA
Durante il Mondiale l’UNICEF ha pubblicato un tweet in cui notava che 1.693 calciatrici messe insieme non arrivano a guadagnare neanche la metà di quanto guadagna, da solo Lionel Messi. Tuttavia il prize money complessivo per il Mondiale francese del 2019 è di 30 milioni di dollari, il doppio di quello di Canada 2015 e Gianni Infantino ha già dichiarato che diventerà di 60 milioni nel 2023. Megan Rapinoe ha continuato a dichiararsi insoddisfatta, ma è indubbio che gli investimenti nel calcio femminile siano in aumento. Non solo negli organismi federali. Adidas ha annunciato che per il Mondiale del 2019 i premi per le atlete sotto contratto saranno uguali a quelli dei maschi. La UEFA con il piano #WePlayStrong vuole aumentare il numero di praticanti donne nel calcio, puntando anche su delle sponsorship separate dai maschi. La prima è arrivata con un accordo tra UEFA e Nike fino al 2021. Del resto i brand hanno tutto l’interesse a investire su uno dei pochi settori di mercato non ancora saturi e con infinite possibilità, e per questo è ragionevole essere ottimisti.
Finora però gli investimenti da sponsor sul calcio femminile sono lo 0,4% complessivo. Quando si parla della mancanza di interesse e di ricavi bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che senza investimenti, soprattutto in termini di marketing, è difficile instaurare un circolo virtuoso. Queste lacune generano un dislivello alla radice che si ripercuote su tutti i livelli: sullo spettacolo, su come questo è raccontato e sulla sua capacità di generare ricavi.
Anche in questa direzione però le cose si stanno muovendo. A maggio Barclays ha annunciato una sponsorship da 10 milioni di sterline del massimo campionato inglese; VISA è entrata invece come sponsor di questo Mondiale francese. Budweiser diventerà la birra ufficiale del campionato statunitense di calcio femminile. Del resto diventare sponsor del calcio femminile è un’occasione per far guadagnare al proprio brand una patina di progressismo, e soprattutto negli Stati Uniti la questione dei diritti e quella del profitto sono indivisibili. Come ha detto Andrew Campion di Nike: “Il mercato dell’abbigliamento sportivo delle donne è una volta e mezzo quello degli uomini globalmente, ma ci porta meno di un quarto dei ricavi. Per questo Nike sta diventando sempre più aggressiva sulla questione delle opportunità delle donne”.
SG
Come nel resto del mondo, anche in Italia la situazione sembra migliorare. La riforma di Michele Uva ha imposto ai grandi club la creazione di un settore giovanile femminile, dando nuova linfa a tutta la Federazione. Come dicevi prima, l’appartenenza è certamente il primo passo per la crescita. E l’atteso aumento delle tesserate dopo questo Mondiale non potrà che migliorare ulteriormente la situazione.
I risultati ottenuti dalla Nazionale sono già un primo effetto di queste riforme; basti pensare che a differenza delle precedenti squadre azzurre composte da giocatrici generalmente con due lavori a carico, queste ragazze arrivano da una stagione con due allenamenti al giorno, una vita da professioniste pur non essendolo realmente. Nonostante le riforme, gli investimenti mediatici e i soldi degli sponsor, infatti le giocatrici sono le prime a rimanere penalizzate dal sistema: la legge 91/81 che regola il professionismo sportivo esclude le donne di qualsiasi disciplina (ma anche gli uomini di molte altre discipline) dalla possibilità di diventarlo. In quanto non professioniste le giocatrici possono percepire fino a 30.658 euro lordi a stagione.
SG
Occorre partire dal punto di vista. Non possiamo tentare di paragonare il calcio femminile a quello maschile. Lo ha detto meglio di me Carolina Morace: “Mi si risparmino le cazzate del confronto tra maschi e femmine. Nessuno paragona Serena Williams a Nadal”.
Il calcio femminile non è più “brutto” di quello maschile, è soltanto diverso. Nel corso di questo Mondiale abbiamo assistito a partite piacevoli e meno piacevoli, abbiamo ammirato squadre tattiche e squadre più fisiche, sono state messe in campo idee di gioco chiare e meno chiare, anche figlie di una maturità di squadra che ancora deve crescere. Tutto ciò che normalmente vediamo in un campionato di calcio maschile, tra Nazionali più pronte e meno pronte. Ci sono certamente alcune differenze fondamentali, derivate dalle caratteristiche fisiche oggettivamente diverse tra uomini e donne, quelle che hanno portato ad esempio ad abbassare la rete nel volley femminile. Non un gesto antifemminista, ma una scelta a favore dello spettacolo.
Le critiche mosse al calcio femminile sono sempre le stesse: le partite finiscono troppo spesso “tanto a poco”, sembra di vedere una partita al rallentatore, le giocatrici sono sgraziate, a molte atlete mancano i fondamentali. Per rispondere basterebbe pensare alla giovanissima età di tutto il movimento del calcio femminile, ma ci sono altri dati oggettivi che dobbiamo tenere in considerazione. Le donne sono meno veloci degli uomini. Questo è un fatto ed è il motivo per cui a volte alcune partite di calcio femminile possono risultare più lente di quelle maschili. Le donne hanno meno resistenza fisica degli uomini. È questo il motivo per cui gli ultimi minuti delle partite possono sembrare meno intensi e meno ricchi di emozioni. Allo stesso tempo però questo Mondiale ci ha permesso di assistere a gesti tecnici esaltanti, organizzazioni tattiche precise, sistemi di gioco perfettamente studiati. Tutto questo rende il calcio femminile semplicemente diverso da quello maschile, ma non meno piacevole. Siamo stati abituati ad assistere a partite di calcio tra uomini e per questo a volte rimaniamo straniti di fronte alle partite di calcio femminile.
EA
Bisogna fare due grossi disclaimer iniziali: il primo è quello che dici tu sulla differenza, inevitabile, tra calcio maschile e femminile – che già abbiamo imparato a considerare normale in sport come la pallavolo o il tennis. Sono spettacoli diversi con le loro specificità. Poi, come hai detto, stiamo parlando di uno sport giovane.
Il primo campionato italiano di Serie A femminile è del 1968, quando il maschile poteva già vantare giocatori come Pelè ed Eusebio. Questo per dire che serve tempo perché le calciatrici diventino più forti, grosse e veloci (e nascerà qualcuna che potrà marcare Wendie Renard in area di rigore). Nel frattempo però sono già molto tecniche e tatticamente preparate. Chi ha guardato un po’ dei Mondiali di Canada 2015 si sarà accorto di un salto di qualità gigantesco. Prendiamo ad esempio un difetto tradizionale del calcio femminile: le partite fra le nazionali più forti e quelle più deboli sono ancora squilibrate, ma sempre meno. L’Italia, che non doveva passare il girone da pronostici, ha battuto l’Australia e ha messo in difficoltà la finalista e campione europea Olanda.
Ci sono giocatrici capaci di gesti tecnici che rubano l’occhio per ciò che ci piace del calcio: l’istinto in area di rigore di Vivianne Miedema, la completezza di Rose Lavelle, la visione di gioco di Manuela Giugliano, la leggerezza di corsa di Alex Morgan, la tecnica in conduzione di Lieke Martens, il dominio aereo di Wendie Renard. Se seguiamo il calcio per vedere esseri umani manipolare in modo artistico una sfera, facendone una modalità d’espressione individuale, il calcio femminile offre un menù profondo e vario. Se ci piace il calcio invece come espressione collettiva e armonica di undici esseri umani, chiunque abbia visto una partita non può negare che il livello di organizzazione tattica è stato molto alto. Alcune squadre – come il Canada o l’Italia – sono state persino cervellotiche nel modo di interpretare le partite; altre hanno espresso un calcio di possesso offensivo ambizioso e codificato, come la Germania o il Giappone; le due finaliste, Olanda e USA, hanno costruito un sistema perfetto per esaltare le individualità.
Insomma, l’ecosistema tecnico e tattico del Mondiale femminile è stato vario e di alto livello, pur con tutti i difetti congeniti a un movimento ancora giovane ma che cresce esponenzialmente. Nel calcio femminile troviamo quindi tutti i motivi per cui ci piace il calcio: grandi gesti tecnici, organizzazioni tattiche raffinate, oltre all’epica e al dramma che solo uno sport a basso punteggio come il calcio può contenere.