N ei mari del tardo Giurassico, circa 150 milioni di anni fa, fecero la loro prima comparsa gli antenati di quelle che oggi conosciamo come tartarughe marine. Rettili adattati alla vita marina, capaci di lunghe apnee, con zampe divenute vere e proprie pinne e un’alimentazione basata soprattutto su meduse, spugne, molluschi e alghe. Sono sette le specie oggi esistenti: dalla mastodontica tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), che può superare i 2,5 metri di lunghezza e i 500 chili di peso, alla più piccola tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii), lunga appena 60-70 centimetri per 45 chili. Nonostante diete e dimensioni diverse, tutte hanno una caratteristica in comune: vivono in mare aperto e le femmine sono le uniche a emergere in prossimità delle rive per andare a nidificare sulle spiagge. Alcune depongono le uova in solitudine, altre invece lo fanno in massa: un fenomeno noto come arribada.
Ma tutte, infaticabili, solcano le correnti marine, percorrendo anche migliaia di chilometri nel blu per trovare la spiaggia perfetta, che sia quella natia, oppure una nuova. E tutte hanno uno straordinario senso di orientamento: un “sesto senso” magnetico.
A dimostrarlo tra gli anni Novanta e i primi del Duemila, pubblicando i risultati su Nature, sono stati Kennet e Catherine Lohmann della University of North Carolina, due colonne portanti in questo campo. Grazie ai loro studi, sono riusciti a capire che le tartarughe marine sono in grado di avvertire il campo magnetico terrestre e di affidarcisi per i loro spostamenti.
Questi rettili marini non solo riescono a percepire l’intensità del campo magnetico terrestre, che diminuisce dai poli verso l’equatore, ma rilevano anche la sua inclinazione. Per loro, ogni punto del pianeta è caratterizzato da una coppia di valori intensità-inclinazione. Ed è quindi come se leggessero una vera e propria mappa: sanno dove si trovano e riescono a mantenere la loro direzione di marcia. E soprattutto conoscono la loro posizione rispetto alla destinazione.
È come se leggessero una vera e propria mappa: sanno dove si trovano e riescono a mantenere la loro direzione di marcia.
Ma qui si pone un altro problema: come fanno a conoscere le coordinate della loro destinazione? Cioè della spiaggia su cui deporre le uova? Le hanno memorizzate. Kenneth Lohmann, stavolta con il collega Roger Brothers, ha infatti scoperto che le tartarughe marine della specie Caretta caretta fanno ritorno alla spiaggia natia perché conoscono la “firma magnetica” unica che la caratterizza. Con due studi usciti su Current Biology, prima nel 2015 e poi nel 2018, i due scienziati sono riusciti a dimostrare che queste tartarughe marine, appena nate, subiscono una sorta di imprinting sulla loro spiaggia natale. Memorizzano cioè le coordinate magnetiche del posto e le sfruttano per tornarci dopo circa 15-20 anni, quando sono pronte per riprodursi. Mettono quindi in atto quello che viene definito natal homing. Ovvero il “ritorno al luogo natio”. A volte può accadere che scelgano una spiaggia diversa e in questo caso spesso il nuovo lido ha coordinate magnetiche molto simili.
Solo da poco, quindi, si è riusciti a rispondere alla domanda cruciale sulla migrazione delle tartarughe marine, rimasta in sospeso per cinquant’anni. O meglio, erano già state avanzate ipotesi sull’imprinting magnetico, ma non erano state ancora provate. Del resto l’imprinting è diffuso in forme e gradi diversi nei vertebrati ed è uno dei fenomeni più affascinanti e complessi del regno animale. Si tratta di un apprendimento precoce che avviene solo in un brevissimo periodo di tempo, un “periodo sensibile”, che di solito coincide con le prime ore appena dopo la nascita. E ciò che si impara in quelle poche ore o giorni, dura per tutta la vita. È un apprendimento irreversibile implicato in tantissime dinamiche sociali. Molte specie memorizzano in questo modo l’aspetto dei genitori, come la famosa oca Martina di Konrad Lorenz, o lo utilizzano per capire quale partner scegliere in futuro. Le tartarughe marine, invece, grazie all’imprinting avranno scolpite per sempre nella memoria le coordinate della spiaggia sulla quale hanno visto per la prima volta il mare.
Ed è qui che torneranno per deporre le uova, dopo più di un decennio, facendo affidamento sulla memoria. Ma perché tornare a riprodursi nel luogo natio, nonostante il viaggio e i pericoli da affrontare? La risposta è semplice, è l’unico posto dove sono sicure di trovare tutti i comfort del caso: sabbia soffice, pochi predatori, nessun disturbo umano o quasi, e una temperatura adeguata. Del resto loro sono diventate adulte e sono partite proprio da lì e quella spiaggia è per loro la miglior garanzia per la sopravvivenza dei loro piccoli tartarughini.
La maggior parte delle Caretta caretta torna quindi a nidificare sulla stessa spiaggia in cui è nata. Proprio entro gli stessi metri, e in solitaria. È una specie cosmopolita, diffusa in tutti i mari, a eccezione di quelli più freddi, e quelle studiate dai Lohman appartengono alla popolazione della Florida, la più numerosa del mondo. Da solo infatti questo paese ospita tra i 68.000 e i 90.000 nidi all’anno.
A fine estate i nuovi nati lasciano la sabbia calda delle spiagge della Florida e dello Yucatán, si immergono in mare e fanno ritorno a quei lidi solo quando saranno grandi circa 50 centimetri e avranno raggiunto la maturità sessuale, diversi anni dopo. Cosa facciano nel frattempo è rimasto a lungo un mistero, tanto che questi anni sono stati definiti dai ricercatori lost years. Finché, alla fine degli anni Novanta, Alan Bolten e sua moglie Karen Bjorndal hanno decifrato questo “mistero”. Con uno studio genetico sono riusciti a dimostrare che appena nate, quando sono grandi appena 5 centimetri, le Caretta caretta si imbarcano in un viaggio lungo circa 16.000 chilometri, che le vedrà attraversare tutto il Nord Atlantico. L’ipotesi era stata avanzata già nel 1986 da Archie Carr, un’icona nello studio e nella protezione di questi rettili marini, che però non fece in tempo a dimostrarla poiché morì l’anno dopo averla formulata.
Entrate in mare appena nate, le tartarughine trascorrono i primi giorni cibandosi di piccoli crostacei, ctenofori (plancton bioluminescente) e altre creature marine, e poi si dirigono verso il mar dei Sargassi. Questa è la loro prima destinazione, dove trovano oltre 100 specie diverse di animali e piante marine per nutrirsi. Qui, nelle acque riscaldate dalla corrente del Golfo hanno il tempo di crescere e poi, cavalcando la corrente, attraversano tutto il Nord Atlantico e arrivano alle Azzorre. La maggior parte di loro prosegue arrivando sulle coste di Spagna e Portogallo, fino a Madeira: è questo uno dei principali siti di alimentazione di questa specie. Ma alcune entrano nel Mediterraneo: circa il 45 per cento dei giovani che nuotano nelle acque del mare nostrum provengono proprio dall’Atlantico. Ciò non toglie che ci siano tartarughe endemiche del Mediterraneo che qui trascorrono tutta la loro vita e che al suo interno compiono migrazioni anche di 20007000 chilometri. Le Caretta caretta del Mediterraneo, però, seguono tragitti diversi. Di solito si muovono verso ovest in primavera, in cerca di cibo, e in inverno verso est alla ricerca di acque più calde. E quasi tutte scelgono le spiagge della Grecia, della Turchia, del Nord Africa e anche dell’Italia per deporre le loro uova. Ma alcune di loro – si è scoperto di recente – stanno colonizzando nuove spiagge nell’ovest del Mediterraneo, forse per affrontare così l’aumento delle temperature.
Il motivo di questa spasmodica ricerca della spiaggia perfetta, per lo più quella natia, è in realtà la ricerca della temperatura ideale della sabbia.
Le Caretta caretta che dalla Florida sono arrivate nell’est dell’Atlantico, invece, proseguono il loro viaggio dirigendosi a sud, aiutate sempre dalla corrente del Golfo. Passano per le isole Canarie e Capo Verde, poi virano verso ovest, tornando nelle acque dei Caraibi dove si riprodurranno una volta diventate adulte. Trascorrono così, in questo lungo tour, circa 6-12 anni: quasi un quarto della loro vita, considerando che possono arrivare a superare i 50 anni. In questo periodo nuotano in superficie, nei primi cinque metri d’acqua. Da adulte, invece, saranno in grado di scendere fino a 200 metri.
Al termine di questi anni in giro per l’Atlantico, in estate, tornano finalmente sulle coste americane e per la prima volta lasciano le profondità dell’oceano per risalire sulla battigia. Scavano con le pinne una buca profonda e vi depongono un centinaio di uova bianche e dal guscio molle, delle dimensioni di una pallina da ping pong. Ripeteranno questa operazione più volte nell’arco di una sola stagione, a distanza di qualche giorno, prima di rituffarsi definitivamente in mare per altri due o tre anni. Qualcosa di molto simile accade anche nel Pacifico: qui le Caretta caretta si riproducono nel Sud-Est asiatico, dal Giappone fino al nord dell’Australia e si alimentano al largo della Bassa California, compiendo anche in questo caso un viaggio tra i 10.000 e i 13.000 chilometri a tratta.
Il motivo di questa spasmodica ricerca della spiaggia perfetta, per lo più quella natia, è in realtà la ricerca di un parametro che gioca un ruolo cruciale per il corretto sviluppo delle uova e ne determina persino il sesso: la temperatura ideale della sabbia. L’optimum per questa specie, ovvero la temperatura che consente lo sviluppo di tartarughini maschi e femmine in egual percentuale, si aggira sui 29°C. Ed è all’interno della camera che accoglierà le uova, all’incirca a metà altezza, che si dovrebbe avere questa temperatura. In questo modo dalle uova più superficiali – che ricevono più calore – nasceranno le femmine e da quelle più in profondità, più fredde di 1-2 gradi, verrano fuori i maschi. Basta infatti un solo grado di differenza per spostare questo equilibrio e far nascere più femmine o più maschi. Man mano che la temperatura si discosta da quella ottimale, il divario tra i due sessi aumenta e, se la temperatura all’interno del nido supera i 30,5°C, nasceranno solo femmine. E infatti con il riscaldamento globale intere popolazioni di tartarughe marine stanno subendo un processo di femminilizzazione: ogni anno ci sono più fiocchi rosa del dovuto e la popolazione risulta essere composta quasi esclusivamente da individui di sesso femminile.
Estratto da Senza confini. Le straordinarie storie degli animali migratori (codice edizioni, 2019).