È il 597 d.C. quando papa Gregorio I spedisce in Inghilterra una delegazione guidata dal monaco Agostino di Canterbury per convertire re Ethelbert di Kent. Agostino prende il suo compito molto seriamente. Non si limita a convertire re, regina, corte e l’intera regione del Kent, ma ne approfitta per scrivere direttamente al pontefice e chiarire alcune questioni che fino a quel momento, nella cristianità, erano rimaste oggetto di ambiguità dottrinaria. Può un uomo ricevere la comunione dopo aver fatto un sogno erotico? Possono due fratelli sposare due sorelle? E quanto dev’essere lontano il legame di parentela perché sia permesso un matrimonio cristiano?
Gregorio I ci riflette e risponde ad Agostino punto per punto. E questo, secondo Joseph Henrich, antropologo e docente di biologia dell’evoluzione, è un momento di svolta per tutto l’Occidente: il momento in cui la Chiesa, un po’ per calcolo e un po’ per smania dogmatica, decide che matrimonio e famiglia sono affare suo e vanno regolamentati. Si gettano così le basi per quello che Henrich chiama MFP (il “marriage and family program”), cioè la nuova politica matrimoniale cristiana che vieta poliginia e incesto e che porterà al progressivo smantellamento dell’istituzione cardine della società fino a quel momento: la famiglia allargata. Le nuove prescrizioni su matrimonio e figli legittimi rompono i legami di mutua obbligazione tipici dell’unità familiare e questo, per Henrich, è il motore di tutto quello che verrà: l’individualismo, la competizione, lo stato di diritto e l’economia di mercato; l’avvio del mondo occidentale per come lo conosciamo.
Proprio alla mentalità occidentale è dedicato l’ultimo libro di Henrich, WEIRD, pubblicato di recente in Italia dal Saggiatore con la traduzione di Valeria Gorla. La polisemia del titolo è una trovata efficace: rimanda all’eccentricità della fetta di popolazione di cui il suo lettore medio fa parte e crea un acronimo – weird, in italiano strano, strambo – che ne definisce le caratteristiche: western, ducated, industrialized, rich, democratic (occidentale, istruito, industrializzato, ricco, democratico).
Heinrich conia l’acronimo w.e.i.rd. (western, educated, industrialized, rich, democratic (occidentale, istruito, industrializzato, ricco, democratico) per definire e studiare le peculiarità della mentalità occidentale.
Il concetto di “stranezza degli occidentali” per Henrich nasce da una constatazione che è quasi un’epifania: i w.e.i.r.d., pur essendo solo il 12% della popolazione mondiale, rappresentano ben l’80-90% dei soggetti nella ricerca psicologica. E questo significa che tante caratteristiche considerate proprie della “razza umana” in realtà rappresentano solo una minoranza con pretese di universalità. E non è un bias da poco dato che, come dice Henrich, “tutti i tentativi di spiegare la psicologia, la politica, l’economia e i modelli storici umani si basano su assunti riguardanti la natura umana”. Ne parla con gli psicologi sociali della UBC Ara Norenzayan e Steve Heine, fanno insieme un po’ di ricerche e il risultato è l’articolo The weirdest people in the world?, pubblicato nel 2010 su Behavioral and Brain Sciences, che inaugura l’acronimo “w.e.i.r.d.” e dà avvio alla ricerca di Henrich.
“Cosa rende i weird così psicologicamente insoliti?”, si chiede l’antropologo. Il suo identikit li dipinge in buona sostanza come “egocentrici, individualisti, non conformisti, pazienti, fiduciosi, analitici e ossessionati dalle intenzioni”. Sono anche fissati con l’autovalutazione e molto concentrati sui propri successi, attributi e risultati materiali. Anche per questo sono meno in grado di tenere botta in caso di delusioni e nelle loro società il tasso di suicidi è più alto. Eppure, nonostante il forte individualismo, “la gente weird tende ad attenersi a regole o principi imparziali”, dimostrando meno favoritismo nei confronti di amici, famiglie o comunità di appartenenza. Al contrario, l’individuo non weird sembra essere più collettivista, incline a pensare in modo olistico e a concentrarsi sulle relazioni più che sugli attributi individuali.
Tante caratteristiche considerate proprie della “razza umana” in realtà rappresentano solo una minoranza, quella weird, con pretese di universalità.
Ancora però non è chiara la ragione di questa differenza. Cosa ha reso “gli occidentali così occidentali”? Con questo libro Henrich si propone di tracciare la genealogia culturale di questa eccentricità e, ispirandosi a Jared Diamond – di cui è grande ammiratore – cede alla tentazione di rispondere al grande enigma storico della “divergenza” tra Occidente e resto del mondo. Ma se per Diamond la spiegazione stava nelle differenze geografiche e climatiche, Henrich punta tutto sulla psicologia.
Meno porno la domenica
Il suo discorso parte da un paio di premesse, entrambe interessanti e ben documentate. La prima, già esposta nel suo testo precedente, Le ragioni del nostro successo, è che la cultura può modificare le persone in maniera indipendente dalle differenze genetiche.
Per esempio, se state leggendo questo articolo significa che il vostro cervello è stato alterato. Nello specifico: il vostro corpo calloso si è ispessito; la parte di corteccia prefrontale coinvolta nella produzione del linguaggio si è modificata; il processo di riconoscimento facciale si è spostato dall’emisfero sinistro all’emisfero destro, riducendo parecchio la vostra capacità di identificare i volti. Il tutto per sviluppare un’abilità che la nostra società stima molto: la lettura, appunto.
Circa 10.000 anni fa la domesticazione di piante e animali selvatici ha permesso lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento. Secondo Henrich all’uomo è successo qualcosa di simile: l’evoluzione culturale ha innescato un processo di auto-domesticazione che ha trainato la nostra evoluzione genetica rendendoci più docili, socievoli e capaci di attenerci a un sistema di regole sociali fatte rispettare dalla comunità. È inutile quindi contrapporre “biologia” e “psicologia”. Geni e ambiente si influenzano in modo reciproco, la cultura è in grado di riprogrammare fisicamente il nostro cervello e così facendo modella il nostro modo di pensare. E influenza, di conseguenza, il corso della storia.
La seconda premessa è più specifica e riguarda un nostro particolare costrutto culturale: la religione, che per Henrich sfrutta il nostro “istinto di fede”, sviluppato per imparare dall’esperienza dei nostri simili, e alcuni bias cognitivi, (come la tendenza al dualismo) per insinuarsi in modo efficace nel nostro cervello, influenzando il modo di pensare. La religione, e in particolare i grandi monoteismi, sono strumenti di condizionamento efficacissimi e Henrich cerca di dimostrarlo spiegando come operano e l’effetto che fanno ancora oggi.
Soprattutto mette in campo una serie di studi che sembrano scomodare il tormentone anni Novanta dei messaggi subliminali. Per esempio: sapevate che il suono di una campana (o il canto del muezzin) in sottofondo mentre si sceglie se compiere o meno un atto di beneficenza raddoppia la probabilità di donare? E lo stesso vale per l’“effetto domenica”, il giorno in cui statisticamente si compiono più opere di bene (e via decrescendo fino a sabato, il giorno più egoista). Non solo, il Dio cristiano è ossessionato sì dalla carità, ma anche dal sesso, e infatti negli stati più religiosi degli USA la domenica si guarda meno porno, salvo poi compensare il deficit nel resto della settimana.
Heinrich tenta di rispondere al grande enigma storico della “divergenza” tra Occidente e resto del mondo cercando una soluzione che non contrapponga biologia e psicologia.
Date queste premesse, torniamo al momento storico che per Henrich ha plasmato la psicologia weird. Intorno all’anno 1000 la Chiesa inizia ad occuparsi di matrimonio. In particolare prende spunto dal diritto romano ed ebraico (e dalle nostre repulsioni naturali) per vietare l’incesto in senso ampio, arrivando a negare l’unione tra cugini fino al sesto grado.
Già Claude Lévi-Strauss vedeva il tabù dell’incesto come una spinta positiva verso l’esogamia, a sua volta interpretata come l’occasione per stringere alleanze e alimentare la cooperazione su vasta scala. Lévi-Strauss però considerava questo tabù universale, mentre per Henrich è una prerogativa soprattutto weird. Difficile dire se dietro i nuovi dogmi ci sia stato un calcolo preciso, come assicurarsi più lasciti ereditari eliminando la concorrenza di cugini e figli illegittimi. Per Henrich quel che è certo è il risultato: la sistematica erosione della famiglia allargata, con tutto il suo complesso sistema di rapporti e consuetudini.
Mentre nel resto del mondo le società basate sui clan continuano quindi a prosperare, in Europa, dove i divieti sul matrimonio tra cugini costringono le persone a sposarsi al di fuori delle loro famiglie, le persone sono obbligate a diventare più ricettive nei confronti degli estranei, sviluppando una forte “prosocialità impersonale” e aprendosi a istituzioni collettive svincolate dalla famiglia come corporazioni, confraternite e assemblee. E poiché cooperare con estrani richiede nuove regole e principi il più possibile astratti e obiettivi, ecco un effetto domino che finirà per plasmare il sistema giudiziario, l’economia di mercato e altri grandi capisaldi dell’Occidente.
Il sangue non è acqua, la famiglia non è il sangue
Il ragionamento fila, ma a prezzo di accettare qualche approssimazione. I cambiamenti nella composizione familiare, per esempio, non hanno mai seguito un percorso netto. Lo storico e demografo Emmanuel Todd, che sulla famiglia come origine e specchio delle diverse società lavora da decenni, smentisce nettamente la vulgata per cui l’umanità si sia pian piano scardinata dalla famiglia allargata facendo emergere gli individui.
Se da una parte non è facile definire in modo univoco la famiglia, anche la fenomenologia weird tratteggiata da Henrich rischia di essere riduttiva.
Nello specifico, intorno all’anno 1000 la tipologia familiare più diffusa nell’Europa continentale non era il grande clan, ma una famiglia nucleare molto simile alla nostra. Lo storico Alessandro Barbero spiega infatti come la grande famiglia contadina, “stile Albero degli zoccoli”, sia legata al sistema della mezzadria e sia quindi un prodotto del tardo medioevo e dell’età moderna. Racconta anche che, in uno stesso periodo storico, il concetto di parentela cambiava a seconda delle classi sociali: “per un aristocratico del medioevo la famiglia erano i parenti e gli antenati da parte di padre. Coloro che gli avevano tramandato cognome e stemma”.
Se nel corso della storia occidentale la parentela ha avuto e continua ad avere accezioni diverse, nel vasto mondo non weird il discorso è ancora più complicato. Nel suo saggio La parentela cos’è e cosa non è Marshall Sahlins contrappone alla nozione riduttiva di famiglia basata sui rapporti di nascita la costruzione simbolica del concetto di appartenenza, e lo fa citando molti esempi di “parentele alternative”.
Per alcuni popoli, come gli Iban del Kalimantan, condividere lo stesso cibo, per esempio, può creare parentela, perché il riso è la transustanziazione degli antenati. Per gli Ilongot delle Filippine coloro che condividono una storia di migrazione e cooperazione “condividono un corpo”. Mentre in alcuni gruppi Inuit le persone nate lo stesso giorno sono parenti e si può essere considerati fratelli per il solo fatto che i propri genitori, in un qualche momento della loro vita, hanno avuto una relazione sessuale.
Se da una parte non è facile definire in modo univoco la famiglia, anche la fenomenologia weird tratteggiata da Henrich rischia di essere riduttiva. È comodo citare come tratti distintivi “indipendenza, moralità e duro lavoro” e non, per esempio, sfruttamento, prevaricazione e tendenza a imporre i propri valori. Sembra che la prosocialità weird tenda sempre a inclinarsi ogni volta che si varcano i confini dell’Europa, ma sono tutti aspetti che Henrich non considera a sufficienza.
WEIRD è uno di quei testi – come Armi acciaio e malattie di Diamond o Sapiens di Harari – che risultano intriganti proprio in virtù dell’audacia delle loro tesi.
Al contrario, se pensiamo alle cattedre negli atenei italiani, a Boris Johnson che nomina lord suo fratello o a Donald Trump che affida al genero la responsabilità della pace in Medio Oriente viene da chiedersi se davvero il nepotismo sia stato sconfitto dai weird in modo così brillante. E la domanda è legittima, perché si tratta di un fenomeno molto difficile da quantificare.
Una strana teoria del tutto
WEIRD è uno di quei testi – come Armi acciaio e malattie di Diamond o Sapiens di Harari – che risultano intriganti proprio in virtù dell’audacia delle loro tesi. Oltre ad aver evidenziato un bias importante nella ricerca psicologica, Henrich ha il merito di aver documentato come la mente umana si adatti, attraverso l’evoluzione culturale, ai mondi sociali che si trova ad affrontare, offrendo una volta di più una sintesi per la vecchia dicotomia natura-cultura.
Ha anche il merito di aver sottolineato, e ce n’è sempre bisogno, come certi valori non siano universali ma storicamente determinati. È importante ricordare come alcuni attributi che consideriamo nostro appannaggio – libertà, democrazia, legalità – siano in realtà ben diffusi anche altrove, semplicemente non siamo in grado di riconoscerli. Come scrive David Graeber in Critica alla democrazia occidentale:
[Credo che] non si possano collocare questi valori in una particolare tradizione morale, intellettuale e culturale. Nel bene e nel male, sorgono proprio dall’interazione tra tradizioni diverse.
Durante tutto il testo Henrich mostra un’ansia argomentativa che lo porta a citare studi su studi e a mettere le mani avanti riguardo a dati mancanti o non verificabili. Questa continua necessità di fornire prove però lo porta, a volte, a cadere in contraddizione: può per esempio un libro contro il determinismo biologico citare, come fa WEIRD, il calo di testosterone per sostenere che siamo meno aggressivi?
In sostanza, a fronte di premesse molto interessanti, il ragionamento a volte sembra incagliarsi in forzature che cercano di tracciare un percorso di evoluzione culturale troppo netto, quando non addirittura viziato da un certo determinismo demografico. Viene il dubbio che Henrich soffra del bias che lui stesso descrive: nonostante l’ambizione di oggettività, il suo sguardo non può che essere parziale. Lo sguardo di un maschio bianco angloamericano: letteralmente la categoria più weird del pianeta.