

I n un torrido weekend di fine maggio, i Giardini pubblici Indro Montanelli di Milano si sono riempiti come una spiaggia dell’Adriatico a Ferragosto per il Wired Next Festival. Qualche giorno prima, davanti a un boccale di birra, giovani e meno giovani hanno tempestato di domande ricercatori e scienziati durante le decine di eventi organizzati da Pint of Science. Solo negli ultimi mesi, scene simili si sono ripetute al Mantova Food&Science Festival, al TEDxBergamo, al National Geographic Festival delle Scienze di Roma e agli eventi di divulgazione scientifica al Salone del Libro di Torino. Puntare sulla scienza, avvicinandola al pubblico in maniera accattivante, unendo rigore e leggerezza, si sta rivelando una scommessa vincente. Un successo che non stupisce oggi, ma che forse era impensabile fino una ventina d’anni fa.
Allo stesso tempo, a leggere quel che si racconta sui social network e sui giornali, sembra che il Paese sia assediato dall’irrazionalità e dalla pseudoscienza. L’improvvisa decisione di far valere l’obbligo delle vaccinazioni per accedere a scuola, estendendolo dalla protezione per 4 a quella per 12 malattie, è stata descritta come l’unico modo possibile per arginare il pericolo rappresentato da un esercito di genitori incoscienti e irresponsabili, paragonati a chi ancora crede che la Terra sia piatta, masse di imbecilli “che proprio non vogliono capire” l’importanza delle vaccinazioni. Il calo delle coperture vaccinali, e l’epidemia di morbillo degli ultimi mesi, è stato attribuito all’ignoranza degli italiani, al privilegio garantito alle materie umanistiche nel nostro sistema scolastico, al fatto che non si studi il metodo scientifico.
Il rapporto tra scienza e società, quindi, sembra una relazione ambivalente, di odio e amore, che alterna rispetto e curiosità con diffidenza e conflittualità. Nella storia italiana recente si ricordano diversi episodi in cui la tensione tra queste due componenti ha raggiunto livelli di guardia.
L’ascesa della pseudoscienza
Il caso Di Bella fu il primo in Italia a creare una forte frattura tra il mondo della scienza e quello di una società che per certi versi se ne allontana, sembra non capirne le ragioni, certo non ne riconosce più ciecamente l’autorità.
Un distacco che solo poco tempo fa ci ha portato in mezzo alla bufera Stamina: migliaia di persone sono scese in piazza per difendere la “libertà di cura” offerta da un ciarlatano come Davide Vannoni. Esperto di persuasione occulta, ma non certamente di quelle cellule staminali – se poi lo erano – che faceva iniettare a bambini e adulti con malattie di ogni tipo. Complici, purtroppo, molti medici, giudici, politici, esponenti dei media e delle istituzioni, attori e cantanti.
Il rapporto tra scienza e società sembra una relazione ambivalente, di odio e amore, che alterna rispetto e curiosità con diffidenza e conflittualità.
Casi simili negli ultimi anni hanno riguardato la cosiddetta “medicina germanica” del dottor Hamer, che attribuisce a traumi interiori l’origine del cancro e sconsiglia ai pazienti di ricorrere alla chemioterapia: una madre con un tumore al seno e una ragazza con la leucemia, entrambe malattie curabili, hanno perso la vita nel 2016, in Italia, per aver seguito queste teorie senza fondamento.
Nel frattempo la cronaca ha riportato di attacchi agli stabulari, in particolare l’occupazione del Dipartimento di Farmacologia dell’università di Milano e del CNR, con conseguente perdita di migliaia di Euro e anni di lavoro nel campo di malattie come l’autismo, la malattia di Parkinson, l’Alzheimer, la sclerosi multipla. Alla pressione della martellante campagna “Stop vivisection”, che mostrava immagini false e fuori contesto legate alla sperimentazione animale, per attuare la Direttiva n. 2010/63/UE fu approvato un decreto (Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 26) che inseriva criteri ancora più restrittivi alla normativa comunitaria. In una prima versione il provvedimento rischiava di bloccare gran parte della ricerca biomedica in Italia. In quella definitiva, per ora sotto moratoria, pone comunque grossi ostacoli agli studi sui trapianti, il bioterrorismo, le malattie d’abuso. Gli scienziati si sentono accerchiati: il provvedimento ostacola chi vuole restare a lavorare in Italia, nega la possibilità di partecipare a consorzi di ricerca europei e di ricevere i relativi finanziamenti. Come spiegare alle persone, giustamente impressionate dalle immagini mostrate dalla Lega Anti Vivisezione, che i ricercatori non sono sadici e i laboratori non sono luoghi di tortura?
Cercare lo scontro
Davanti a questa crescente ottusità, si dice, ci vogliono le maniere forti. La gente non capisce. Basta dialogo. Sembra che si possano gettare via decenni di riflessioni a livello internazionale. Milioni di euro sono stati spesi in progetti per facilitare il dialogo nel filone chiamato Science-and-Society, e poi per calare la scienza nella società (Science-in-Society) fino a capire che il rapporto doveva essere ancor più profondo, come sottolinea l’ultima definizione coniata dall’Unione Europea (Science-with-and-for-society). Una linea di pensiero che presuppone l’inscindibilità nel mondo di oggi delle due componenti: da un lato, una società che preme sulla scienza per avere risposte sempre più rapide e puntuali ai suoi problemi, per esempio di salute; dall’altro, una scienza che ha bisogno del sostegno della società per ottenere gli indispensabili finanziamenti, ma anche per vedere applicate, in pratica, le sue scoperte, cosa che può essere facilmente ostacolata se queste non vengono comprese e accettate.
Come una coppia che continua a litigare, ma in cui uno non può fare a meno dell’altro, periodicamente il conflitto si riaccende, la ferita si riapre. Si attendeva – qualcuno purtroppo addirittura cinicamente auspicava –, che sulla scia dell’epidemia di morbillo in corso arrivasse il morto, la vittima sacrificale che servisse a far ragionare i più fanatici antivax. E invece, inaspettatamente, a finire sulle pagine dei giornali è stato Francesco, un bambino di sette anni, il cui omeopata non ha ritenuto di intervenire con i mezzi della medicina nemmeno quando l’otite media che faceva soffrire il piccolo da quindici giorni è precipitata in una grave e letale complicazione.
Dall’omeopatia agli antivax, cambia l’oggetto specifico della discussione, ma non il clima infuocato, i toni violenti, né il tema di base, che alla fine è il rapporto tra la scienza e la società.
La discussione è stata così dirottata su tutte quelle che vengono impropriamente chiamate “medicine complementari”. Ancora una volta, l’opinione pubblica si è divisa su due fronti: quelli che credono nel metodo scientifico come il migliore strumento a nostra disposizione per accertare efficacia e sicurezza di quel che chiamiamo medicina e chi si affida ad altri criteri, come l’esperienza propria o riferita, la fiducia in chi gli ha proposto il trattamento, l’idea che si tratti di un approccio più “dolce” e naturale di quello che si pratica somministrando farmaci o altre terapie provate scientificamente.
Cambia l’oggetto specifico della discussione, ma non il clima infuocato, i toni violenti, né il tema di base, che alla fine è appunto il rapporto tra la scienza e la società. Un rapporto che, su alcuni argomenti, sembra impossibile e insanabile, soprattutto quando si chiamano in causa alcuni miti dei giorni nostri, come quello della “naturalità”, per cui è preferibile una malattia portata da un agente biologico all’immunità conferita da un prodotto farmaceutico; la presunta terapia basata sulla diluizione di principi naturali che portano alla loro scomparsa, rispetto a quella di provata efficacia, ma costituita da una molecola sintetizzata in laboratorio, e così via.
Dalla radiazione dall’Ordine dei medici di chi diffonde disinformazione sui vaccini si è passati a invocare lo stesso provvedimento per chi propone “trattamenti alternativi” senza fondamento. Ma se i medici apertamente contrari alle vaccinazioni, che scrivono libri e tengono conferenze (generalmente a pagamento) si contano sulle dita delle mani, sarebbero circa 4.000 quelli che praticano con regolarità l’omeopatia. Moltissimi pediatri, che ci credano o no, prescrivono prodotti omeopatici. Non importa se lo fanno per rassicurare mamme ansiose o perché sono convinti che possano servire, certo non in alternativa, ma come “complemento” alle vere cure. Se si guarda a quel che contiene un prodotto omeopatico, questo non può aggiungere nulla, se non un effetto placebo. Questo tuttavia dovrebbe essere dichiarato, e seriamente motivato, anche considerando i costi di questi prodotti.
Il medico che, davanti alla madre disperata per l’encefalite che ha colpito il figlio, per non contraddirla, le lascia intendere che forse ha ragione, sarà stato il vaccino, forse non si rende conto che la sua parola, il suo semplice gesto, o addirittura il suo silenzio, rimbalzeranno di genitore in genitore amplificando le paure ingiustificate di molti altri.
Il pediatra che oggi si difende sostenendo che l’omeopatia non può sostituire la medicina, ma l’affianca, afferma in questo modo che le prove di efficacia, tutti i lunghi e scrupolosi studi a cui sono sottoposti i farmaci, in fondo non servono. La cura è un atto di fede. Basta crederci. E questo è pericolosissimo, perché se questa è la logica, è un attimo anche affidarsi nelle mani dei ciarlatani.
Vaccini e altri fronti
Nella “guerra dei vaccini”, come l’ha chiamata Internazionale, la medicina ha chiamato alle armi il pubblico, chiedendogli di prendere posizione a favore della scienza. Si sono ridicolizzati coloro che deducevano un rapporto di causa ed effetto da una semplice coincidenza temporale, come un sintomo insorto dopo la vaccinazione, o che generalizzavano una singola esperienza personale. Lo stesso però vale per chi, in assenza di studi scientifici che lo provino minimamente, rivendica l’efficacia dell’omeopatia per prevenire il raffreddore o dare sollievo al mal di testa, perché “a me, o a qualcuno che conosco” è successo così.
Oggi il pubblico che affolla i Festival della scienza e porta in cima alle classifiche i libri di divulgazione chiede conto di tante posizioni non fondate scientificamente, che trovano spazio all’interno della medicina.
Oggi questo stesso pubblico, quello che affolla il Festival della scienza di Genova o di Roma e porta in cima alle classifiche i libri di divulgazione, chiede conto di tante posizioni non fondate scientificamente che trovano spazio all’interno della medicina stessa, con migliaia di professionisti che prescrivono omeopatici, elenchi di professionisti antroposofici all’interno degli Ordini, master in Medicine complementari nelle università, trattamenti “alternativi” detraibili dalle tasse o addirittura dispensati dal Servizio sanitario come in Toscana. Sapendo del Centro di medicina integrata di Pitigliano, in provincia di Grosseto, o del Servizio di oculistica omeopatica in un centro di ricerca di eccellenza come il San Raffaele di Milano, la gente è disorientata. Quello stesso popolo della scienza mobilitato a favore delle vaccinazioni chiede chiarezza.
Secondo l’Annuario 2017 di Observa, a cura di Barbara Saracino (il Mulino,) negli ultimi sette anni la fruizione di scienza e tecnologia in tv e sul web è cresciuta di oltre venti punti percentuali e quasi sei italiani su dieci leggono almeno una volta alla settimana notizie su scienza e tecnologia sui quotidiani. La quota di chi pensa che le scelte di salute debbano basarsi su prove scientifiche di sicurezza ed efficacia è probabilmente inferiore, ma comincia a far sentire la sua voce. Sulla piattaforma di petizioni online Change, per esempio, è in corso una raccolta firme, nata dalla pagina Facebook #farmaciesenzaomeopatia, che chiede chiarezza alle istituzioni sul tema dell’omeopatia.
È una ristretta minoranza del pubblico, sia chiaro. Un’élite, se vogliamo, particolarmente sensibile, ma segno di un fermento. L’esempio di come a volte le situazioni si possano invertire, e in uno scambio proficuo per entrambi possa a volte essere la voce della società a richiamare la medicina ai principi della scienza.