C ompassi, calibri e tabelle di confronto per catalogare il colore dell’iride. Già nelle familiari campagne tedesche Bruno Beger aveva incontrato qualche diffidenza a causa del suo armamentario da antropologo itinerante. È facile immaginare la reazione dei tibetani, allora, quando iniziò a misurare i loro volti, tratti somatici, corporature per confrontarli con quelli di una fantomatica “razza ariana”.
L’anno era il 1938 e un gruppo composto da cinque SS, guidato dallo zoologo Ernst Schäfer, si stava avventurando sulle montagne sacre del Tibet. Lo scopo della spedizione, sponsorizzata in prima persona da Heinrich Himmler, era quello di trovare le origini ancestrali del popolo germanico. Per arrivare alla loro meta gli scienziati nazisti avevano dovuto affrontare non poche difficoltà diplomatiche, raggiungendo il paese a partire dall’India britannica, dai territori del piccolo regno del Sikkim.
Beger controllava forma e dimensioni dei nasi, colore degli occhi e dei capelli, realizzava calchi facciali. Il resto del gruppo, composto dai tedeschi ma anche da una folta carovana di servi e mulattieri locali, era impegnato in altre mansioni. L’entomologo Ernst Krause si occupava, oltre che delle osservazioni scientifiche, anche di filmare la spedizione: i trentasei chilometri di pellicola impressionati durante questa spedizione erano destinati alla creazione di Geheimnis Tibet (Tibet segreto), un film di viaggio e di propaganda che sarebbe uscito nel 1943. Edmund Geer era il direttore della spedizione ed era, al pari di Schäfer, un ottimo diplomatico, capace di stringere accordi e amicizie con i potenti e i nobili locali. Karl Wienert era il geografo del gruppo e si occupava di rilevazioni astronomiche e geomagnetiche; teneva occultate le sue attrezzature all’interno di una tenda e le utilizzava solo in assenza di sguardi indiscreti, dato che gli era stato vietato di condurre quel tipo di misurazioni sul suolo tibetano.
Ernst Schäfer, per contro, era uno zoologo di buona fama. Aveva già visitato il Tibet in passato, nel 1931-32 e poi nel 1934-36. Avendo pubblicato, sin da giovanissimo, libri di buon successo sulle sue spedizioni, aveva avuto una carriera molto rapida e precoce. Dalle sue prime esplorazioni aveva portato in Europa i resti di diversi uccelli himalaiani, ottenendo anche un discreto apprezzamento in campo accademico. Da buon opportunista, aveva aderito al partito nazista subito dopo che Hitler aveva preso il potere in Germania, nel 1933. Grazie ai suoi successi scientifici, Schäfer fece carriera nelle SS e attirò l’attenzione di Himmler, da sempre interessato alle culture orientali.
Così Schäfer si occupava di condurre la spedizione e, allo stesso tempo, studiava la natura tibetana. Cercava le leggendarie pecore blu, chiamate bharal, e andava a caccia per raccogliere pelli di specie locali, soprattutto uccelli. Si dedicava all’attività venatoria nonostante una tragedia lo avesse di recente colpito proprio in quel contesto: uno sparo accidentale partito dal suo fucile durante una battuta di caccia aveva ucciso pochi mesi prima sua moglie Hertha — una donna bella, alta, bionda, con i parametri necessari per poter ottenere il “certificato di arianità” indispensabile per sposare un SS. Schäfer era ancora torturato dai sensi di colpa per quell’incidente.
Opportunismi
Beger, seguendo le idee eugenetiche di Hans F.K. Günther, una delle principali menti dietro alla teoria della razza, era convinto che vi fossero dei tratti comuni, nei lineamenti del volto e nella morfologia generale del corpo, tra la nobiltà tibetana e le popolazioni germaniche e nordeuropee. Queste ultime erano considerate le elette, la massima espressione creativa dell’essere umano nella storia; erano contrapposte agli ebrei, ritenuti un popolo inferiore, un disturbo allo sviluppo culturale ed economico dell’Europa. E così Beger, calibro alla mano, si mise a misurare centinaia di nasi e arcate sopraccigliari, arrivando ad affermare di aver dimostrato la teoria della razza e l’esistenza di un’origine comune dei popoli germanici e nordeuropei con la nobiltà locale. L’antropologo tedesco definì così gli aristocratici tibetani:
alti, con una testa lunga, il volto sottile, zigomi alti, un naso prominente e diritto o leggermente arcuato, con setto nasale pronunciato, capelli lisci e un portamento imperioso e sicuro di sé.
Eppure, già ai tempi l’eugenetica propugnata da Günther era vista da buona parte della comunità scientifica come una pseudoscienza, una dottrina priva delle più elementari basi sperimentali e razionali necessarie per ottenere un minimo credito. Lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton, autore nel 1922 di Eugenetica e altri malanni, scrisse che: “L’eugenetica afferma che tutti gli uomini devono essere così stupidi da non poter gestire da soli i propri affari e anche così intelligenti da poter gestire quelli degli altri”.
La “razza ariana” era in realtà un pasticciato miscuglio di ceppi linguistici con gruppi etnici, come gran parte della comunità scientifica si rese presto conto. Ciò non sembrò preoccupare molti scienziati del Reich, che presero l’invenzione della “razza ariana” come un’opportunità per emergere dall’anonimato e farsi apprezzare dai piani alti del potere, presentando studi pianificati ad hoc.
Bruno Beger era, indubbiamente, uno di questi opportunisti: di estrazione piuttosto umile, lo scienziato aveva perso il padre nella prima guerra mondiale ed era riuscito ad accedere agli studi universitari solo grazie all’aiuto di un amico di famiglia. Durante i suoi studi all’università di Jena era venuto per la prima volta a contatto con le teorie eugenetiche di Günther e ne era rimasto affascinato, al punto da rendere l’antropologia il suo principale campo di studio.
La spedizione
La ricerca delle origini leggendarie della razza ariana aveva probabilmente condotto Himmler a sponsorizzare il viaggio, ma effettivamente Schäfer e compagni si dedicarono a molti altri studi: vennero raccolti campioni di svariati tipi di insetti, fu creato un erbario con piante tibetane essiccate e vennero messi insieme semi di tante varietà di orzo e di grano, oltre a centinaia di altri semi potenzialmente utili. Himmler progettava di introdurre in Europa questi vegetali per diffondere e sviluppare nuovi tipi di colture, migliorando così le rese agricole.
Gli esploratori strinsero buoni rapporti di amicizia con alcuni nobili locali, e nondimeno si dedicarono a studi antropologici sui riti tradizionali tibetani, tra cui le celebri “sepolture celesti”, in cui i cadaveri venivano — e vengono tuttora — dati in pasto agli avvoltoi. Presero con loro una copia del Kangyur, il canone buddista tibetano, composta di 120 volumi. Trafugarono inoltre una piccola statua chiamata “Iron man”, dal valore inestimabile: non solo era stata scolpita intorno all’anno mille, ma era interamente composta di atassite, un raro tipo di meteorite ferrosa.
Ma perché, se l’interesse di Himmler era quello di scoprire le origini della razza ariana, questi scienziati si dedicavano anche ad altri tipi di ricerca? Basta studiare la storia delle SS per capirlo: Himmler si circondava di scienziati talentuosi e acclamati per dare prestigio al suo corpo militare. Le SS dovevano rappresentare un’élite, la più alta e gloriosa espressione del popolo germanico.
Nel 1943 venne proiettato per la prima volta Geheimnis Tibet, il documentario realizzato con le riprese del viaggio. Pur non trattandosi di fiction, il film di Schäfer era ben lontano da una mera descrizione del viaggio e dei territori visitati. La sua forte natura propagandistica cercava di fornire un’interpretazione storica e politica al Tibet di quegli anni. Il messaggio di Geheimnis Tibet era che il Tibet fosse stato un tempo patria di un popolo di coraggiosi guerrieri, artefici di un grande impero. Il declino della nazione era arrivato con l’avvento dei buddisti e del lamaismo, con una religione fatta di superstizioni e rituali astrusi e irrazionali. “Giganteschi monasteri grandi come città” affermò Schäfer, “sono popolati da migliaia di monaci sporchi e degenerati” che “opprimono il popolo e arraffano quel po’ di ricchezza che la terra offre”.
I monasteri privavano inoltre la nazione di un terzo della forza lavoro maschile: il Tibet, corrotto dalla religione, era ormai solo l’ombra di quell’antica nazione di eroi. Un monito, neanche troppo velato, alla Germania: lo stesso Himmler aveva fortemente osteggiato la chiesa, macchiata dalle sue origini ebraiche, e pensava che la crisi della società moderna fosse in qualche modo legata alla sua influenza. Alla fine il Tibet, nella distorta visione delle SS, era l’immagine di quello che la Germania rischiava di diventare se non avesse agito con prontezza contro l’influenza dei popoli ritenuti inferiori. Himmler stesso amava le antiche tradizioni pagane e l’induismo, pur se in una sua personalissima e distorta visione. L’utilizzo della svastika, antichissimo simbolo religioso proprio di molte culture euroasiatiche — e in particolare dell’induismo— come principale elemento grafico del nazismo è chiara testimonianza di questo interesse.
Pseudoscienza e atrocità
“Sotto il Terzo Reich l’antropologia e la medicina furono programmaticamente e metodicamente asservite ai fini di un credo omicida”, ha scritto lo storico Cristopher Hale. Nel giugno del 1943, Beger si recò nel campo di concentramento di Auschwitz per effettuare studi antropologici su un centinaio di prigionieri. Erano in parte ebrei, in parte provenienti dall’Asia centrale. Ancora una volta, Beger realizzò le sue misure antropometriche e prese calchi facciali dei prigionieri che gli vennero portati.
Dopo aver terminato la sua raccolta dati in una decina di giorni, Beger se ne andò a elaborare quanto osservato. I soggetti da lui studiati vennero poco dopo condotti nelle camere a gas e uccisi. Dai loro corpi si ricavò una collezione di scheletri che venne inviata all’Istituto di ricerche centroasiatiche, al cui capo c’era proprio il suo vecchio capo spedizione, Ernst Schäfer. In una lettera a lui indirizzata, Beger descrisse con entusiasmo uno dei soggetti studiati, che venne evidentemente ritenuto degno di far parte della collezione: “Un alto e forte figlio della natura che avrebbe potuto essere un tibetano. Il modo di parlare, le movenze e il modo in cui si presentava erano semplicemente incantevoli, in una parola: tipici della terra asiatica”.
Forse, però, nell’economia del discorso non sono tanto i singoli che ci devono interessare: Schäfer era con ogni probabilità un opportunista, più interessato alla carriera scientifica che ai deliri di Himmler, mentre Beger, pur con le sue convinzioni razziali, negò sempre di essere a conoscenza che i soggetti da lui studiati ad Auschwitz fossero destinati alle camere a gas. Dopo la guerra e dopo brevi periodi di prigionia e denazificazione, i due proseguirono con le loro vite: Schäfer continuò la sua attività scientifica, mentre Beger, allontanato dal mondo accademico, lavorò per un editore.
Concentriamoci invece sul contesto: quello che è bene sottolineare ancora una volta è che l’eugenetica, con tutte le sue derivazioni più malate, non ottenne mai lo status di scienza vera e propria, dotata di basi sperimentali e di assunti indiscutibili e inoppugnabili. Rimase sempre in una specie di limbo, a metà strada tra la pseudoscienza e il folklore. Ebbe successo e si diffuse perché trovò un substrato culturale e soprattutto politico su cui prosperare, soddisfacendo il desiderio di ristretti gruppi di potere. Nessuno dimostrò mai la presenza di alcuna “razza ariana” né, a dirla tutta, di qualsivoglia razza nel genere umano: le razze umane non esistono.
E se è facile oggi dar contro al nazismo, è bene ricordare che l’eugenetica non fu certo un prodotto tedesco: nacque in Inghilterra per merito di Francis Galton, cugino di Darwin, e ottenne un enorme successo in America, prima ancora che i nazisti arrivassero al potere in Germania e se ne servissero per supportare la loro causa. Agli inizi del Ventesimo secolo gli Stati Uniti vietarono i matrimoni tra bianchi e neri. La American Eugenics Society nacque nel 1923, mentre nel 1931 ventisette stati americani promulgarono leggi che consentivano la sterilizzazione obbligatoria per determinate categorie di persone, compresi i feeble-minded e i morons (“deficienti”). Nel 1941, grazie a queste leggi, quasi trentaseimila individui erano già stati sterilizzati.