L’ 8 dicembre 1610, poco prima dell’alba, il suolo londinese era ricoperto dalla brina e una fitta nebbia colmava l’aria. Quel mattino, un astronomo e matematico inglese, Thomas Harriot, era pronto a fare qualcosa che nessuno aveva mai tentato prima: osservare il Sole attraverso un telescopio. Lo strumento era stato inventato in Olanda ed era divenuto di uso comune già dal 1608. Era stato tuttavia usato principalmente per osservare oggetti distanti sulla Terra e, in tal senso, doveva essere senz’altro utile agli olandesi, all’epoca in guerra contro gli spagnoli.
Il problema di Harriot era che il più delle volte la luce del Sole è troppo intensa per poter essere osservata direttamente: usare un telescopio per raccoglierne una quantità ancora maggiore avrebbe causato seri danni a chiunque avesse avvicinato l’occhio all’oculare. L’astronomo escogitò dunque una meravigliosa soluzione a bassa tecnologia. Ma pericolosa. Decise di osservare il Sole in un mattino di nebbia fitta negli istanti successivi all’alba, quando l’astro era ancora pochi gradi sopra l’orizzonte, in modo che la sua luce fosse costretta ad attraversare uno strato di nebbia quanto più possibile spesso. Avrebbe usato la nebbia come filtro, in modo da smorzare l’intensità della luce solare. Ciò ridusse in effetti molto la luminosità del Sole, ma non abbastanza da permettere allo studioso di fissarlo attraverso il telescopio. Harriot alternava dunque di frequente l’occhio destro e l’occhio sinistro all’oculare, per non venire abbagliato dalla luce e non riportare troppi danni a entrambi gli organi. Vi sconsiglio di usare questo metodo!
Disponiamo tuttora di quanto annotò durante l’osservazione e, ad accompagnare i suoi scritti, di un disegno di come il Sole appariva quel mattino. Sul disco solare c’erano tre macchie nere: le macchie solari. Oggi sappiamo che il Sole è spesso coperto da queste macchie di dimensioni e posizione variabili. In effetti, le osservazioni compiute nei secoli seguenti ci hanno svelato l’immenso valore delle macchie solari nello studio della nostra stella. Hanno un’importanza fondamentale perché ci permettono di scalfirne la superficie e ci rivelano che non si tratta di un globo luminoso e perfetto, ma che cambia nel tempo: il suo aspetto varia.
In realtà, oggi si discute ancora su chi abbia osservato per primo il Sole al telescopio e visto le macchie solari. In genere, il primo nome che affiora alla mente è quello di Galileo, il quale, però, non avrebbe registrato da nessuna parte l’osservazione delle macchie solari fino all’aprile del 1612, due anni dopo il disegno di Harriot. […]
Il tedesco Johannes Fabricius era arrivato poco prima di Galileo: aveva osservato le macchie solari nel 1611 e aveva fatto in modo che la notizia raggiungesse chiunque, pubblicando in un libello quanto aveva visto. Thomas Harriot, che nel 1610 in Inghilterra aveva disegnato le macchie, precedette Fabricius, ma non pubblicò mai il suo lavoro. Al contrario, i suoi manoscritti restarono nascosti per parecchi anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1621, e vennero alla luce solo nel tardo 1700. Alcuni (me inclusa!) oggi ritengono che il primato dell’osservazione delle macchie solari al telescopio spetti a lui, mentre altri continuano ad ascriverlo a Fabricius. L’aspetto interessante della storia è tuttavia che, nonostante il disegno di Harriot dell’8 dicembre 1610 mostrasse chiaramente le macchie solari, il testo scritto non le menzionava affatto: forse l’astronomo non era riuscito a trovare le parole adatte a descrivere che cosa aveva visto, o forse, ai tempi di quel primo disegno, non ne aveva compreso l’importanza.
A prescindere da chi detenga il primato relativo alla loro osservazione, sappiamo con certezza che il primo a prendere in seria considerazione le macchie solari fu un tedesco chiamato Christoph Scheiner. A partire dal 1611, Scheiner condusse un’indagine completa e specifica delle macchie solari man mano che sarebbero apparse negli anni successivi, e nel 1630 pubblicò i risultati nel tomo pionieristico Rosa Ursina, sive Sol (il fatto che la maggior parte del suo lavoro sia stata pubblicata sotto pseudonimo genera confusione). Il testo era un’importante documentazione del suo attento studio su forma, durata e movimenti delle macchie solari, ed entro il secolo successivo sarebbe diventato l’opera definitiva sull’argomento. Scheiner contribuì inoltre allo sviluppo di telescopi che, montando lenti colorate anziché trasparenti, consentivano di osservare il Sole, riducendone la luminosità. Battezzò lo strumento modificato «heliotropii telioscopici», comunemente tradotto in «elioscopio». Questo, sì, è un metodo che sento di consigliarvi! Oggi molti si dilettano con osservazioni astronomiche solari amatoriali grazie a speciali filtri solari (molto più scuri dei normali occhiali da sole o delle maschere da saldatore) da installare sul proprio normale telescopio prima di puntarlo verso il Sole.
Non mancano osservazioni di macchie solari antecedenti l’uso del telescopio. È possibile osservare il Sole a occhio nudo, in modo comunque molto pericoloso, quando la sua luce è attenuata dalla nebbia o da una coltre di nubi. Data l’innata curiosità della nostra specie, senza un modo per farlo in sicurezza, per millenni l’uomo ha semplicemente volto lo sguardo al Sole. Troviamo tracce di osservazioni dirette in Corea, Giappone, Vietnam e, più notoriamente, nell’antica Cina, databili almeno al 165 a.C. La perseveranza degli astronomi cinesi è da ammirare: secondo i loro scritti, si osservava in media solo una macchia per decennio. Le osservazioni degli antichi hanno tuttavia fornito indizi cruciali sull’aspetto della fotosfera e le loro testimonianze ci offrono una collezione di dati preziosa, che ci ha permesso di studiare come varia il Sole nel tempo ed è usata ancora oggi, 2000 anni più tardi.
Anche gli antichi greci osservarono le macchie. Teofrasto di Atene, discepolo di Aristotele, ne riferì l’esistenza nel suo De Signis Tempestatum, in cui mise in relazione la comparsa delle macchie solari con il tempo meteorologico, arrivando addirittura a usarle per formulare previsioni: una delle sue iniziative meno riuscite, cui tuttavia pose rimedio con lavori di importanza cardinale nel campo della biologia, dell’etica e con il più autorevole trattato sulle rocce mai scritto.
Con il senno di poi, sembra addirittura che esistano alcune, sebbene rare, registrazioni dell’osservazione delle macchie solari in Europa antecedenti allo sviluppo del telescopio. Nel 1128 un monaco inglese, Giovanni di Worcester, tracciò un disegno del Sole con due sfere nere sopra il disco solare, e nel 1590 Henry Hudson, che stava navigando sulla Richard of Arundel al largo delle coste africane occidentali, registrò la presenza di macchie sul Sole al tramonto. A quel tempo non si comprese però che si trattava di macchie sulla superficie del Sole, oppure non le si ritenne importanti. Anche Giovanni Keplero, il cui lavoro fu essenziale per lo sviluppo dell’astronomia in Europa, scorse una macchia nera nel 1607 quando, a Praga, riuscì a ottenere mediante proiezione un’immagine del Sole. La scambiò per il pianeta Mercurio in transito davanti alla nostra stella, e perse così l’opportunità di una nuova scoperta.
Con le osservazioni al telescopio, le macchie solari iniziarono a mostrare una serie di tratti coerenti che fornirono nuove informazioni sul Sole. Galileo era solito compiere fantastiche osservazioni usando tecniche di proiezione. Anziché osservarlo direttamente con il suo telescopio, egli lasciava che la luce solare si riversasse fuori dall’oculare, proiettando l’immagine del Sole su un pezzo di carta (un procedimento molto più sicuro di quanto non fosse proiettare l’immagine direttamente sulla retina!). Il metodo era stato ideato da uno dei suoi studenti, e consentiva di osservare il Sole addirittura a mezzogiorno, quando era nel punto più alto sull’orizzonte e il cielo aveva maggiori probabilità d’essere terso. Con questa tecnica era inoltre possibile individuare macchie più piccole rispetto a quelle osservabili guardando il Sole direttamente attraverso il telescopio.
I disegni di Galileo mostrarono che le macchie solari attraversavano il disco del Sole in maniera regolare da sinistra a destra. Inoltre, quando si trovavano al centro del Sole erano circolari, simili a piatti rotondi osservati direttamente dall’alto, mentre verso il bordo del Sole si restringevano, sempre simili a piatti rotondi osservati però di scorcio. Fu la prima prova inconfutabile del fatto che il Sole era una sfera, per di più in rotazione. Mostrò anche che le macchie solari erano una caratteristica della superficie solare e non oggetti interposti tra noi la nostra stella. Ma di che cosa si trattava?
Un estratto di Viaggio al centro del Sole. Storia e segreti della nostra stella di Lucie Green (il Saggiatore, 2018)