H o scoperto di avere la fobia dei pipistrelli qualche anno fa, una notte d’estate in cui l’afa era così insopportabile da costringermi a tenere la finestra spalancata. In dormiveglia mi è parso di avvertire un fruscio, d’istinto ho acceso l’abat jour e ho visto una sagoma nera ondeggiare tra me e il soffitto: un piccolo pipistrello – forse un barbastello – si librava in aria con un moto circolare e irrefrenabile, come in preda a un panico ancestrale. Sapevo che, pur avendo una vista discreta, molte specie di pipistrelli usano l’udito per orientarsi e cacciare al buio. O meglio l’ecolocalizzazione: emettono degli ultrasuoni ad altissima frequenza che sbattono sugli ostacoli ambientali e da lì tornano alle loro orecchie aguzze.
Ma in uno spazio chiuso l’eco rimbalza in ogni direzione e così il pipistrello non riesce a formarsi un’immagine mentale del luogo che lo circonda e finisce fatalmente in trappola. Cercai di scacciarlo dalla finestra, ma ogni volta che mi avvicinavo prendeva a volteggiare ancora più selvaggiamente. Uscii dalla camera e aspettai l’alba, e quando il mattino seguente rientrai era tutto fin troppo calmo. Che fine aveva fatto, il pipistrello? Scostai il cuscino e lo vidi lì, indifeso e appallottolato, non più grande del pugno di una mano, inerme. Lo avvolsi con uno straccio, facendo attenzione che non sgusciasse fuori, e lo lanciai dalla finestra. In aria lo straccio si spiegò assieme alle ali dell’animale che, improvvisamente libero, rinsavito, scomparve volando tra gli alberi.
È bizzarro come esseri umani e pipistrelli nutrano una paura reciproca così incontrollabile. È un timore che sembrerebbe immotivato anche da un punto di vista evolutivo: per quanto ci è dato sapere dallo studio dei reperti fossili, i chirotteri sono in circolazione da almeno 50 milioni di anni ed è probabile che i progenitori delle specie attuali abbiano a lungo convissuto con i nostri antenati, all’interno di caverne o nel folto delle foreste. In campagna, dove abito io, i pipistrelli sono ancor oggi abbastanza comuni, escono da chissà dove all’imbrunire e planano bassi e fuggevoli sopra le teste. Li si potrebbe prendere per uccelli, ma a distinguerli è il loro moto ondivago e repentino, rapido e irrequieto. Ricordo che da ragazzino mio padre mi ammoniva costantemente di stare all’erta: i pipistrelli si impigliano nei capelli e non si riesce più a staccarli. Oggi so per certo che si tratta di una delle leggende più comuni sul loro conto.
Priva di un concreto fondamento biologico, la repulsione che proviamo nei confronti dei pipistrelli è soprattutto l’esito di un lungo processo di stigmatizzazione culturale, almeno in Occidente.
Priva di un concreto fondamento biologico, la repulsione che proviamo nei confronti dei pipistrelli è soprattutto l’esito di un lungo processo di stigmatizzazione culturale, almeno in Occidente. “Nell’arte classica – ha osservato Danilo Russo, chirotterologo e autore di La vita segreta dei pipistrelli. Mito e storia naturale (Tarka edizioni, 2017) – sono stati associati prima a creature malefiche, alla notte, all’esoterismo, al demonio. Infatti nei quadri gli angeli hanno ali da uccelli, il diavolo invece da pipistrello. Poi ci si è messa la letteratura e la filmografia recente con Dracula di Bram Stoker a rendere le cose più difficili”.
Nella mitologia antica e nei bestiari medievali, nell’iconografia rinascimentale e nella simbologia gotica, i pipistrelli sono immancabilmente dipinti come esseri ambigui, mortiferi, sinistri e pulsionali. Perseguitati e demonizzati, con l’affermarsi dell’estetica horror nel folclore popolare europeo divennero emblema del vampirismo, anche se sono soltanto tre le specie di chirotteri acclaratamene ematofaghe, per di più tutte endemiche del Sud America e assolutamente innocue per gli esseri umani. Persino quando è associato a un supereroe notturno ma virtuoso come Batman, il pipistrello viene culturalmente adoperato per evocare turbamento e timore. “Perché i pipistrelli, signor Wayne?”, chiede il maggiordomo Alfred in Batman Begins, di Cristopher Nolan (2005). “Perché mi fanno paura”, risponde quello. “Che li temano anche i miei avversari”.
Mentre in Oriente i pipistrelli vengono cacciati nonostante siano considerati animali apotropaici, simbolo di fortuna e prosperità, in Occidente la tendenza culturale a connotarli negativamente porta di volta in volta a etichettarli quali creature orripilanti, schifose, pericolose e oggi più che mai portatrici di malattie. La pandemia da SARS-CoV-2, cominciata con ogni probabilità come altre recenti zoonosi con lo spillover da pipistrelli a umani (passando forse per un ospite intermedio), ha finito per esacerbare ulteriormente quest’immaginario degradante e deteriore, fino al punto di innescare azioni irragionevolmente repressive nei confronti di molte specie di chirotteri non connesse alla pandemia.
Per paura del contagio, in Perù e in Indonesia centinaia di esemplari sono stati arsi vivi, come racconta Laura Scillitani su Scienza in Rete ricordando gli analoghi episodi di isteria ed eccidio verificatisi in anni recenti al dilagare dei virus Hendra, MERS, Ebola e Nipah, tutti riconducibili ai pipistrelli. A Wuhan, epicentro del contagio in corso, la popolazione ha chiesto alle autorità locali la “cacciata” dei pipistrelli in letargo nei pressi città, sebbene la specie che si ritiene all’origine del nuovo coronavirus (il Rhinolophus sinicus, o pipistrello ferro di cavallo cinese) non sverni abitualmente negli ambienti urbani dell’Hubei e l’interruzione del letargo di una qualsiasi colonia di chirotteri rappresenti un potenziale fattore di rischio per nuove infezioni.
“La reputazione dei pipistrelli come animali serbatoio di virus – ha scritto su Science il professor Huabin Zhao, del Dipartimento di ecologia dell’università d Wuhan – ha portato addirittura a suggerire un loro sterminio di massa per proteggere la salute pubblica. L’esagerazione delle caratteristiche negative dei pipistrelli che non tenga conto anche dei tratti positivi rischia di condurre a una loro eliminazione deliberata e priva di senso”.
Le considerazioni del professor Zhao toccano un punto cruciale: di tutti gli animali che spaventano o ripugnano la maggior parte delle persone, è proprio il pipistrello ad avere la reputazione più infima. Di qui lo sforzo divulgativo da parte di scienziati, giornalisti scientifici e associazioni di appassionati per riabilitare la fama di quest’animale così difficile da tutelare proprio perché oggetto di un disprezzo radicato, e perciò di riluttanza a mobilitarsi e investire in sua difesa.
Mai come ora è urgente scagionare i pipistrelli dalla responsabilità delle zoonosi, demolendo lo stigma che grava sul loro triste conto, slegandoli da superstizioni tanto deleterie quanto inveterate.
Nonostante la paura e il ribrezzo, è oggi importante adoperarsi per la conservazione dei chirotteri, la cui sopravvivenza è minacciata tanto dalle attività antropiche quanto da epizoozie devastanti come la sindrome del naso bianco. Mai come ora è urgente scagionare i pipistrelli dalla responsabilità delle zoonosi, demolendo lo stigma che grava sul loro triste conto, slegandoli da superstizioni tanto deleterie quanto inveterate e magari esplicitandone le peculiarità zoologiche ed etologiche che per la scienza rimangono fonte di mistero, come la loro straordinaria longevità e un sistema immunitario unico nel suo genere in tutto il regno animale.
Chirottero è bello
Secondi soltanto ai roditori, i chirotteri rappresentano il maggiore ordine di mammiferi per numero di specie: ad oggi ne sono state classificate ben 1.376, un quinto di tutte le specie di mammiferi esistenti, con la particolarità che i pipistrelli sono gli unici a essere capaci di volo attivo. Come spiegano i chirotterologi Christian Dietz e Andreas Kiefer nel loro Pipistrelli d’Europa. Conoscerli, identificarli, tutelarli (Ricca editore, 2015), questa straordinaria varietà di specie è segno che i chirotteri hanno saputo adattare il loro stile di vita notturno a ecosistemi di diverse latitudini e a nicchie ecologiche poco frequentate da altri animali, come l’interno delle grotte o le cime degli alberi.
In una puntata di Radio3 Scienza di un anno fa, lo zoologo dell’Università di Bologna Dino Scaravelli ricordava che l’Italia è uno dei Paesi europei con la maggior varietà di specie di chirotteri, tutte protette da numerose normative nazionali e comunitarie. Tra le 36 specie italiane si annovera anche un endemismo, il plecotus sardus od orecchione di Sardegna, che vive solo qui da noi e con meno di 300 esemplari rimasti è probabilmente il mammifero più raro di tutto il territorio nazionale. L’orecchione è a rischio di estinzione come la maggior parte delle specie presenti in Italia, minacciate soprattutto dalla perdita dell’habitat e dai pesticidi impiegati in agricoltura e bioaccumulati nelle loro prede. “Le nostre specie sono tutte insettivore – spiegava Scaravelli – e si nutrono di tantissimi insetti, perché sono animali con un metabolismo estremamente rapido, quando sono in volo superano tranquillamente i 500 battiti al minuto […]. Per avere tutta questa energia possono mangiare tranquillamente [un quantitativo di insetti giornaliero] pari a un terzo del loro peso corporeo. Quelli che si nutrono di zanzare, per esempio, ne mangiano 1.000-1.500 in una notte”.
L’Italia è uno dei Paesi europei con la maggior varietà di specie di chirotteri, tutte protette da numerose normative nazionali e comunitarie.
Negli Stati Uniti si è calcolato che il servizio ecosistemico di contenimento delle popolazioni di insetti dannosi per le coltivazioni agricole che viene fornito spontaneamente dai pipistrelli è quantificabile in addirittura di 3,7 miliardi di dollari l’anno. Al controllo della pressione degli insetti sui raccolti agricoli vanno poi aggiunti altri servizi ecosistemici, come l’impollinazione e la dispersione dei semi da parte delle specie frugivore, ma anche il guano dei chirotteri è particolarmente apprezzato e viene venduto come fertilizzante naturale persino su Amazon.
Le specie insettivore che cacciano di notte con il biosonar emettono ultrasuoni così acuti che non subiscono l’interferenza dei rumori ambientali di fondo. I loro striduli hanno alta frequenza e ridotta lunghezza d’onda, il che permette ai pipistrelli di rilevare nell’ambiente circostante la presenza anche delle prede più minute. Queste si accorgono del pipistrello quando è ormai piombato loro addosso, pronto ad avvolgerle nella trappola mortale del suo patagio, la membrana interdigitale delle ali. Durante il giorno, invece, i pipistrelli restano appollaiati a testa in giù, una posizione ideale per lasciarsi cadere e spiccare rapidamente il volo in caso di pericolo. Le zampe posteriori sono troppo corte per prendere la rincorsa necessaria a un decollo da terra, ma in compenso i loro artigli sono perfetti per arrampicarsi e rimanere agganciati senza sforzo a rami o pareti rocciose.
Appesi a testa in giù, i pipistrelli si adattano agli sbalzi termici regolando il loro orologio biologico in funzione della stagione. In primavera le femmine si riuniscono a migliaia in colonie monosessuali chiamate nursery per partorire e allevare i cuccioli, in genere uno per femmina, inizialmente glabro e cieco. I maschi vivono invece isolati o in piccole aggregazioni e nei giorni più caldi dell’estate vanno in torpore per risparmiare energie in vista dell’accoppiamento autunnale. Questo avviene quando le femmine sono entrate in estro ma non ancora in ovulazione, con gli spermatozoi che vengono mantenuti vitali nei loro addomi fino in primavera. D’inverno, pipistrelli di specie diverse si riuniscono in colonie miste nei cosiddetti siti di swarming, dove cadono in ibernazione per più di 80 giorni consecutivi, durante i quali il loro corpo subisce profondi cambiamenti.
La temperatura si regola poco al di sopra di quella ambientale, le pulsazioni cardiache passano da 250 al minuto a un minimo di 18, il metabolismo rallenta e la circolazione sanguigna viene riservata ai soli organi vitali. Quando la temperatura esterna scende sotto lo zero, i pipistrelli si svegliano dal letargo e partono alla ricerca di rifugi più temperati, dove rimangono compatti e avvolti nella coperta termica dei rispettivi patagi fino alla fine dell’inverno. Alcune specie nordeuropee, come il pipistrello di Nathusius e le nottole, migrano anche 1.500 chilometri a Sud per raggiungere i siti di svernamento.
L’aspetto più curioso ed enigmatico dei chirotteri è però la loro straordinaria longevità. Fra le 19 specie di mammiferi che vivono più a lungo in relazione alle dimensioni, ben 18 sono pipistrelli: nel 2005 è stato catturato in Siberia un esemplare di vespertilio di Brandt con un età presunta di 41 anni, equivalenti grosso modo a più di due secoli di vita per gli esseri umani. Solo di recente si è iniziato a intuire il triplice nesso che collega capacità del volo, longevità e sistema immunitario dei pipistrelli.
L’aspetto più curioso ed enigmatico dei chirotteri è però la loro straordinaria longevità. Fra le 19 specie di mammiferi che vivono più a lungo in relazione alle dimensioni, ben 18 sono pipistrelli.
“La notevole longevità dei pipistrelli potrebbe sembrare curiosa – spiega Antonio Scalari su Scienza in Rete – perché ci si attenderebbe che un persistente stress ossidativo [come quello indotto dal volo] generi anche una forte reazione infiammatoria, con danni alle cellule e ai tessuti. Diversi studi dimostrano però che i pipistrelli hanno anche un sistema immunitario speciale, in grado di attivare risposte diverse da quelle di cui sono capaci i sistemi immunitari degli altri mammiferi”. Il loro sistema immunitario, in sostanza, sarebbe in grado di rallentare l’invecchiamento cellulare e al tempo stesso di tollerare la presenza di molti dei virus all’origine delle zoonosi, facendo dei pipistrelli serbatoi di patogeni e vettori di contagio.
Non è colpa dei pipistrelli
Tra i mammiferi, è fuori discussione che i chirotteri sono portatori del più alto numero di virus potenzialmente infettivi per gli esseri umani (compresi circa 500 diversi tipi di coronavirus, l’ultima manciata dei quali scoperta solo poche settimane fa). I pipistrelli sono però animali elusivi, schivi e diffidenti, per cui lo scambio accidentale di agenti infettivi con gli esseri umani è un evento altamente improbabile.
Lo spillover diventa invece possibile quando si verifica un contatto ravvicinato innaturale, come negli ormai famosi wet market in cui i pipistrelli vengono macellati sul posto assieme a bushmeat o warm meat di altre specie selvatiche, che il più delle volte sono allevate in cattività. Anche gli allevamenti intensivi e industriali delle specie domestiche sono però bombe infettive pronte a scoppiare in ogni momento, innescando quello che gli esperti di malattie infettive chiamano The Next Big One, la prossima grande epidemia anticipata con incredibile precisione nei loro modelli previsionali. Nel 2016, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) ha calcolato che ben il 75% delle malattie infettive emergenti ha origine nella fauna selvatica, ma gli animali allevati intensivamente agiscono da ponte epidemiologico per la propagazione agli esseri umani.
I pipistrelli sono animali elusivi, schivi e diffidenti: lo scambio accidentale di agenti infettivi con gli esseri umani è un evento altamente improbabile; lo spillover diventa possibile quando si verifica un contatto ravvicinato innaturale.
Nel Sudest asiatico le porcilaie all’aperto vengono spesso allestite a ridosso degli habitat naturali di numerose specie di pipistrelli. Capita quindi che le loro deiezioni cadano direttamente sui maiali e sul cibo che viene dato loro dagli allevatori, come raccontato in una recente intervista a il Tascabile da David Quammen, autore di Spillover. L’evoluzione delle pandemie (Adelphi, 2014). È così che un virus dormiente si attiva, e mutazione dopo mutazione salta dalla specie serbatoio selvatica (i pipistrelli, appunto) all’ospite intermedio e amplificatore domestico con cui gli esseri umani hanno contatto stretto.
Guarda caso, nelle settimane immediatamente precedenti all’inizio della pandemia da SARS-CoV-2 con lo spillover al Huanan Seafood Wholesale Market di Wuhan, nel sud della Cina si era verificata un’altra infezione avente per comprimari i maiali, una peste suina non pericolosa per gli esseri umani ma con una letalità tra gli ungulati vicina al 100%. Per evitare la diffusione negli altri Paesi ed eradicare al più presto il morbo pestilenziale, centinaia di milioni di suini sono stati soppressi e cosparsi di calce negli allevamenti cinesi, o brutalmente ammassati in fosse comuni e sepolti vivi. Triste ironia della sorte, proprio nell’anno dedicato al maiale e in cui la Cina dovrebbe ospitare il summit internazionale per la difesa della biodiversità.
Non è dunque il pipistrello il responsabile della pandemia in corso: siamo noi umani ad averla causata, come ha scritto lo stesso Quammen in un recente articolo per il New York Times. “Noi che tagliamo gli alberi, uccidiamo gli animali selvatici o li spediamo al mercato all’interno di gabbie anguste. Noi che distruggiamo gli ecosistemi, che molestiamo i virus nei loro vettori naturali: quando succede, cercano nuovi ospiti, e spesso siamo proprio noi stessi”.
Il WWF ha parlato di “effetto boomerang” nella distruzione degli ecosistemi, della natura che, assediata, ha preso ad assediarci. Un gruppo di ricercatori guidato da Christine Kreuder Johnson ha messo a confronto 142 virus zoonotici accertati con le specie a rischio estinzione della red list stilata dall’International Union for Conservation of Nature (IUCN), scoprendo come la probabilità di uno spillover sia più alta per le specie selvatiche minacciate dalle attività antropiche. È l’animalità più violentata, degradata e relegata in ecosistemi insufficienti e intollerabilmente affollati a reagirci contro con virus che bucano la barriera tra umano e animale, spesso in maniera irreversibile e definitiva.
Animali riservati e inclini a rifugiarsi in luoghi sperduti, da quando i loro habitat naturali sono stati invasi dagli esseri umani i pipistrelli hanno cominciato a insediarsi in miniere abbandonate, edifici diroccati o dimessi, ma anche ponti e cornicioni cittadini, portandosi dietro patogeni che il riscaldamento globale rende sempre più virulenti. La tropicalizzazione delle zone climatiche temperate sta infatti estendendo l’area d’azione di virus esotici o dei loro vettori, che possono così colonizzare nuove latitudini beneficiando del clima favorevole a tassi di riproduzione più elevati. Diverse recenti pandemie, come la Sars, l’influenza aviaria e quella suina si sono verificate in corrispondenza di annate più calde di 0,6-0,7 gradi rispetto la media, mentre alcuni ricercatori dell’Università di Tokyo hanno dimostrato che esiste una chiara correlazione tra aumento delle temperature e riduzione della risposta immunitaria negli esseri umani. Per di più, lo scioglimento dei ghiacciai libera virus mai visti o che si riteneva del tutto debellati.
Non è il pipistrello il responsabile della pandemia in corso: siamo noi umani ad averla causata.
In questi giorni si è molto discusso di come sia necessario tutelare i chirotteri e i loro habitat naturali per evitare futuri spillover, ma i modelli tradizionali di conservazione adottati finora sembrano aver fallito lo scopo. Bisogna inventare nuovi metodi di salvaguardia dei pipistrelli e in generale di tutti gli animali selvatici, non tanto per conviverci in maniera armoniosa, ma più semplicemente per permettere loro di continuare a vivere. Di tutte le proposte avanzate negli ultimi anni quella in assoluto più radicale è stata formulata da Edward Osborne Wilson nel suo Metà della Terra. Salvare il futuro della vita (codice edizioni, 2016): secondo Wilson, dovremmo destinare metà del pianeta all’attività umana e l’altra metà a un’immensa riserva naturale per milioni di specie animali e vegetali. Perché proprio metà della Terra? Perché secondo i calcoli di Wilson e di altri studiosi di ecologia, ciò basterebbe a preservare l’integrità dell’85% delle specie viventi – a patto che nella riserva naturale vengano incluse le aree a maggiore biodiversità come le foreste pluviali, le savane e le zone umide, ma anche aree liminali a luoghi già antropizzati. Riserve in cui limitare al massimo la presenza umana, per preservare l’assoluta alterità delle specie animali. Anche di quelle che ci fanno più paura e ribrezzo, proprio come terribili ma essenziali pipistrelli.