L a post-verità e le fake news hanno coinvolto media, politica e settore tecnologico in un dibattito pubblico che, al netto dell’hype e degli eventi politici contingenti che lo hanno certamente amplificato, sembra al momento aver fermato ogni altra discussione sul ruolo dell’informazione nell’epoca contemporanea. Quel dibattito, in realtà, ha messo sotto il medesimo cappello cose molto diverse come le bufale, la propaganda politica, il clickbait, il ruolo degli algoritmi e della polarizzazione dell’informazione online, diventando progressivamente una discussione sempre più cacofonica e potenzialmente senza soluzione.
Certamente, le testate tradizionali e mainstream si stanno interrogando su quale sia il loro ruolo in uno scenario dove il Presidente degli Usa può legittimare una sua dichiarazione citando “fatti” avvenuti in Svezia che in realtà non sono mai avvenuti. Dividere il giornalismo dalle sparate dovrebbe essere il fulcro di una discussione che, a tutti gli effetti, dovrebbe essere impostata come una riflessione sulla qualità del giornalismo in questa epoca e non una contrapposizione inutile e fuori tempo massimo fra vecchi media e Internet, per di più incarognita dalla politica, come invece sta accadendo in Italia.
Anche la BBC, il servizio pubblico britannico emblema per certi versi del concetto di “giornalismo di qualità”, è stata inevitabilmente coinvolta in questo frastuono. David Jordan, Direttore delle Editorial Policy and Standards, è l’uomo che di mestiere fa sì che la BBC lavori tenendo sempre al centro i suoi obiettivi, la sua tradizione, il suo stile e i suoi standard qualitativi. In epoca di fake news, un lavoro ancora più importante e che delinea quale sia la posizione della BBC sulla materia.
“Stiamo tutti cercando una soluzione nel contesto della post-truth e degli alternative facts”, dice Jordan a Il Tascabile, parlando a margine di un evento organizzato dall’Istituto Media e Giornalismo dell’Università della Svizzera italiana di Lugano, “alla BBC abbiamo già un percorso avviato in questo senso, per via dei valori e gli standard cui ci siamo sempre attesi. La BBC ha sempre dato grande importanza all’accuratezza del suo giornalismo, al punto che le nostre linee guida editoriali, di cui io sono responsabile, dicono chiaramente che se la scelta da prendere è tra essere i primi a dare una notizia e dare una notizia correttamente, la scelta deve sempre ricadere sulla seconda.”
David Jordan è l’uomo che di mestiere fa sì che la BBC lavori tenendo sempre al centro i suoi obiettivi, la sua tradizione, il suo stile e i suoi standard qualitativi.
Uno dei punti più controversi della frenesia attorno alle fake news è la presunta novità della questione: come se fino a pochi mesi fa – e prima della Brexit e dell’elezione di Trump in particolare – nel giornalismo non fossero mai transitate sciocchezze, bufale, propaganda politica esplicita e come se la politica non avesse mai prima d’ora aderito principalmente alle interpretazioni dei fatti che meglio si prestavano a sostenere le proprie posizioni. In particolare, sarebbe un errore attribuire a Internet la colpa per l’attuale stato delle cose e lasciare ai media tradizionali, invece, l’unica certificazione di affidabilità.
La questione è molto più sfumata di così e anche le organizzazioni mediatiche più autorevoli possono favorire, e spesso lo fanno e lo hanno fatto, la circolazione di fake news o altri contenuti malevoli: “nel Regno Unito abbiamo dei media che possono essere considerati mainstream che non hanno dato sufficiente attenzione ai fatti in passato”, spiega Jordan a questo proposito, “non credo che la questione debba essere posta su un piano per il quale se sei un’organizzazione in attività da molto tempo nel mainstream allora sei indubbiamente nel giusto, mentre se sei un’organizzazione più recente allora sei certamente nell’errore. Sarebbe una posizione molto stupida”.
La dicotomia, per David Jordan, va cercata piuttosto nella responsabilità con cui le organizzazioni decidono di operare e, in particolare, va tracciata nettamente “tra quelle organizzazioni che chiaramente si sforzano per fare in modo che il loro giornalismo sia il più accurato possibile e quelle organizzazioni che invece non lo fanno e commettono errori o, ancora, con quelle organizzazioni che deliberatamente puntano a trarre in inganno il pubblico o a interpretare i fatti in modo tendenzioso”. Certamente Internet ha complicato ulteriormente lo scenario e lo stato delle cose, e indubbiamente i social media hanno reso più semplice la circolazione di contenuti fake o la loro creazione e favoriscono, a causa delle bolle di filtraggio su cui si basano, la polarizzazione del pubblico, ma il vulnus dell’attuale situazione va individuato altrove. Per David Jordan, ad ogni modo, la situazione non è grave come potrebbe sembrare: “nel mondo verso cui stiamo andando, dove vi è una fornitura eccessiva di informazione e in particolare su Internet, credo che quelle organizzazioni che lavorano bene avranno la meglio perché le persone vogliono sapere cosa è vero e cosa stia realmente succedendo e non quello che una persona pensa stia avvenendo. Questo dà alla BBC, ad esempio, come ad altre organizzazioni, un enorme vantaggio indipendentemente dal fatto che la mania per le fake news possa essere una questione aperta ancora a lungo”.
Una delle parole utilizzate più di frequente da Jordan durante l’intervista è stata “fiducia”, quella che i lettori e i cittadini devono sentire di poter riporre nei confronti dei media e del giornalismo. Nell’attuale contesto quella fiducia non può essere più considerata un dato di fatto garantito dallo status di una testata giornalistica, ma va costruita, mantenuta e confermata, soprattutto quando si commettono errori, un punto su cui la BBC lavora da sempre con rigore: “la trasparenza e l’accountability sono fondamentali per la fiducia nel giornalismo”, spiega Jordan, “ovviamente la nostra audience si aspetta da noi ogni sforzo per avere la massima accuratezza in quello che facciamo, ma se si commette un errore la cosa fondamentale da fare è riconoscerlo, correggere per quanto possibile, mostrare quello che viene fatto ed essere responsabili nei confronti di qualsiasi lamentela ci possa arrivare sul quell’errore”.
Nel contesto attuale la fiducia non è più un dato di fatto garantito dallo status di testata giornalistica, ma va costruita e mantenuta, soprattutto quando si commettono errori.
Un aspetto su cui la BBC ha lavorato molto in questo senso è quello dell’utilizzo delle fonti user-generated content (cioè generate dagli utenti), cui fanno capo contenuti di diverso tipo provenienti dai social media e postati da citizen journalist o persone che si sono trovate a essere testimoni di potenziali notizie. Una risorsa enorme, specialmente in caso di breaking news, ma che espone una redazione a potenziali errori o al rischio di incappare in un falso. Per ovviare al problema, la BBC si è dotata di un setaccio, il suo Verification Hub, un team di fact-checker con sede a Londra che si occupa di vagliare i contenuti in entrata al fine di controllarne la notiziabilità.
“Il Verification Hub è stato lanciato fondamentalmente per avere a che fare con i contenuti UGC, materiale che arriva alla BBC tramite persone che hanno immortalato degli eventi con gli smartphone o simili”, racconta David Jordan, “sfortunatamente ci sono molte bufale là fuori che intasano il sistema di contenuti che non dovrebbero essere utilizzati. Pertanto è molto importante, sempre per quanto riguarda la credibilità, fare del nostro meglio per non essere tratti in inganno. Di quando in quando succede che qualcosa possa passare, ma avere un vaglio di quei materiali da parte di persone che controllano in ogni modo i contenuti prima che vengano utilizzati è fondamentale. Fanno un lavoro eccezionale, se consideriamo la vastità del materiale che devono controllare. In un mondo di fake news tutto questo diventa ancora più cruciale, è già una parte importante delle nostre operazioni alla BBC e lo sarà sempre di più in futuro”.
Molte organizzazioni, anche le più blasonate, hanno però ancora un rapporto conflittuale con i social media, un aspetto che facilita gli errori giornalistici e lo snaturamento degli standard applicati altrove: quasi nessuna testata è infatti totalmente estranea al clickbait, ai contenuti acchiappa-click, al sensazionalismo, alla fretta e ai lanci effettuati senza aver prima effettuato le dovute verifiche. Per David Jordan, si tratta soprattutto di una questione che tocca il valore di un brand giornalistico e, di conseguenza, la fiducia che è possibile riporvi: “penso sia importante lavorare in coerenza con il proprio brand, altrimenti si corre il rischio di diminuire la propria reputazione. Le persone che nelle redazioni sono responsabili delle strategie social devono essere a stretto contatto con chi nelle organizzazioni si occupa di altro. Serve un approccio coerente per assicurare che il valore del brand sia mantenuto. Alla BBC facciamo un grande lavoro per assicurarci che questo avvenga anche con le attività social e di marketing e tutto quello che ha a che vedere con l’immettere qualcosa nel dominio pubblico”.
Molte testate hanno ancora un rapporto conflittuale con i social media, un aspetto che facilita gli errori giornalistici e lo snaturamento degli standard applicati altrove.
Navigare questo scenario mediatico complesso può essere disturbante se non si hanno gli strumenti per comprendere le dinamiche, gli attori in gioco e il loro potere. Distinguere una notizia falsa, pubblicata da un sito creato ad arte per disinformare; sapere attribuire il giusto collocamento politico a una testata, al fine di posizionarla correttamente dal punto di vista dei suoi bias e della sua partigianeria; conoscere il funzionamento dei social media e il ruolo degli algoritmi: tutti questi elementi fanno capo alla media literacy, alla capacità di sapere leggere i comportamenti dei media e saperli, di conseguenza, interpretare. Uno dei compiti fondativi del servizio pubblico è proprio quello di educare la cittadinanza e la BBC, negli ultimi anni, ha lavorato molto per formare i cittadini alla fruizione di notizie e contenuti mediatici, un elemento che potrebbe fungere da deterrente contro la proliferazione di fake news e bufale: “facciamo molto lavoro in particolare con i bambini per aiutarli a comprendere come navigare tra i nuovi media e su come evitare i problemi a essi connessi, ad esempio per quanto riguarda la sicurezza su Internet”, spiega David Jordan, “penso che vi sia un ruolo particolare per il servizio pubblico per quanto riguarda la media literacy e la digital media literacy in particolare. La domanda per questo genere di formazione cambia nel corso del tempo, penso che ci siamo lasciati alle spalle la fase in cui dovevamo spiegare alle persone cosa fosse uno smartphone, ma non quella in cui si deve spiegare alle persone come è possibile manipolare le immagini digitali, ad esempio”.
Incontro David Jordan il giorno dopo la conferenza stampa in cui David Trump ha chiamato la BBC “another beauty”, paragonandola alla Cnn, un’altra emittente che, a detta del Presidente Usa, sarebbe una divulgatrice di fake news, fondamentalmente perché critica nei suoi confronti. Il Reuters Institute for the Study of Journalism della Oxford University ha di recente lanciato un progetto per chiedere ai lettori di raccontare come, a loro dire, i giornali dovrebbero scrivere delle persone di potere che mentono. David Jordan, cui pongo la medesima domanda, ha le idee chiare: “penso che l’obbligo per i giornalisti, indipendentemente da chi sia a mentire o a produrre alternative facts o usi i fatti in modo non sostenibile, sia quello di indicarlo chiaramente”, dice l’uomo della BBC, “questo non significa necessariamente adottare l’approccio del New York Times che ha iniziato a chiamare Trump un ‘bugiardo’ o quello che dice ‘bugie’, ma far notare che i fatti sono sbagliati è assolutamente corretto. Noi lo abbiamo fatto con il referendum sulla Ue quando i sostenitori dell’uscita dall’Europa produssero dati che, per il modo in cui venivano utilizzati, erano sbagliati, e abbiamo usato il termine “sbagliato” per descriverlo. Non puoi essere più esplicito di così e abbiamo fatto lo stesso con alcune cose prodotte dai sostenitori della permanenza nella Ue”.