N el quartiere middle class di Columbus, Ohio, dove Myles Schoonover è cresciuto, i ragazzi si facevano le canne e si ubriacavano. Ma nessuno di sua conoscenza aveva mai fatto uso di eroina. Anche Myles aveva fumato a volte ma non era mai stato un problema concentrarsi sullo studio. Era andato a fare l’Università in Tennessee e aveva perso di vista suo fratello minore Matt, ancora adolescente. I due fratelli si erano ritrovati quando Matt lo aveva raggiunto nel 2009. I genitori non hanno mai capito quando Matt avesse iniziato a prendere le pillole, ma è certo che nel 2009 Matt ne era già dipendente. Solo che la sua dipendenza era difficile da riconoscere, perché Matt era dipendente da farmaci, antidolorifici morfinosimili. Quando i genitori l’avevano capito si erano preoccupati ma, essendo necessaria per le pillole una regolare prescrizione medica, non pensavano che potesse essere letale. Lo avevano portato da un medico che aveva prescritto una settimana di disintossicazione con medicine che tenessero a bada gli effetti delle crisi di astinenza. Non si erano accorti, né loro né il medico, che Matt era passato dalle costosissime pillole all’eroina, molto più a buon mercato. Nel 2012 era stato lui stesso a confessarlo ai genitori, ed era entrato in comunità. Tre settimane dopo Matt era tornato a casa, il 10 maggio 2012. “I suoi genitori pensavano che l’incubo fosse finito. Matt era andato a un incontro fra ex tossicodipendenti, poi doveva vedere un amico. Aveva detto a suo padre che avrebbe chiamato alla fine dell’incontro. I suoi genitori avevano aspettato la chiamata tutto il giorno. La notte un poliziotto era andato a bussare alla loro porta. Al funerale di Matt hanno partecipato 800 persone. Aveva 21 anni quando è morto per un’overdose di eroina”.
La storia di Matt è tratta da un libro non ancora tradotto in Italia, si intitola Dreamland, l’ha scritto Sam Quinones ed è uscito negli Stati Uniti nel 2015. Dreamland racconta la storia della nuova epidemia di oppioidi che nel 2008 ha riportato le overdosi a essere la prima causa di morte accidentale (più degli incidenti stradali) per migliaia di giovani americani. Come è potuto succedere?
Painkillers e nuovi paradigmi medici
Tutto ha inizio molti anni prima, negli anni Ottanta, quando la comunità scientifica è investita dal dibattito sull’uso dei derivati dell’oppio per la cura delle malattie terminali. La morfina è da sempre usata in questo tipo di trattamenti, ma quando viene pubblicato un articolo che sostiene che esistono alcuni tipi di oppioidi sintetici che non danno dipendenza, i termini della questione cambiano radicalmente. È il 1980, la rivista il New England Journal of Medicine, gli autori Porter e Jick. Il saggio si fonda sullo studio di 12.000 pazienti in cura presso l’ospedale di Boston, pazienti dei quali non si dà altro dato se non il fatto che 4 soltanto sono diventati “addicted” al farmaco. Degli altri non sappiamo niente: età, patologia, status.
Nel 1996 La Purdue Pharma mette in commercio Oxycontin, un oppioide sintetico pubblicizzato come risolutivo per pazienti con problemi cronici di dolore. I medici iniziano a prescriverlo per il mal di schiena, il tunnel carpale, dopo un incidente su un campo di rugby o sul lavoro. Lo stesso anno apre la prima clinica del dolore specializzata nella cura con queste pillole. Poi altre centinaia spuntano in tutte le città di provincia, si chiamano Pill mills.
Nel 1996 La Purdue Pharma mette in commercio Oxycontin, un oppioide sintetico pubblicizzato come risolutivo per pazienti con problemi cronici di dolore.
Un sincronismo tanto casuale quanto perfetto fa sì che negli stessi anni il mercato dell’eroina cambi: cambia la produzione in Messico per esempio, piccole unità operative a conduzione familiare inviano ragazzi “puliti” in città mai attraversate da epidemie di tossicodipendenze, cittadine di media grandezza, dove negli anni Novanta al massimo ci si sbronzava, si prendevano antidepressivi, ci si suicidava. Ma non si usava l’eroina. Ognuno di questi nuovi spacciatori ha un telefono cellulare. Non c’è bisogno di andare in un quartiere malfamato per comprarsi una dose, basta una telefonata e l’eroina viene consegnata a casa, come una pizza.
Ma in effetti la domanda scarseggia, il mercato dell’eroina è in calo negli USA. Cosa succede allora? Succede che gli spacciatori iniziano a stazionare davanti alle Pill mills perché sanno che dopo un mese i pazienti stanno male di nuovo, pensano che siano i sintomi del dolore mentre sono già i sintomi della dipendenza, tornano dai medici che aumentano le dosi fino a raggiungere una soglia invalicabile per legge.
Ed è lì che i giovani messicani entrano in scena, con la soluzione economica a portata di mano, l’eroina: domanda e risposta si incontrano perfettamente. E la nuova epidemia di oppioidi (sintetici e non) è servita. I dati sono allarmanti, molti medici si trovano per la prima volta di fronte a ragazzine di 15 anni in overdose, non avendone mai viste non riconoscono i sintomi, poi, morto dopo morto, imparano. Oggi ogni pensilina dell’autobus negli USA ha la pubblicità del naloxone, il farmaco salvavita per overdosi da eroina o da farmaco oppioide, e tutti i liceali americani sanno come somministrarlo.
Da noi
In Italia il fenomeno è ancora marginale. Ernesto de Bernardis, responsabile del SerT di Lentini racconta: “È una realtà per ora sottotraccia. Mi raccontano che c’è spaccio di antidolorifici morfinosimili anche nel territorio dove lavoro, ma finora ho visto solo un mezzo caso, di una paziente a metadone a cui era stato ‘offerto’ il pillolone da ‘amici’. Basta però per sapere che comunque la diffusione in zona c’è ed è solo questione di tempo perché si venga a manifestare”. Diverso discorso per la perdita di controllo sugli antidolorifici morfinosimili regolarmente prescritti: “questi casi sono senza coinvolgimento di cessioni illegali, quindi più alla luce del sole, e stanno diventano, un po’ ovunque, e anche da noi, più frequenti, complice una certa noncuranza da parte di alcune categorie di specialisti nella prescrizione di questi farmaci gratificanti e dipendentigeni. Il medico di famiglia poi continua la prescrizione. Ci sarebbe da osservare alcune precauzioni ma purtroppo non sempre vengono prese”.
Salvatore Giancane, medico tossicologo in servizio presso il SerT di Bologna: “Il problema è che stanno diventando farmaci comuni e non prevedono particolari restrizioni alla prescrizione. Poi magari la mamma ne ha un flacone di scorta o l’allunga al figlio che è caduto col motorino. Sono casi che non vanno banalizzati, ma siamo distanti anni luce dal dramma americano, abbiamo consumi pro capite decine di volte inferiori. Per avere una misura: se negli USA c’è un decesso ogni 12 minuti, da noi uno ogni 32 ore. Se negli USA muore più gente per ossicodone che per incidenti stradali, in Italia ci sono 10 morti sulla strada per uno per ossicodone. Infine, se negli USA i morti per farmaci sopravanzano quelle per eroina, in Italia il rapporto è circa 20 a 1. Le differenze sono enormi, sia sul piano quantitativo che qualitativo”.
Stanno diventando farmaci comuni e non prevedono particolari restrizioni alla prescrizione, ma siamo distanti anni luce dal dramma americano.
Questo non significa che non dobbiamo tenere gli occhi aperti. Nel maggio 2018 a Catania si è discusso di come affrontare i casi di dipendenza da farmaci: codeina, ossicodone, petidina. Ma ancora nessuna riflessione pubblica è stata avviata mentre il Ministero della sanità ha aspettato un anno per diffondere la notizia del primo morto italiano per overdose di ocfentanil, un oppioide sintetico contenuto in alcuni farmaci in dosi minime. Scrive Valentina Avon su La Repubblica: “A luglio la Direzione centrale antidroga ha pubblicato la sua relazione annuale su diffusione e repressione dei traffici di stupefacenti, in merito ai fentanili riportava che al momento non si erano verificate evidenze della loro presenza nelle piazze italiane. Neppure la Polizia di Stato ha mai saputo di quel morto milanese. A luglio non ne sapevano nulla neppure al Sistema di Allerta”. Perché aspettare un anno? Forse perché, appunto, qua il rischio pandemia non esiste?
Attitudine
Eppure l’eventuale riproduzione del modello americano è tutt’altro che impossibile perché da un lato, come scrive Salvatore Giancane nel suo studio Il mercato globale dell’eroina. Dall’Afghanistan all’Adriatico nel 2017 la produzione della sostanza è duplicata e domandarsi in quanta parte arriverà anche da noi è doveroso; dall’altro come sottolinea Christian Raimo su Internazionale, “farsi di qualunque cosa ha perso l’elemento di trasgressione; e dall’altra parte l’offerta merceologica nel mercato delle sostanze psicotrope è diventata potenzialmente infinita. Il pezzo solista di Side Baby della Dark Polo Gang, Medicine, è una specie di manifesto nemmeno involontario della nuova generazione di ragazzi consumatori di sostanze e tossicodipendenti. Nessuna epica, nessuna street culture, una esplicita aria ospedaliera. Side Baby, come molti trapper, nelle interviste parla della sua dipendenza come una specie di effetto collaterale di uno stile di vita che è abituato all’addiction; del resto ‘sono dipendente da’ e ‘sono in detox’, sono due espressioni mutuate dal mondo delle sostanze che negli ultimi vent’anni hanno formato la fruizione e il consumo di cibo, immaginario, beni immateriali”.
Grande disponibilità del prodotto, attitudine passiva, quasi “ospedaliera” verso la sostanza, lo scenario descritto da Sam Quinones sembra pericolosamente vicino. Non è certo la prima volta nella storia delle sostanze stupefacenti che medicina e abuso si confondono: già Friedrich Engels, nel suo studio sulla classe operaia inglese del 1845 aveva denunciato come si fossero diffuse alcuni preparati a base di laudano come lo sciroppo Godfrey’s Cordial che le donne, lavoratrici, usavano per tenere buoni i bambini.
Grande disponibilità del prodotto, attitudine passiva, quasi “ospedaliera” verso la sostanza: non è la prima volta nella storia delle sostanze stupefacenti che medicina e abuso si confondono.
A loro veniva detto che oltre a farli dormire li rendeva più forti, in realtà accadeva spesso che morissero prima dei due anni per vere e proprie overdosi poiché, quanto più l’organismo del bambino diveniva insensibile agli effetti dell’oppio, tanto maggiori quantità gliene somministravano. E quando lo “sciroppo” non funzionava più si passava direttamente al laudano puro.
Nel secondo dopoguerra la “morfina delle ricette”, come scrive William Burroughs, è un tramite quasi inevitabile verso l’abuso e il mercato illegale. Negli ultimi venti anni gli sciroppi per la tosse, gli antidolorifici, usati in modo da provocare sballo, sono sfuggiti al controllo farmacologico e non sono mai diventati un problema per la stampa se, ancora oggi, ogni articolo sul rapporto fra “droghe” e giovani fa riferimento quasi esclusivo a canne e eroina, mentre i cani nelle scuole sembrano essere l’unica prevenzione possibile.
Poca informazione, cattiva informazione
Sull’argomento tossicodipendenze è tornato a prevalere, dopo una breve stagione di informazione buona, un mix di moralismo e allarmismo che non lascia intravedere minimamente i contorni del problema e che predilige soluzioni che spostano il problema, e i soggetti problematici, lontano dai meccanismi ben oliati della città, piuttosto che mitigarne cause predisponenti e conseguenze.
I mezzi di informazione inoltre, sottolineando la pericolosità dei nuovi mix killer, lasciano in qualche modo intuire una possibile distinzione fra un’eroina “buona”, la cara vecchia eroina bianca, e i nuovi miscugli letali. Ecco, questa distinzione non esiste e di eroina “normale” si continua a morire. Non si è mai smesso. Nelle ultime settimane due overdosi, due ragazze sedicenni, una a Udine, l’altra a Zafferana Etnea. Eppure i giornali finiscono sempre col rimarcare il colore giallo della sostanza iniettata (gialla solo perché di provenienza afghana e non sbiancata, e non perché “più pura” o addizionata con fentanili) senza invece approfondire come una ragazza di 16 anni possa, oggi, morire di overdose.
Sull’argomento tossicodipendenze è tornato a prevalere, dopo una breve stagione di informazione buona, un mix di moralismo e allarmismo.
Nello zaino della sedicenne di Udine è stata rinvenuta una pillola di suboxone, un farmaco sostitutivo. Che una ragazza abbia con sé un farmaco di questo tipo lascia pensare che qualcuno glielo ha prescritto o che l’abbia avuto in modo illegale, in una prospettiva di riduzione del buco in vena. Il suboxone, come il metadone, viene usato nelle terapie di disintossicazione e, malgrado possa procurare dipendenza fisica, come è sempre successo anche con il metadone, quantomeno allontana il pericolo di overdose (qui la mappa delle overdosi in Italia).
Il servizio televisivo sulla sua morte è tutto un “forse, si dice”, neppure una cosa certa come l’uso del suboxone è spiegata in modo chiaro lasciando una sensazione di disagio a chi sa e di mistero a chi non sa: “da tempo considerato una cura miracolosa per la dipendenza da oppiacei, sembra che per un tossicodipendente andare dal medico e ottenere il suboxone sia uno dei modi più popolari per gestire la sua dipendenza”.
Cosa c’è di sbagliato nel “gestire una dipendenza”? Andate a leggere, per esempio, la discussione nel blog sostanze.info sul suboxone: le voci di uomini e donne che provano a smettere, e non ci riescono, oppure ce la fanno, lì, in chiaro, sotto gli occhi di chi vuole vedere; basterebbe questa lettura per capire come i confini fra lecito e illecito ci riguardino profondamente, siano esilissimi eppure fondamentali per uscire dalla tossicodipendenza che coinvolge migliaia di persone in bilico costante fra vita e morte. Insegnare fin da scuola a distinguere l’uso dall’abuso, l’esperienza dalla dipendenza, è fondamentale. Occorre un’educazione radicale sul rischio di passare da un farmaco a una tossicodipendenza, occorre sbrigarsi e nel frattempo fare di tutto per ridurre il danno.
Perché da morto nessuno può curarsi.