N el 1854, nella sua opera ormai classica, Walden ovvero Vita nei boschi, Henry David Thoreau descrisse quello che interpretò come una battaglia tra due specie di formiche:
Un giorno che ero uscito per andare alla mia catasta di legna, o piuttosto alla mia catasta di ceppi, osservai due grandi formiche, una rossa e una nera (questa molto più grande della prima e più lunga di quasi mezzo pollice) che combattevano ferocemente fra loro. Una volta che riuscirono ad afferrarsi, non si lasciarono più andare, ma lottarono e combatterono e si rotolarono senza posa sulle scaglie di legno. Guardando più in là fui sorpreso di scoprire che le scaglie erano coperte di altri simili combattenti, e che quello non era un duellum, ma un bellum, una guerra tra due razze di formiche, le rosse sempre schierate contro le nere e, spesso, due rosse contro una nera.
Fu davvero una guerra quella osservata da Thoreau, come logicamente pensò, o si trattava di qualcosa di diverso? Grazie alla mia esperienza decennale con le formiche nordamericane ho capito che le battaglie di questo tipo tra due specie molto diverse sono spesso incursioni a caccia di schiave. In quel caso una formica rossa schiavista, molto probabilmente Polyergus lucidus o un membro del gruppo di specie a cui appartiene Formica subintegra, stava cercando schiave di una specie vulnerabile e di colore nero, forse la comune Formica subsericea.
Le incursioni e la resistenza che si palesa in duri scontri possono certo verificarsi, ma è bene ricordare che, nella maggior parte dei casi, la condizione di schiavitù delle formiche non somiglia affatto a quella degli esseri umani. Ricorda di più la cattura e la domesticazione di animali selvatici.
Le operaie delle formiche schiaviste sono programmate per compiere istintivamente incursioni nelle colonie di specie simili a loro. Il bersaglio delle operaie è uno solo: le pupe della colonia che viene attaccata. Di solito, dopo un’aspra lotta tra le schiaviste e le adulte resistenti, le pupe prigioniere vengono trasportate illese nel nido delle responsabili dell’incursione. Lì hanno la possibilità di terminare lo sviluppo e dopo qualche giorno, o settimana, fuoriescono dal bozzolo come formiche adulte e sane. In ogni ambiente le specie di formiche, per quanto abbiamo scoperto, presentano una caratteristica che le rende facilmente trasformabili in schiave: gli individui adulti appena emersi dal bozzolo acquisiscono l’odore della colonia. Per questo motivo accettano come sorelle le operaie schiaviste che, a loro volta, considerano tali le loro prigioniere. Aggiungere, con ogni tipo di mezzo, adulti devoti alla forza lavoro conferisce un vantaggio importante per la colonia nella competizione con altre colonie della stessa specie.
Il modo attraverso cui in generale l’odore della colonia viene acquisito dalle formiche fu scoperto intorno all’inizio del Ventesimo secolo dalla biologa Adele M. Fielde, pioniera nello studio del comportamento animale. Grazie a questo metodo è possibile dare origine a colonie i cui membri variano radicalmente per dimensione e anatomia. Grosse specie spinose, per esempio, possono combinarsi con altre piccole e dal corpo liscio.
Nelle zone settentrionali temperate nordamericane, europee e asiatiche lo schiavismo tra le formiche è comune, soprattutto nella sottofamiglia Formicinae. In un gruppo di specie schiaviste, di cui fa parte il genere Polyergus, di colore bruno-rossastro acceso, questo comportamento è molto sviluppato e anche l’anatomia delle formiche è adatta a tale scopo. Durante le incursioni, che il più delle volte sono dirette contro specie di Formica dal colore scuro, le schiaviste aprono e chiudono le mandibole simili a sciabole con movimenti rapidi e violenti.
Nell’ambito della ricca fauna di formiche del New England sono molte le combinazioni di schiaviste e prigioniere che potrebbero essere state protagoniste dell’episodio descritto come una guerra da Thoreau. Tuttavia non potremo mai esserne certi, soprattutto perché l’autore riferisce di una specie molto più grande dell’altra. A dispetto della sua abilità di osservatore, Thoreau non pensò di raccogliere esemplari delle formiche da affidare successivamente a un entomologo perché potesse studiarli e identificarli. Ed è un vero peccato perché nel suo giro di amici, oltre a Ralph Waldo Emerson, c’era pure Louis Agassiz, che al tempo del bellum tra le formiche di Thoreau stava raccogliendo campioni e allestendo il Museum of Comparative Zoology di Harvard, oggi sede delle più vaste collezioni scientifiche di formiche al mondo.
Lo schiavismo potrebbe essere una strada senza uscita in termini evolutivi per le specie che lo adottano? Non direi, anche se può degenerare.
Nel frattempo lo schiavismo tra le formiche è stato documentato sul campo da me e da altri finendo per includere una sbalorditiva varietà di comportamenti parassitari e simili a guerre. Nello Yosemite National Park da studente laureato a Harvard scoprii una colonia di Formica wheeleri che aveva schiavizzato due diverse specie. Una stava partecipando a un’incursione quando la notai. A correre insieme alle predatrici c’erano poi le operaie di una terza specie di Formica che, evidentemente, rivestivano il ruolo di giannizzeri affiancando le predone. Quando infine scavai nel nido, trovai i membri di una quarta specie di Formica insieme alle uova, alle larve e alle pupe delle schiaviste chiaramente impegnate nel ruolo di bambinaie.
Circa trent’anni dopo, mentre stavo tenendo un discorso davanti ai sovrintendenti riuniti dei parchi nazionali statunitensi, “confessai” di aver scavato un nido di formiche nello Yosemite e chiesi scusa per quella che, a posteriori, riconoscevo come una trasgressione. Nel presentarmi al pubblico, durante un secondo incontro che avvenne diversi anni dopo il primo, il direttore del National Park System accettò le scuse e mi consegnò un permesso piacevolmente decorato per raccogliere nello Yosemite National Park ancora un’operaia appartenente alla medesima specie di formiche predone.
Lo schiavismo potrebbe essere una strada senza uscita in termini evolutivi per le specie che lo adottano? Non direi, anche se può degenerare ulteriormente. Un esempio degno di nota è rappresentato dal genere Strongylognathus, comprendente formiche parassite sociali dell’Europa e dell’Asia. La maggior parte delle specie di Strongylognathus compie incursioni a caccia di schiave, utilizzando le mandibole simili a sciabole per sottomettere le proprie vittime. Nella specie Strongylognathus testaceus le operaie hanno perso il loro spirito guerriero, mentre la loro nuova regina subito dopo l’accoppiamento si limita a trasferirsi nella colonia ospite, sistemandosi accanto alla regina residente. In seguito le operaie si prendono cura sia della regina parassita, sia della loro madre. Le figlie nate dalla regina parassita sono amichevoli con le ospiti, ma non svolgono alcun lavoro.
Un ulteriore passo avanti nel mondo dello schiavismo è stato compiuto dalla specie americana Formica subintegra, una vera esperta di propaganda. La ghiandola di Dufour emette un feromone che segnala alle compagne di nido la presenza di un pericolo. Nella Formica subintegra questa ghiandola è enorme e occupa fino a un terzo del volume del gastro, il principale segmento posteriore del corpo. Durante le incursioni, le schiaviste cospargono con le loro secrezioni le formiche residenti. Le secrezioni sono così concentrate da seminare il panico nella colonia attaccata facilitando alle predone il compito di penetrate nella camera della nidiata e rapire le pupe che diventeranno loro future schiave.
Morti viventi
Ogni corpo è un ecosistema. Un albero caduto, un pesce pescato, una balena spiaggiata, un tronco marcescente, un fiore raccolto sono tutti destinati a trasformarsi, passando da un aggregato di molecole giganti, il sistema più complesso nell’universo conosciuto, a nubi o cumuli di molecole organiche molto più piccole. La decomposizione è un processo messo a punto da “spazzini”, che in natura sono prima avvoltoi e mosconi calliforidi e poi funghi e batteri.
Che cosa fanno le formiche con i loro morti? Se un membro della colonia è rimasto gravemente ferito sul campo, nel caso di molte specie, viene riportato al nido e mangiato. Se la ferita è di lieve entità, l’individuo può guarire e continuare a vivere. Per la maggior parte, le formiche guerriere che muoiono in battaglia non fanno ritorno, ma finiscono nelle fauci o nel becco di qualche predatore.
Una formica che muore di vecchiaia o di malattia dentro il nido semplicemente rimane immobile o cade sul fianco con le zampe raggrinzite. Di solito rimane lì dove si trova. Al massimo dopo qualche giorno una compagna raccoglie il cadavere e lo porta fuori dal nido oppure lo getta su una pila di rifiuti in una delle camere interne del formicaio. In questo particolare cimitero vengono accumulati rifiuti di vario tipo, compresi i resti non commestibili delle prede. Non è prevista alcuna cerimonia.
All’inizio dei miei studi sulla comunicazione chimica delle formiche ho pensato che i corpi dei morti venissero probabilmente riconosciuti dall’odore della decomposizione. Di tutte le sostanze presenti esclusivamente negli insetti morti, una o più devono agire da segnale inducendo le formiche a liberarsi dei cadaveri. Se le formiche da vive usano chiaramente molecole di questo tipo per promuovere altri comportamenti sociali istintivi vantaggiosi per la colonia, perché non dovrebbero farlo anche da morte?
A quel tempo ebbi la grande fortuna di trovare una pubblicazione – comprensibilmente poco conosciuta – in cui venivano identificate le sostanze presenti nei corpi degli scarafaggi morti. Usando questo lavoro come guida, mi dedicai allo studio delle sostanze chimiche che stimolano nelle formiche il comportamento necroforo di rimozione dei cadaveri.
All’inizio dei miei studi sulla comunicazione chimica delle formiche ho pensato che i corpi dei morti venissero probabilmente riconosciuti dall’odore della decomposizione.
Il primo passo fu quello di estrarre sostanze dalle formiche in decomposizione. Misi quindi alcune gocce di questo materiale su “imitazioni” di formiche morte ottenute da granelli di resina delle dimensioni delle operaie. Quando le collocai nei nidi delle colonie di formiche mietitrici, tutte le imitazioni vennero subito raccolte e trasportate nella pila di rifiuti. Potevo contare dunque su un biosaggio efficace, un passaggio fondamentale nella sperimentazione biologica. Nel frattempo mi procurai campioni sintetici e chimicamente puri di scarafaggi decomposti. Per un certo periodo il laboratorio si impregnò di un lieve odore di ossario misto a fogna (due delle sostanze erano l’indolo e lo scatolo, terpenoidi che si trovano nelle feci dei mammiferi). La maggior parte delle sostanze testate induceva nelle formiche comportamenti aggressivi e la tendenza a muoversi in circolo, anche se non aveva come immediata conseguenza la rimozione. Mentre però i granuli di resina trattati con sostanze odorose venivano attaccati o semplicemente ignorati, quelli che contenevano indolo o scatolo venivano raccolti e trasportati nel cimitero.
Per un biologo non c’è nulla di più piacevole di un esperimento che funziona. Questo aveva funzionato, per lo meno con le formiche mietitrici della Florida, Pogonomyrmex badius, tanto che lo ripetei più volte davanti a chi visitava il laboratorio finché non mi annoiai. A quel punto mi posi una nuova domanda: che cosa sarebbe accaduto se avessi spruzzato su un’operaia viva e sana una delle sostanze “funeralizie”?
Il risultato fu gratificante. Le operaie che incontravano le loro compagne imbrattate le afferravano e le trasportavano ancora vive nel cimitero, quindi le gettavano sul mucchio e le abbandonavano. Il comportamento delle becchine era relativamente calmo, quasi disinvolto. I morti devono stare con i morti.
Le formiche imbrattate si comportavano come faremmo noi se ci trasformassimo in zombie: si facevano un bagno. Non dovrebbe sorprendere sapere che la stessa soluzione viene adottata anche dalle formiche a disagio per la presenza di materiale sgradevole attaccato al loro corpo. Le formiche in casi simili distendono i segmenti più esterni e flessibili delle loro antenne, i funicoli, e li passano tra le strutture simili a pettini che hanno sulle zampe anteriori; poi con la lingua che ricorda un cuscinetto si leccano il corpo e le zampe fin dove riescono ad arrivare. Ripiegano infine il più avanti possibile il gastro, la parte posteriore del corpo, e lo strofinano per lavarlo. Insomma fanno un classico bagno da formica.
Una volta pulite tornano nei quartieri residenziali del nido. Se la sostanza necrofora è stata rimossa in quantità sufficiente dal corpo, questi individui vengono riammessi nel nido. Se non è così, vengono nuovamente presi dalle compagne e gettati nel cimitero. In questo caso la pulizia riprende, qualche volta anche con l’assistenza di compagne. Quindi le formiche attendono: con il tempo, se le sostanze contaminanti vengono rimosse o risultano sufficientemente dissolte, potranno riprendere pienamente a vivere.
Estratto da Storie dal mondo delle formiche (Raffaello Cortina Editore, 2021).