L e sigarette elettroniche sono uno di quei temi di salute pubblica su cui capita di sentire tutto e il contrario di tutto, senza riuscire finora a discernere le evidenze solide e i fatti dagli aneddoti personali e dalle conclusioni provvisorie. Sono innocue. Sono pericolose. Aiutano a smettere di fumare. No, semmai, favoriscono la dipendenza… Il mercato delle e-cig e la comunità degli “svapatori”, come vengono definiti gli utilizzatori di questi dispositivi che consentono di inalare liquidi aromatizzati (con o senza nicotina), sono un fenomeno recente, cresciuto in modo esplosivo nell’arco degli ultimi dieci anni. Le sigarette elettroniche si sono evolute, si è modificato il tipo di pubblico che le utilizza, sono cambiate le modalità di consumo. Anche per questo il quadro – è proprio il caso di dirlo – rimane assai fumoso.
Ad alimentare la confusione, l’ultima notizia relativa alle e-cig, della fine di agosto, è suonata particolarmente allarmante. Negli Stati Uniti, un numero imprecisato di persone (per la maggior parte giovani), oltre duemila secondo le ultime stime disponibili, in 49 diversi stati, è stato ricoverato in ospedale con vari sintomi – di cui il principale una grave crisi respiratoria – attribuiti proprio alle sigarette elettroniche. Dopo il primo paziente morto in Illinois, di cui si è saputo il 23 agosto, almeno altri 39 decessi sono stati attribuiti a lesioni polmonari associate in qualche modo allo svapo. Al momento medici e ricercatori, oltre alle autorità sanitarie, stanno ancora cercando di venire a capo della questione, per capire come e perché si siano verificati questi casi.
Come ha riportato il New York Times, non è ancora ben chiaro se una delle cause possa essere l’utilizzo di questi dispositivi per vaporizzare liquidi contenenti marijuana (una pratica che negli Usa si è diffusa di recente tra i giovani), o se i liquidi “ufficiali” siano stati tagliati con altre sostanze, se possa trattarsi di una forte infiammazione dei polmoni dovuta all’inalazione di gocce d’olio contenute nelle cartucce vendute dai produttori, e neppure se i casi possano ricondursi a un singolo prodotto, o a una sostanza specifica. Il mercato è talmente vasto che è difficile riuscire a sbrogliare la matassa. Alcune analisi mediche parlano di polmonite lipoide acuta, una forma di polmonite provocata dall’inalazione di sostanze oleose; un’altra indagine ha riscontrato lesioni che sembrano di tipo chimico. La sostanza su cui finora si sono concentrati i sospetti è la vitamina E acetato, un composto oleoso usato come additivo nei liquidi. Non è stato però individuato un unico prodotto responsabile, e l’ipotesi più accreditata al momento è che questi malori (i cui numeri rimangono molto piccoli rispetto al totale degli utilizzatori di e-cig) siano collegati all’uso di miscele fai-da-te adulterate, probabilmente con liquidi a base di cannabis.
Le sigarette elettroniche, in ogni caso, oltreoceano sono sotto i riflettori. In seguito a questi casi, per cui si è parlato di una vera e propria “epidemia”, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato di volerle mettere al bando. Ma alcuni stati hanno già proceduto per conto proprio. Il Michigan, all’inizio di settembre, è stato il primo a vietarne la vendita, seguito un paio di settimane dopo dallo stato di New York, mentre in California la città di San Francisco ha imposto nel giro dell’ultimo anno e mezzo una serie di restrizioni piuttosto severe alla Juul Labs, il principale produttore americano di e-cig, che ha sede proprio in città.
Di fatto, questa vicenda ha catalizzato e ulteriormente polarizzato la discussione sulle sigarette elettroniche, di cui pochi conoscono o ricordano la storia. Un’antenata delle e-cig di oggi viene considerata quella brevettata negli Stati Uniti nel 1963 da Herbert Gilbert, “una sigaretta senza fumo e senza tabacco” che doveva fornire “un mezzo sicuro e innocuo per fumare” tramite vapore riscaldato e aromatizzato, ma che alla fine non venne mai prodotta. Nel 1986 fu commercializzato un altro prodotto simile, sempre senza combustione. Ma l’antenata più diretta delle sigarette di oggi è stata inventata solo nel 2003 da un farmacista cinese, Hon Lik, e messa in commercio sul mercato cinese nel 2004, da un’azienda con il nome Ruyan, che significa “quasi come il fumo”. In pochi anni, questa e altre marche di e-cig hanno cominciato ad apparire in vari paesi, e nel 2006 sono sbarcate in Europa. Questi primi prodotti sono stati brevettati come sostituti delle sigarette tradizionali, per aiutare a smettere di fumare. Anche se già nel 2008 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva annunciato pubblicamente di non considerarle un dispositivo utile a questo scopo, e di non sostenerne l’utilizzo.
Pur nella varietà del design, le sigarette elettroniche sono formate da una batteria, un serbatoio in cui è contenuto il liquido che di solito contiene nicotina, una resistenza elettrica che viene surriscaldata, e un bocchino da cui aspirare. I liquidi, venduti in fiale o cartucce, contengono glicole propilenico o glicerina come solventi per la nicotina e sostanze chimiche che conferiscono l’aroma. Esistono migliaia di gusti, oltre al tabacco stesso, dalla frutta alle caramelle, fino alla menta, al caffè o agli aromi di bevande alcoliche. Anche il loro aspetto è cambiato nel tempo. La prima generazione imitava le sigarette tradizionali sia nel design sia nella gestualità necessaria per utilizzarle, anche se alcune avevano l’aspetto di un sigaro o di una pipa. Poi sul mercato sono arrivati prodotti fatti come una penna, più grandi, dotati di un serbatoio trasparente per i liquidi. La terza generazione di e-cig, infine, non ricorda le sigarette neppure nella forma, e spesso il richiamo al fumo manca anche nel marketing. Si tratta di dispositivi quadrati o rettangolari, che somigliano più a una batteria o a un vecchio telefonino.
Fin dal loro ingresso sul mercato, hanno cominciato ad apparire ricerche su eventuali possibili effetti sulla salute. Anche a scorrere rapidamente gli studi che si sono susseguiti fino ai tempi più recenti si nota una certa schizofrenia delle pubblicazioni scientifiche, riflessa spesso anche nei titoli degli articoli con cui sono riportati sulla stampa. I danni per la salute sono più dei benefici, conclude per esempio uno studio del 2018 sulla rivista PlosOne. Mentre un altro del 2019 sul New England Journal of Medicine osserva che “le sigarette elettroniche sono più efficaci per smettere di fumare della terapia a base di nicotina (sempre se entrambe sono accompagnate da un supporto psicologico)”.
A cercare di fare un po’ di chiarezza è stato, all’inizio del 2018, un rapporto della National Academies of Sciences americana, intitolato Public Health Consequences of E-Cigarettes, un tomo di quasi 800 pagine. La principale conclusione raggiunta con l’analisi della letteratura in materia – test tossicologici in vitro e studi clinici di breve durata – è che le sigarette elettroniche sono “probabilmente assai meno dannose del fumo di tabacco”, contenendo un numero inferiore di sostanze tossiche, e a livelli più bassi rispetto al fumo di tabacco, anche se l’esposizione alla nicotina e agli altri composti dipende dal tipo di prodotto, e dal modo di utilizzo. Se si parla dei tradizionali e ormai ben noti problemi legati al fumo, ovvero cancro e malattie cardiovascolari, insomma, il confronto diretto tra e-cig e sigarette non può che risultare a favore delle ultime arrivate. Non tanto perché lo svapo si sia dimostrato innocuo, ma perché tali e tanto documentati sono i danni provocati dalla combustione delle sostanze contenute nel fumo di tabacco (dal catrame al benzene) che, anche stimando possibili effetti non ancora conosciuti, è improbabile le e-cig possano essere peggio delle sigarette tradizionali.
Ritenere le e-cig meno dannose, sulla carta, non significa avere accertato che siano innocue. Per documentare i danni del fumo ci sono voluti decenni. Le sigarette elettroniche sono in commercio solo da pochi anni, e in più cambiano molto rapidamente.
Ritenerle meno dannose sulla carta non significa però avere accertato che siano innocue. Per documentare i danni del fumo ci sono voluti decenni. Le sigarette elettroniche sono in commercio solo da pochi anni, e in più cambiano molto rapidamente, per cui l’assenza di rischi accertata per alcuni prodotti può non valere per altri. “In questa fase non possiamo che dire: attenzione!” osserva Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’Istituto Superiore di Sanità. “Innanzitutto, alcune sostanze contenute nelle e-cig anche in basse concentrazioni hanno un potenziale di danno e di cancerogenicità elevato. Inoltre, nei nuovi modelli, per ovviare al problema della bassa quantità di nicotina dispensata, è stata aumentata la temperatura di riscaldamento del liquido, che rende il vapore inalato ricco di particelle ultrasottili capaci di penetrare in profondità nei polmoni”. Queste microparticelle sono formate da derivati della formaldeide, sostanza presente anche nel fumo di tabacco e classificato come cancerogeno certo. Ma si parla anche di aromi ampiamente usati nell’industria alimentare e considerati sicuri per l’ingestione, ma di cui non esistono studi sulle conseguenze nel caso in cui vengano inalati.
Oltre agli effetti sulla salute, il dibattito si è però spostato su un altro piano. Innanzitutto, è ancora senza una risposta certa la domanda se le e-cig siano un ausilio utile per smettere di fumare, che era lo scopo con cui sono stati brevettati i primi modelli, e la promessa delle campagne con cui sono stati lanciati sul mercato. Contenendo nicotina, l’idea è che le sigarette elettroniche permettano di scalare gradualmente la quantità assunta, senza creare grossi problemi di astinenza. Finora, non sono emerse prove convincenti che sia davvero così. “I dati a disposizione non mostrano che le sigarette elettroniche siano più efficaci delle altre soluzioni per smettere di fumare” osserva Pacifici. “Anzi, da questo punto di vista hanno perfino uno svantaggio: mimando il gesto dell’uso della sigaretta, rendono ancora più difficile superare la dipendenza da nicotina, che ha anche una componente associata al comportamento”.
Le statistiche dicono che tra gli svapatori che dichiarano di voler smettere di fumare, le percentuali di cessazione sono simili a quelle ottenute con altri dispositivi simili, come i cerotti di nicotina. Il rischio in più è che si sviluppi una dipendenza da sigaretta elettronica. I dati epidemiologici di casa nostra dipingono un quadro coerente con queste preoccupazioni. Dei 900mila utilizzatori di e-cig, oltre l’80 per cento è un consumatore duale, cioè oltre a svapare fuma il tabacco, magari proprio considerando lo svaping un’alternativa “innocua” – o meno dannosa – rispetto al fumo, da aggiungere al suo consumo abituale. Solo il 5% circa di chi ha usato la sigaretta elettronica dichiara di aver diminuito drasticamente il consumo di quelle tradizionali; il 15% l’ha diminuito leggermente, mentre oltre il 30% non ha cambiato abitudine. Più del 20% ha infine iniziato a fumare o è tornato alle sigarette normali.
Ma ci sono altri interrogativi più scottanti ancora. Nell’ultimo periodo è sorto il sospetto che le e-cig si siano sostituite al tabacco nell’avviare verso la dipendenza – e anche verso il fumo vero e proprio – le generazioni più giovani. A lanciare l’allarme è stato alcuni anni fa un rapporto degli americani Centers for Disease Control and Prevention: negli Stati Uniti, già nel 2014, gli svapatori giovani, tra i 18 e i 24 anni, avevano superato quelli con più di 25 anni. Da qui è sorta la preoccupazione delle autorità sanitarie, e la Food and Drug Administration ha di recente emesso delle lettere di avvertimento a diverse aziende produttrici che vendono liquidi per e-cig con nomi (come “bubble gum” o “latte di unicorno”) e packaging chiaramente indirizzati a ragazzi e adolescenti. Per gli Stati Uniti, in effetti, diverse statistiche riportano un aumento vertiginoso del consumo tra i giovanissimi. Secondo il rapporto OMS 2019 sul tabagismo (WHO Report on the Global Tobacco Epidemic), tra il 2011 e il 2018, l’uso delle sigarette da parte dei giovani è cresciuto dall’1,5 a quasi il 21 per cento. E i numeri sono ancora in aumento: circa un quarto dei ragazzi di scuola superiore ormai svapa, come riporta il New York Times. La dipendenza da nicotina, nel cervello in formazione, è secondo la maggior parte degli esperti un problema più rilevante che nell’adulto: può avere effetti a lungo termine sul cervello in pieno sviluppo, oltre a rischiare di essere la porta d’ingresso verso altre dipendenze.
L’allerta è massima negli USA, ma alcune preoccupazioni si registrano anche da noi. A utilizzare la e-cig tra i ragazzi delle scuole superiori in Italia sarebbe una percentuale ancora piuttosto bassa, il 4% circa, probabilmente in crescita. Che invece davvero la sigaretta elettronica avvii verso il fumo è da dimostrare, almeno per quanto riguarda il nostro paese. Mentre sia per gli Stati Uniti sia per l’Australia i dati sembrano suggerire che sia proprio quello che sta avvenendo. Anche il rapporto della National Academies of Sciences conclude che gli adolescenti che usano le e-cig hanno maggiori probabilità di provare il fumo rispetto ai coetanei. Se diventeranno fumatori abituali è presto per dirlo, e potrebbe anche darsi che si tratti della fetta di popolazione che si sarebbe comunque orientata verso le sigarette, di un tipo o dell’altro.
Il consumo tra i giovani, e il rischio che lo svapo diventi un’iniziazione al fumo, sono però proprio il più forte argomento contro le sigarette elettroniche. Se dopo decenni di lotta a Big Tobacco, dopo le leggi antifumo in tanti paesi, e il conseguente calo dei tabagisti adulti e anziani, a ingrossare di nuovo le fila dei fumatori fossero i giovani, il problema sarebbe non solo irrisolto ma addirittura ingigantito. Il trend sembra preoccupante, ma è presto per dire quale sarà il bilancio finale in termini di salute pubblica: se le e-cig finiranno per essere una delle tante mode passeggere tra i ragazzi, o un’esca potente per attrarre verso il fumo. Quel che è certo è che le industrie del tabacco non sono rimaste ferme a guardare. Mentre le prime sigarette elettroniche erano prodotte da piccole industrie indipendenti (e ce ne sono ancora oggi decine, soprattutto in Cina), ormai nel business sono entrate da tempo anche le multinazionali. Oltre ad avere investito pesantemente nel settore, si sono dedicate alla produzione, mettendo sul mercato anche una generazione di prodotti, come i dispositivi a tabacco riscaldato, che contengono foglie di tabacco portato ad alte temperature (circa 350° C) ma non bruciato.
Inoltre, nel tipo di pubblicità e di marketing delle e-cig molti esperti di salute pubblica riconoscono le stesse tattiche promozionali usate per decenni dall’industria del tabacco: in sostanza, presentare il nuovo prodotto come un modo non dannoso di fumare. Tanto che, notano alcune ricerche, alcuni dei temi e dei contenuti pubblicitari delle e-cig ricalcano quelli usati in passato per le sigarette: la libertà, la ribellione, il glamour… In più, molti di questi prodotti, che in paesi come gli USA possono essere anche tranquillamente pubblicizzati, al contrario delle sigarette di tabacco, sono accompagnati da messaggi sulla salute e l’utilità non supportati da evidenze scientifiche. Al punto da spingere l’Organizzazione mondiale della sanità nel suo ultimo rapporto sul tabacco (World report on global tobacco epidemic, 2019) a richiedere che i vari paesi regolamentino i prodotti definiti collettivamente ENDS (per electronic nicotine delivery systems) dato che, anche se non è stata stabilita in modo definitivo la loro pericolosità, non possono neppure definirsi innocui.
Per quanto riguarda l’epidemia di malori e i morti “da svapo” da cui siamo partiti, anche se non sembra attribuibile in maniera diretta alle sigarette elettroniche, ma più probabilmente all’uso improvvisato e al fai-da-te con questi dispositivi ormai accessibili a un gran numero di persone, tra cui molti giovani e ragazzi, si tratta di un caso su cui riflettere. È una lezione sugli imprevisti e sulle difficoltà di prevedere e controllare i fenomeni sociali.
Illustrazioni: Giulia Corascello.