U na mattina ci siamo visti invasi dalle camionette di carabinieri e polizia, armati di tutto punto. Sono entrati nel cortile del fabbricato e sono andati a sbattere fuori di casa alcune persone”. Incontro Rosa (nome di fantasia) non lontano da casa sua a Milano, in via Adige. Siamo a pochi minuti a piedi da Porta Romana, che un tempo segnava la via per Roma e oggi è crocevia di automobili, tram e biciclette, col Duomo a tre fermate di metropolitana verso Nord. Nella direzione opposta, la linea gialla porta a Lodi T.I.B.B (P.ta Romana FS), dove uno scalo ferroviario dismesso si accinge a ospitare il Villaggio Olimpico per i giochi invernali Milano-Cortina del 2026.
All’inaugurazione, prevista per il 6 febbraio 2026, mancano due anni; lo scorso 10 febbraio qui in zona si è tenuto un corteo contro le Olimpiadi, definite insostenibili, e in difesa dei territori. L’impatto dei giochi, sostengono abitanti e associazioni locali, potrebbe rivelarsi devastante non solo per le montagne ma anche per i quartieri milanesi interessati dall’evento sportivo.
Rosa abita in un vecchio palazzo di proprietà dell’ATS, l’Agenzia di Tutela della Salute di Milano, ex ASL. “Una ventina di anni fa,” mi spiega Rosa, “la gestione degli affitti di queste case era in mano a un ufficio che stabiliva a chi dare gli appartamenti. Non esistevano dei criteri di assegnazione delle case, non c’erano bandi pubblici né criteri di accesso”. Poi, nel 2009, la delibera dell’ASL: le case sarebbero state destinate alla vendita. A fronte del pericolo di perdere casa, gli inquilini si sono uniti: hanno coinvolto i sindacati, hanno tentato di fare acquisire gli immobili all’ALER, che gestisce una buona parte delle case popolari milanesi. Niente è servito a trovare una soluzione, e nel febbraio 2023 sono iniziati gli sgomberi.
“Hanno preso tutta la roba e l’hanno messa in un deposito che c’è nello stabile, senza rispetto. Hanno dato due settimane di tempo alle persone per prendere le proprie cose, poi le avrebbero buttate al macero,” mi racconta Rosa. Alcune delle famiglie sfrattate sono rimaste per strada e qualcuno di loro vive ancora in macchina. Chi subisce uno sfratto di questo tipo non rientra nella graduatoria degli alloggi di emergenza abitativa, perché viene considerato abusivo.
L’impatto dei giochi potrebbe rivelarsi devastante non solo per le montagne ma anche per i quartieri milanesi interessati dall’evento sportivo.
La zona di via Adige e i quartieri vicini, come il Corvetto, sono investiti da un intenso processo di rigenerazione. Le case popolari di via Barzoni, sempre nella periferia sudest di Milano, saranno demolite, dopo anni di incuria, mentre l’Enpam (ex Ente nazionale di previdenza e assistenza medici e oggi fondazione) ha venduto gli stabili di via Sulmona. L’avvicinarsi delle Olimpiadi invernali del 2026 procede di pari passo con il drammatico aumento del costo della vita, che toglie agli abitanti a basso reddito la possibilità di rimanere in quartiere. Poco lontano, presso l’ex scalo ferroviario di Porta Romana sono iniziati i lavori che porteranno alla costruzione del Villaggio Olimpico che nel 2026, in occasione dei giochi di Milano-Cortina, ospiterà circa 1400 atleti, prima di essere riconvertito e di iniziare una seconda vita: gli alloggi diventeranno uno studentato, mentre 10 mila metri quadri di servizi saranno trasformati in “servizi privati di interesse pubblico o generale”.
Il tutto è parte di un progetto molto più ampio per la riconversione di sette scali ferroviari milanesi, che un tempo servivano per il carico e lo scarico dei treni merci ed oggi sono dismessi. A gennaio 2020, Gruppo FS Italiane ha lanciato un bando di gara: ad aggiudicarsi lo Scalo di Porta Romana l’attore immobiliare COIMA SGR di Manfredi Catella (che prima di fondare il gruppo COIMA è sttato responsabile delle attività italiane della società immobiliare americana Hines), Covivio (di cui è stato importante azionista Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica) e Prada Holding, che avevano già mostrato interesse per il sudest milanese. Un esempio è stato l’apertura di Fondazione Prada, un polo culturale con sede in un’ex distilleria non lontano dal quartiere di Corvetto e affacciato proprio sullo scalo ferroviario). Al posto del cantiere fra non molto sorgeranno aree verdi nuove di zecca, piste ciclabili, zone pedonali, uffici, residenze, negozi, una “Foresta Sospesa”. Un parco centrale pubblico sovrasterà la linea ferroviaria seminterrata; qualche centinaio di metri di passaggio pedonale e ciclabile riconnetterà il nord e il sud, oggi separati dallo Scalo.
A finanziare lo sviluppo dell’ex scalo ferroviario è Intesa Sanpaolo, che supporterà le aggiudicatarie mediante un “Sustainability-linked Loan”, un finanziamento per progetti che corrispondono a determinati requisiti di sostenibilità. Per il Villaggio Olimpico già in costruzione, l’idea è di realizzare un progetto a impatto zero, secondo i requisiti NZEB (nearly zero-energy building) per la realizzazione di edifici a consumi molto bassi, pressoché nulli, grazie alla presenza di impianti tecnologici molto efficienti e alla produzione di energia rinnovabile, riducendo l’anidride carbonica emessa per raffreddare o riscaldare gli stabili. Inoltre, tutti gli edifici saranno certificati LEED, un sistema di classificazione degli edifici che verifica le loro caratteristiche dal punto di vista della sostenibilità ambientale. “Più del 30% dell’energia sarà prodotta grazie all’istallazione di impianti solari termici e fotovoltaici; le acque meteoriche saranno raccolte e riutilizzate, con una riduzione dell’uso di acqua potabile di oltre il 50% e una riduzione di CO2 del 40% per riscaldamento/raffrescamento”. Edifici realizzati in classi energetiche A, con bassissimi consumi, percorsi pedonabili e ciclabili, alberelli, serre e orti, un villaggio per studenti con prodotti a chilometro zero. Piante e orti urbani mitigherebbero l’impatto acustico ed estetico della linea ferroviaria e l’apparenza “verde” del progetto nasconde l’elevato consumo di suolo dell’opera.
È una tendenza che si è fatta sempre più diffusa dopo l’EXPO, l’esposizione universale del 2015. Dopo avere accettato che un evento sul cibo sponsorizzato da Coca-Cola potesse autodefinirsi sostenibile, la mente degli italiani, e quella dei milanesi vecchi e nuovi in particolare, è pronta a credere senza opporre resistenza che la trasformazione di qualche milione di metri quadri di spazio pubblico abbandonato (gli ex Scali ferroviari, la piattaforma Expo per esempio) in una selva di palazzoni
green sia una mossa efficace contro il climate change scrive la studiosa di politiche urbane Lucia Tozzi nel suo L’invenzione di Milano (Cronopio, 2023). pChe gli investimenti stranieri che atterrano sulla città, appropriandosi dei suoi pezzi migliori, portino ricchezza e lavoro per tutti. Che l’attrazione di milioni di turisti sia una fonte di benessere, e non di mercificazione ed espulsione dai quartieri. E soprattutto che se in questo clima di straordinarie opportunità ci si ritrova marginalizzati l’unica ragione possibile è che non si è capaci, non si è lottato con sufficiente caparbietà e intelligenza, non si è abbastanza
meritevoli.
Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili è citato dalle Nazioni Unite come l’undicesimo obiettivo per lo sviluppo sostenibile fra i 17 citati nell’Agenda 2030. I progetti come quello dello Scalo di Porta Romana seguono quest’onda, con parole come continuità urbana, eco-zone, riconnessione al tessuto urbano. Tuttavia, le strategie per rendere più green una città o un quartiere rischiano di contribuire alle diseguaglianze che già esistono fra i gruppi sociali. La costruzione di infrastrutture verdi può far condurre a un aumento dei prezzi delle case e degli affitti e, soprattutto, allo spostamento dei ceti meno abbienti, dei poveri, degli anziani e degli immigrati, che vengono spinti fuori dalle zone di appartenenza.
Le strategie per rendere più green una città o un quartiere rischiano di contribuire alle diseguaglianze che già esistono fra i gruppi sociali.
Una “gentrificazione ambientale” che finisce per lasciare gli abitanti originari – coloro che in quel luogo hanno messo radici – in condizioni peggiori di prima. Scrive Lucia Tozzi:“Queste costellazioni, arcipelaghi, cinture, corridoi di parchi ‘pubblici’ costruiti da privati sono sempre meno pubblici, e anche meno parchi”. La costruzione di parchi bellissimi conviene ai ricchi perché fa aumentare i valori immobiliari in maniera vertiginosa. E per massimizzare il profitto, è opportuno disporli al centro della propria area: pubblici sì, ma disegnati in modo che a goderne siano soprattutto gli abitanti dei nuovi edifici, come se fossero il cortile di casa, generosamente aperto al pubblico ma molto ben sorvegliato.
Inoltre è da notare che spesso i progetti di riqualificazione portano con sé l’estrazione e l’impiego di grandi quantità di materiali, oltre alla cementificazione di prati e consumo di suolo.
Esempio lampante di green gentrification sono i progetti del programma Reinventing Cities; uno fra tutti, Aria, andrà a sostituire l’ex-Macello delle carni di Porta Vittoria, non lontano dallo Scalo di Porta Romana e dal Corvetto, con un campus dello IED e uno science district. L’inaugurazione avverrà in prossimità delle Olimpiadi, dal momento che la fine dei lavori è prevista per il 2026-2027. “Aria sarà la prima Area Carbon Negative di Milano grazie al distretto energetico ectogrid™,” si legge sul sito del Comune. “Il ruolo delle piante ridurrà gli impatti ambientali grazie ai parchi, i giardini, gli orti, le facciate e grazie alla Fabbrica dell’Aria, purificherà gli ambienti interni, filtrando i contaminanti atmosferici”. In nome di sostenibilità e resilienza, saranno costruiti nuovi edifici e nuovi parchi, spazzando via il quartiere di un tempo.
Già oggi rimangono solo dei pezzi: il mercato avicunicolo è stato raso al suolo e sopravvive solo nei racconti dei più anziani, che qui sono cresciuti; molte case popolari della zona sono rimaste vuote e non sono mai state riassegnate. Intorno, i prezzi salgono e chi una casa popolare non ce l’ha è costretto ad andarsene; chi ce l’aveva e l’ha persa spesso rimane per strada. Il vecchio quartiere è prossimo a sparire, per fare spazio al progresso, ai ricchi che arriveranno, a edifici verdi e alla moda, a iniziative che attrarranno nuovi ricchi e nuovo denaro. Poco importa che abbattere edifici anziché ristrutturarli e lasciare le case vuote sia una misura piuttosto anti-ecologica.
Per quanto concerne la rigenerazione dello Scalo di Porta Romana, un incontro con la cittadinanza c’è stato. In seguito alla sottoscrizione dell’accordo di programma per la trasformazione degli scali ferroviari milanesi – dunque non solo Porta Romana, ma anche Farini, Porta Genova, Lambrate, Greco, Rogoredo e San Cristoforo – il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano era stato incaricato di portare avanti un lavoro di partecipazione coi cittadini delle aree interessate. Identificati alcuni interlocutori, come gruppi e associazioni che operavano nelle aree prossime agli scali ferroviari, per ciascuno scalo erano stati organizzati dei workshop.
Il vecchio quartiere è prossimo a sparire, per fare spazio al progresso, ai ricchi che arriveranno, a edifici verdi e alla moda, a iniziative che attrarranno nuovi ricchi e nuovo denaro.
“Abbiamo cercato di capire quali fossero le aspettative, le visioni e le progettualità che i contesti locali evidenziavano come fondamentali, ascoltando sia i consigli di zona sia gli attori locali stessi,” mi dice Gabriele Pasqui, docente del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico. “La cosa più interessante è stato l’arricchimento di conoscenze sugli scali. In alcune parti degli scali c’erano boschi o caratteristiche interne che spesso cittadini e abitanti conoscevano meglio dei progettisti”. Una delle esigenze emerse con più forza nel corso di questi incontri era che almeno una quota delle residenze costruite presso gli scali fosse allocata a prezzi inferiori a quelli di mercato. “Su questo punto avremmo potuto ottenere di più. Per esempio, più quote di housing sociale per la popolazione non studentesca. Avevamo discusso con l’assessore, chiesto di inserire una quota di alloggi popolari nei progetti degli scali”.
In seguito, ogni scalo ferroviario ha poi seguito un percorso diverso. Le Ferrovie dello Stato hanno venduto le sette aree a operatori differenti, i quali hanno attivato percorsi di progettazione in cui si prevedevano anche attività di ascolto e di comunicazione. “Questa parte, a cui non abbiamo partecipato, non ha avuto grande successo, a mio vedere”, mi dice Pasqui. “La mia impressione è che sia stata più un’attività di comunicazione che non di vera e propria partecipazione. Di fatto, le decisioni fondamentali erano già prese e si cercava di limitare conflitti e opposizioni”. Le iniziative di partecipazione non possono da sole sanare il profondo divario che esiste fra gli abitanti di un quartiere e le iniziative preconfezionate che spesso vengono percepite come decisioni calate dall’alto, lontane dai riferimenti culturali e quotidiani delle persone, fuori dal loro controllo.
Come ha osservato il sociologo Giovanni Semi: “è importante chiedersi da chi è partecipato un progetto di rigenerazione urbana e, soprattutto, in quale fase: gli abitanti del quartiere vengono coinvolti attivamente in quella iniziale o viene chiesto loro solo di scegliere il colore delle panchine?”. L’impressione è che la maggioranza degli abitanti non sia davvero coinvolta in queste conversazioni. Nei quartieri adiacenti allo Scalo di Porta Romana fra i residenti si parla piuttosto del costo della vita, che aumenta sempre di più, della difficoltà di trovare un posto di lavoro stabile, del mondo che non è più lo stesso. I prezzi delle case in zona sono destinati ad alzarsi; qualcuno, che è riuscito a comprare casa quando ancora c’erano le lire, se ne rallegra: “Quando sarò morto, la venderanno”. Ne gioveranno i figli e i nipoti, anche se oggi abitano a Roma, in Egitto o in Giappone. “Se proprio devono farlo, speriamo che lo facciano bene,” mi ha detto un anziano signore del Corvetto quando gli ho chiesto cosa pensasse del Villaggio Olimpico. Qualcun altro sgrana gli occhi: “Non ne avevo sentito parlare”. Mentre parlo con queste persone – baristi, passanti, anziani della bocciofila – il Villaggio Olimpico sembra sempre più lontano, come se per raggiungere lo Scalo di Porta Romana dovessimo valicare i problemi della vita quotidiana, abbandonare il campo da bocce e le carte sul tavolo per raggiungere una dimensione aliena.
Secondo il masterplan dello Scalo di Porta Romana, a Olimpiadi concluse qui sorgeranno residenze, co-working, servizi privati; la piazza olimpica diventerà la piazza del quartiere, con negozi e mercati. Alcuni edifici saranno destinati a residenza libera e agevolata, mentre gli alloggi degli atleti diventeranno residenze studentesche private. In via Ripamonti, affacciato sullo scalo, sorge già uno studentato di Hines, moderno e alla moda, dove una camera può arrivare a costare oltre 1400 euro al mese. Costruire alloggi di questo tipo rientra nell’intento di attrarre a Milano abitanti a breve termine, persone che vivranno a Milano per qualche anno, senza mettere radici. Sono persone benestanti, pronte a consumare, sedicenti progressiste e poco legate alla memoria cittadina. E, in effetti, un importante ricambio degli abitanti è già in corso: nel 2022 meno del 40% dei residenti a Milano lo era anche 15 anni prima. Jacopo Lareno Faccini e Alice Ranzini scrivono ne L’ultima Milano (Feltrinelli, 2021): pLe grandi trasformazioni in corso a Milano, come gli scali ferroviari, mettono in luce con chiarezza questa dinamica: le quote di case sociali costituiscono un elemento compensativo di massicci processi di nuova edificazione, senza nessuna considerazione per gli impatti nel lungo periodo che tali trasformazioni avranno sull’accessibilità complessiva del patrimonio esistente privato soggetto a rivalutazione.
I cantieri per la costruzione del Villaggio Olimpico procedono a ritmo spedito, in anticipo sulla tabella di marcia. Nel quartiere di Santa Giulia, più in periferia, la costruzione dell’impianto che ospiterà le partite di hockey maschile su ghiaccio è partita con difficoltà; oggi lavorare qui significa correre contro il tempo, giorno e notte con tre turni da otto ore. L’Arena, inoltre, costerà 70 milioni di euro in più del previsto. Prima dell’inizio dei giochi olimpici, in prossimità dello Scalo di Porta Romana è prevista anche la costruzione di un nuovo grattacielo, i cui lavori stanno per partire. Con oltre 140 metri di altezza, ospiterà la nuova sede di A2A, fra vetrate, giardini pensili e un belvedere. Tutt’intorno si prevede una riqualificazione profonda fra via Crema, piazza Trento, via Adige, con la trasformazione di spazi pubblici e verdi, la creazione di nuove aree pedonali e un incremento degli alberi. Un tempo, mi racconta Rosa, il quartiere era disseminato di mercerie, drogherie, fruttivendoli; la vita di quartiere faceva germogliare amicizie, ci si sosteneva a vicenda, c’era comunità. “Poi, gli anziani che abitavano nelle case di ringhiera hanno iniziato a morire e le case sono state trasformate in case più belle e ricche. Hanno iniziato ad aumentare i prezzi”.
In alcune parti degli scali c’erano boschi o caratteristiche interne che spesso cittadini e abitanti conoscevano meglio dei progettisti.
Così, fra via Adige e Porta Romana ha iniziato a insediarsi una popolazione di ceto medio, mentre i vecchi abitanti hanno iniziato a lasciare i loro appartamenti in affitto. Oggi, il progetto del Villaggio Olimpico e di Parco Romana rende la zona sempre più ambita. “Avremo una zona riservata ai ricchi, come il Bosco verticale,” dice Rosa. Il timore è che per i vecchi abitanti non ci sia più spazio. Fra palazzi venduti e case sgomberate, il progresso avanza. Sotto la patina green e smart dietro cui si nasconde Milano, chi non è ricco viene lasciato indietro. “Ma io non ho la mia dignità di lavoratore, di persona onesta che contribuisce allo sviluppo sociale?”, mi chiede Rosa. “Siamo persone che hanno dato del proprio per rendere la città quello che è”.
Le proteste non si fermano, dalla montagna alla città si insorge contro la realizzazione di strade in zone di dissesto idrogeologico, contro il taglio di larici a Cortina d’Ampezzo, dove dovrebbe sorgere la discussa pista da bob. Lo scorso 10 febbraio una rete di associazioni ha sfidato la pioggia per protestare contro i giochi del 2026, contro l’impatto ambientale dell’opera, l’estrattivismo, la privatizzazione. Per un cambiamento di rotta, un rapporto sano fra città e montagna, il diritto all’abitare. Il corteo, organizzato dal Comitato Insostenibili Olimpiadi, ha attraversato alcuni dei luoghi chiave dell’evento, dal cantiere del Villaggio Olimpico al quartiere di Corvetto. Uno degli striscioni appesi nei pressi dell’ex scalo ferroviario di Porta Romana recitava: “Operazione ‘squalo romana’. 200 mila mq di cemento per i ricchi”.
Tutte le fotografie di questo articolo sono opera dell’autrice.