P er quasi tutti corrispondono all’etimo, lucertola terribile. Draghi modulati in varie forme, mostruosi tirannosauri o affabili brontosauri da fumetto. Per i paleontologi sono un gruppo definito e unico di vertebrati di cui un sottoinsieme sopravvive oggi: gli uccelli. Per gli artisti specializzati nel ricostruire i mondi del passato, sono una problematica e incessante fonte di ispirazione.
Cosa sono, davvero, i dinosauri? Potrebbe non esserci una risposta definitiva, ma abbiamo provato a venirne a capo con l’aiuto del paleontologo Andrea Cau, collaboratore del Museo paleontologico Capellini di Bologna, e curatore del blog Theropoda, e di due artisti, anzi paleoartisti. Davide Bonadonna, milanese, illustratore scientifico di professione, vincitore di numerosi premi, ha pubblicato ricostruzioni di dinosauri per Nature, Science e National Geographic, e Matt Martyniuk, insegnante del New Jersey, paleoartista acclamato nel tempo libero, specializzato in dinosauri “ornitologici”.
Pesante come una piuma
Per più di un secolo i dinosauri vennero considerati come un bizzarro “esperimento fallito” dell’evoluzione. Rettili e quindi necessariamente goffi e primitivi. Vetta artistica di questa visione è probabilmente l’immenso affresco a tempera L’Era dei Rettili di Rudolph F. Zallinger, a Yale, concluso nel 1947. Capolavoro nella storia dell’illustrazione scientifica, per il tentativo di riassumere 300 milioni di anni di evoluzione in un continuum pittorico, ma i dinosauri che rappresenta sembrano appena usciti dall’anestesia di un dentista: pesanti, statici, semi-incoscienti.
È tra 1960 e 1980 che la nostra idea di dinosauro cambia pelle. Negli anni ’60, il paleontologo John Ostrom e il suo studente Robert T. Bakker scoprono e descrivono un nuovo fossile del dinosauro predatore Deinonychus. Analizzandone con occhio critico i resti, capiscono che quell’animale non poteva essere un pigro, freddo lucertolone. La muscolatura che si agganciava a quelle ossa doveva essere in grado di scattare. Deinonychus era un animale attivo, e per essere così attivo doveva avere il sangue caldo. Bakker nel 1969 disegnerà un Deinonychus fino ad allora quasi impensabile: in corsa. È l’icona di una rivoluzione. Da torpidi coccodrilloni ad animali ad alto metabolismo: vivaci, veloci, intelligenti. Smettono di essere noiosi ed esplodono nell’immaginario collettivo tra i Settanta e i Novanta: giocattoli, documentari, musei, film.
Tra gli anni ’70 e ’90 i dinosauri passano da torpidi coccodrilloni ad animali vivaci, veloci, intelligenti. Smettono di essere noiosi ed esplodono nell’immaginario collettivo: giocattoli, documentari, musei, film.
Specialmente un sottogruppo, i teropodi – il gruppo che comprende il Deinonychus di Ostrom e Bakker, ma anche Tyrannosaurus, per capirci – assomigliava ad altri animali vivaci, veloci, dal comportamento complesso e assai familiari. Nel 1972 Bakker, che sarà il principale evangelista di questa visione, pubblica su Scientific American un articolo intitolato Il rinascimento dei dinosauri, il cui sottotitolo è “I dinosauri non erano rettili obsoleti ma un gruppo nuovo di animali a sangue caldo. E gli uccelli ne sono i discendenti”. Notare bene, “discendente”: implica che gli uccelli siano una rivoluzione successiva. Le ricostruzioni dei dinosauri post-rinascimento mostravano animali sì attivi e dinamici ma ancora platealmente rettiliani – i dinosauri che abbiamo conosciuto da bambini o ragazzi.
Nel 1996 l’idea di una gerarchia naturale, con i rettili indietro e gli uccelli moderni avanti, crolla sotto i fossili di Liaoning, in Cina. Uno di questi, Sinosauropteryx, è un piccolo Dinosauria teropode: un animale non dissimile da un Velociraptor per capirci. Non ha ali ma zampe anteriori, ha un muso allungato, denti, lunga coda. Il dettaglio del fossile però è tale da rivelare sottili, inequivocabili piume. Al punto che i ricercatori riescono a ricostruire il colore dell’animale: chiaro sul ventre e scuro sulla schiena (uno schema comune a molti animali odierni noto come countershading, che serve a mimetizzarsi), con la coda a strisce.
Salteranno fuori centinaia di dinosauri piumati cinesi, che distruggeranno tutta l’immagine passata della fauna del Mesozoico. Il colpo definitivo lo assesta nel 2016 il primo frammento di dinosauro rimasto inglobato nell’ambra. Il pezzo della coda di un piccolo coelurosauro, preservato in tre dimensioni in ogni dettaglio, come fosse defunto ieri. Non esiste nulla di simile, sulla Terra attuale: una coda lunga, sottile, come quella di una lucertola, ma fittamente avvolta da piccole piume. Certo, altri dinosauri probabilmente erano davvero nudi e squamati, almeno in parte. Ma non possiamo più affidarci al rassicurante prototipo del Godzilla. E non possiamo più guardare uno stormo di uccelli con gli stessi occhi.
“Dinosauria” e “dinosauri”
Parte della confusione che abbiamo sui dinosauri dipende anche da una questione terminologica. Dinosauro può voler dire due cose. Può indicare “Dinosauria”, il gruppo di animali scientificamente definito, o “dinosauri”, quelli che più vagamente intendiamo nell’immaginario quotidiano.
Per i paleontologi, Dinosauria è un clade di vertebrati, un insieme di specie con un progenitore comune. Se l’evoluzione è un albero, un clade è un suo ramo, con tutti i ramoscelli a esso collegati. Il ramo chiamato Dinosauria è definito oggi in vari modi, ma uno ancora attuale si rifà alla definizione originaria del paleontologo Richard Owen, che conia il termine nel 1842: il gruppo che include tutti i discendenti del più recente antenato comune di Megalosaurus e Iguanodon.
I Dinosauria dei paleontologi sono in parte diversi dai “dinosauri” a noi familiari. Una buona quantità di bestioni del passato, che chiameremmo e chiamiamo istintivamente dinosauri, scientificamente non lo sono affatto. Per esempio Dimetrodon certo sembra un “lucertolone terribile”, ma non è neanche lontanamente un Dinosauria: è una diramazione della linea evolutiva che porta ai primi mammiferi. Chiamarlo dinosauro è tanto corretto quanto dare del pollo a una talpa.
Stessa cosa per i vari “dinosauri marini” come plesiosauri, ittiosauri, pliosauri. I mosasauri, per esempio, sono veramente lucertole terribili: appartengono allo stesso ramo delle attuali lucertole – ma, a dispetto del nome, le vere lucertole e i Dinosauria non sono granché vicini fra loro. Viceversa, molti veri dinosauri non erano né grossi né tremendi: molti erano animali relativamente piccoli, come un tacchino o un piccione.
Dal primo vertebrato terrestre capace di deporre uova dal guscio solido, circa 300 milioni di anni fa, si è irradiata una sterminata varietà di forme, e molte di queste a occhio sembrano ‘rettili’ perché mantengono in vari gradi caratteristiche che oggi chiameremmo “rettiliane”: forma più o meno lucertoloide, pelle coperta di squame o scaglie. Ma “rettile” non è in realtà un gruppo compatto e separato di animali – a meno di chiamare rettili anche uccelli e mammiferi. Ciò che chiamiamo “dinosauro”, tra virgolette, non è quindi tanto un insieme definito di animali (a differenza dei Dinosauria), ma semmai un grado evolutivo, per dirla con Julian Huxley. Sono fronde disparate – a volte simili fra loro, a volte meno – di un albero di cui oggi vediamo solo i pochi rami sopravvissuti. Che ci appaiono quindi come gruppi nettamente distinti: uccelli, mammiferi, tartarughe, coccodrilli, lucertole, magari da incasellare in una gerarchia. Eppure non esiste alcuna gerarchia, né qualitativa né temporale. Ad esempio, come spiega Cau, la vera era dei “rettili” non è il Mesozoico, è adesso:
“Sebbene non si dica quasi mai, oggi esiste un numero di specie di squamati del tutto comparabile a quello di mammiferi. Difatti, gli squamati sono nel pieno del loro successo evolutivo, in larga parte avvenuto dopo l’estinzione dei dinosauri (non-uccelli): un retaggio della Scala Naturae settecentesca continua a dipingere il successo dei rettili esclusivamente nel Mesozoico, forse perché l’idea che oggi i rettili siano felicemente in espansione evolutiva contrasta con l’idea – del tutto falsa – che essi siano uno stadio primitivo dell’evoluzione dei vertebrati che fu ‘superato’ da uccelli e mammiferi.”
È come vedere poche isole che sorgono dall’acqua, lontane tra loro, che sono solo le cime di un continente sommerso. I Dinosauria sono solo una – sia pur vasta – catena montuosa di quel continente, di cui spunta oggi solo un’isola: gli uccelli.
Il Simurgh nel Mesozoico
Quando guardate un piccione, un pappagallo, un’aquila, un colibrì, state guardando dei dinosauri. Può sembrare una forzatura, ma non lo è. Per analogia, poniamo che domani cada un nuovo asteroide sulla Terra e annienti tutti i mammiferi, tranne i pipistrelli. Quei pipistrelli non sarebbero meno mammiferi, anche se un abitante del futuro remoto farebbe molta fatica, a occhio, a considerare i fossili di un elefante o di un gatto come loro parenti stretti. Il rapporto tra uccelli e dinosauri è lo stesso: sono l’unico fuscello sopravvissuto del ramo dei dinosauri (non sappiamo bene per quale motivo; probabilmente c’entra il fatto che fossero i dinosauri più piccoli), ma a parte questo non sono più o meno dinosauri degli altri fuscelli.
Matt Martyniuk ha pubblicato nel 2013 una Guida di riferimento agli uccelli del Mesozoico e altri dinosauri alati. È un manuale illustrato e strutturato nello stesso identico modo di una guida naturalistica per birdwatchers. Solo, quei naturalisti di 70 milioni di anni fa, fotograferebbero uccelli dotati di denti, con artigli sulle ali colorate. Molti degli animali nella guida di Martyniuk sono dinosauri che fino a pochi anni fa erano ritratti con squame e testa da varano: qui mostrano la loro reale, serena gloria pennuta. Il dipinto dove viene raffigurato Velociraptor, il killer verdastro di Jurassic Park, a un occhio distratto ritrae una sorta di grossa oca o avvoltoio: gli arti anteriori sono fitti non solo di piume ma di penne, la coda ritta all’insù decorata da un ventaglio. Solo gli artigli che emergono dagli arti anteriori e il muso dotato di denti tradiscono il fatto che stiamo guardando qualcosa di diverso da un uccello moderno.
Il peccato originale della scienza dei dinosauri è che tutti, non solo i profani, ma anche i paleontologi, sono indotti a ricondurre i dinosauri a qualcosa di familiare, ad animali del presente.
Ma anche il modello ornitologico potrebbe essere fuorviante, racconta Andrea Cau: “Il peccato originale della scienza dei dinosauri (e, in generale, di quelle parti della paleontologia che studiano gruppi completamente estinti, senza equivalenti diretti nel mondo attuale) è che tutti noi, non solo i profani, ma anche i paleontologi, siamo indotti a ricondurre i dinosauri a qualcosa di familiare, ad animali del presente. Ciò è inevitabile, ed in parte corretto, alla luce della teoria darwiniana che lega ogni forma di vita alle altre, ma può risultare una trappola dalla quale poi è difficile uscire. Questo bias incide, volenti o nolenti, su tutte le nostre rappresentazioni dei dinosauri. Che si usi un modello lacertiliano, mammaliano o aviano per immaginare un dinosauro, non si scappa da questa trappola: è sempre una forzatura.”
Secondo Matt Martyniuk:
“Abbiamo l’abitudine di riferirci al Mesozoico come all’era dei rettili. Penso che sia parte dell’inerzia culturale che rende così difficile per molti venire a patti con le nuove scoperte sui dinosauri che li mostrano molto più simili a uccelli che a rettili. Ma sono giunto alla conclusione che entrambe sono false analogie. Credo che il Mesozoico fosse un mondo di transizione. Oggi abbiamo una linea chiara di demarcazione tra uccelli e rettili. Ma è importante comprendere che, se i dinosauri non erano gigantesche lucertole, non erano neanche uccelli giganti. Condividevano caratteristiche di entrambi, in varie combinazioni, e molti avevano caratteristiche uniche che non sono condivise da nessun gruppo moderno di animali.”
Dobbiamo strapparci dalla sirena delle nostre troppo umane mitologie, che siano draghi squamati, o Roc piumati. C’era un mondo, anzi numerosi mondi, a noi estranei. Spiega ancora Cau:
“In generale, sia per i dinosauri che per il loro mondo, è impossibile farsi una ‘immagine generale’. L’età dei dinosauri spazia per oltre 160 milioni di anni, una quantità di tempo due volte e mezzo l’intera età dei grandi mammiferi: durante questo intervallo di tempo, il pianeta è cambiato moltissimo, sia come geografia, condizioni climatiche, condizioni atmosferiche e biologiche. Quindi, non esiste ‘il mondo dei dinosauri’, inteso come quel diorama monolitico che spesso vediamo nelle immagini divulgative, ma sono esistiti moltissimi diversi intervalli di tempo e un ancor più grande numero di contesti ambientali. Moltissime faune si sono susseguite. Molti gruppi di dinosauri a noi familiari non si sono mai incontrati, e gli stessi gruppi hanno cambiato caratteristiche durante la loro evoluzione. Se potessimo visitare un qualche momento del Mesozoico, sospetto che saremmo colti da una strana sensazione di alienazione, immersi in un mondo che è identico al nostro a livello generale (la luna, il sole, la forza di gravità, le nuvole, la pioggia, i fiumi, gli alberi, le montagne, ecc…), ma totalmente differente ed imprevedibile per ogni singolo dettaglio biologico e climatico.”
Fuga dal Chicken Park
L’idea che i dinosauri e gli uccelli fossero parte di un continuo era stata già proposta da Thomas Henry Huxley nel 1868. In qualche modo il sospetto si era insinuato lungo i decenni. Eppure, anche ora che è assodato, la cultura pop continua a opporvi resistenza. Al cinema o nei videogiochi, dragoni erano e dragoni devono rimanere. Quando poche settimane fa una piccola impronta di pelle di tirannosauro non ha rivelato penne o piume, ma (forse) squame, molti hanno festeggiato: i dinosauri erano tornati i vecchi, cari mostri primordiali. Ignorando il fatto che una minuscola parte dotata di squame non significa che l’animale fosse tutto glabro (anche le zampe di un pollo o il collo di un tacchino non hanno piume), e ignorando il fatto che altri tirannosauroidi fossero incontrovertibilmente piumati. Andrea Cau ha scritto a riguardo: “questi fossili di Tyrannosauridae non sono prove di assenza di piumaggio, bensì prove della potenza dei nostri pregiudizi iconografici.”
I dinosauri sono diventati popolari perché erano mostri enormi, primordiali. I dinosauri erano più simili a uccelli che a rettili, ma gli esseri umani semplicemente fanno fatica a vedere gli uccelli come minacciosi.
Può essere semplicemente difficile sradicare un’immagine così saldamente conficcata nel nostro immaginario. Secondo Matt Martyniuk, abbiamo forse bisogno di una familiare mostruosità:
“I dinosauri sono diventati popolari perché erano mostri enormi, primordiali. C’è qualcosa dentro di noi, io credo, che riconosce istintivamente le fattezze di un rettile come spaventose. I rettili sono lenti, freddi e apparentemente spietati perché sono alieni rispetto ai mammiferi. Il rinascimento dei dinosauri degli anni Settanta ha introdotto rettili spietati e veloci, il che li rese ancora più paurosi. Fu un po’ come passare dagli zombie lenti di Romero agli zombie veloci di 28 giorni dopo o di The Walking Dead. Saltò fuori una generazione di fan di monster movie che erano anche interessati di sfuggita alla scienza, in quanto era la scienza a dire che questi mostri erano reali. Ma tutti hanno dimenticato che la scienza si basa su ipotesi, e le ipotesi possono sbagliare. I dinosauri erano più simili a uccelli che a rettili, e gli esseri umani semplicemente fanno fatica a vedere gli uccelli come minacciosi. Li percepiamo come belli, buffi, tonti, perfino nobili, ma quasi mai mostruosi. Credo che le persone, semplicemente, amassero i dinosauri in quanto mostri. La scienza gli ha fatto perdere questo carattere mostruoso. Ma alla gente piacciono i mostri, i mostri vendono, e quindi continuiamo a vedere dinosauri ‘fuori moda’ nei film.”
A Jurassic Park tocca sostituire Chicken Park di Jerry Calà e rassegnarci? O dobbiamo familiarizzare con una nuova immagine non meno interessante? I nostri figli del resto possono già giocare con dinosauri realistici. La colpa non è dei poveri dinosauri, come sottolinea Davide Bonadonna: “Il dinosauro piumato perde di fascino. Se tu prendi quello che nella mente di tutti è un drago e gli metti le piume, gli fai perdere la sua qualità. Può essere l’uccello più terribile che ci sia, ma comunque è un uccello. Alla fine però è una questione di abitudine. Fatto con criterio, il Velociraptor pennuto resterebbe tanto cattivo, avvincente e hollywoodiano quanto quello classico. Ma ci vuole del tempo.”
Tutti i giorni passati
Per superare un baratro di settanta milioni di anni, noi mortali dobbiamo aggrapparci a qualcosa che possiamo vedere. Dal 1830, quando il geologo Henry De la Beche dipinse per primo uno scenario mesozoico nell’acquarello Duria Antiquior, la paleontologia viene tradotta in un mondo intellegibile, a tutti, tramite l’arte: la paleoarte, la ricostruzione artistica dei viventi e degli scenari del passato remoto. Che oggi deve aggiornarsi incessantemente di fronte alle nuove scoperte, come racconta Davide Bonadonna:
“Negli ultimi anni gli artisti danno una grande attenzione al dato paleontologico e un passo indietro nella libertà artistica, nel senso che non si può più prescindere dal rigore scientifico pena la stroncatura. I committenti vogliono le cose più aggiornate e corrette possibili, anche se magari a volte ripiegano su cose datate per motivi economici. L’importante, per il professionista, ed è anche un vanto, è quello dell’attendibilità scientifica. C’è un grande desiderio di restare aggiornati e seguire le nuove pubblicazioni. Dal punto di vista stilistico negli ultimi anni ci si è poi buttati molto sull’iperrealistico-fotografico, a partire da Julius Csotonyi che è il capostipite di questa scuola, anche se non tutti i lavori dei suoi seguaci sono allo stesso livello.”
Secondo Matt Martyniuk, internet ha poi facilitato immensamente la comunicazione tra artisti e scienziati: “Oggi, pochi minuti dopo una nuova scoperta alcuni hanno già postato degli sketch su Facebook e lavorano alle implicazioni della ricerca con altri colleghi artisti, appassionati e professionisti. Senza Internet queste informazioni potrebbero metterci anni a filtrare agli artisti, e la paleoarte può correggersi molto più rapidamente”.
Paradossalmente, proprio da questa fame di precisione è nata una delle rivoluzioni più visionarie e controverse della paleoarte. Paleoartisti e paleontologi si sono resi conto nel tempo che le ricostruzioni classiche dei dinosauri erano spesso fondamentalmente pelle e muscoli paludati su delle ossa. Ma gli animali reali non sono così: hanno grasso, rigonfiamenti, tessuti molli di vario genere. Anche una normale pelliccia può dare un aspetto molto diverso a un animale (pensate a com’è un gatto peloso rispetto a uno senza pelo). Perché questa distorsione? Le ossa sono quasi sempre tutto quello che abbiamo; dedurre come si attaccano i muscoli a queste ossa è relativamente semplice, mentre prevedere la distribuzione del grasso e altri tessuti molli è estremamente difficile. Bisogna immaginare, purché nell’alveo del biologicamente plausibile.
E in quel momento scatta la molla: se dobbiamo immaginare, perché limitarsi a rimpolpare tessuti? Ad esempio, perché rappresentare i dinosauri solo in monotoni scenari alla “documentario nella savana”, dove tutto quello che fanno è cacciare e accudire piccoli? Nel 2012 esce così All Yesterdays: Unique and Speculative Views of Dinosaurs and Other Prehistoric Animals, un volume di paleoarte curato dal paleontologo Darren Naish e illustrato dagli artisti C.M.Kosemen e John Conway.
In All Yesterdays si trovano tirannosauri che dormono quieti circondati dalle lucciole, Protoceratops che scalano alberi come le capre attuali, sauropodi che si rilassano rotolando nel fango. Ma più sorprendenti sono le ricostruzioni di Leaellynasaura e di Therizinosaurus. Il primo, un dinosauro bipede dell’Antartide, è rappresentato come si confà a un qualcosa che vivesse in un clima freddo: un morbido batuffolone di grasso e vello candido, che balzella nella neve, con la lunghissima coda in alto usata come segnale per riconoscersi. Il secondo, forse il gioiello del libro, sembra uscito dalla fantascienza, tanto ci è estraneo: ieratico, inclassificabile e allo stesso modo del tutto naturale. Una interpretazione, ma che coglie il punto. Therizinosaurus, come gli altri dinosauri, non era un dragone, e non era neanche un uccello dentato. Era solo sé stesso.
Secondo Bonadonna, quella di All Yesterdays è stata una strada molto interessante ma anche molto rischiosa: “Sono stati ammirevoli nel cercar di spezzare certi legami col passato. Finora siamo stati molto legati agli illustratori americani – anche se ci sono realtà come la paleoarte giapponese che ignora questo tipo di canoni, restando estremamente attendibile scientificamente. Gli inglesi con All Yesterdays hanno cercato di crearsi una nicchia con molta creatività e partendo da una idea assai intelligente. Purtroppo il messaggio è stato recepito male da alcuni, interpretandolo come un ‘tutto è permesso’ privo di senso.”
D’accordo su questo anche Andrea Cau:
“Il concetto originale era sicuramente innovativo, l’idea che non ci siano vincoli alla licenza (paleo)artistica nella misura in cui non va a contraddire conoscenze scientifiche consolidate. Tuttavia, anche questo approccio ha dei problemi: da un lato, sta sdoganando rappresentazioni al limite del fantastico, che possono dare l’idea che la paleontologia sia più fantasia e speculazione che scienza ed analisi; dall’altro si sta creando, per l’appunto, un nuovo manierismo che ripete e perpetua in modo acritico questa nuova tendenza.”
Incidenti a parte, la lezione è rimasta. Ancora più iconoclasta, la seconda parte di All Yesterdays smonta con ironia ogni pretesa di oggettività della paleoarte, mostrando cosa accadrebbe se ricostruissimo gli animali odierni come ricostruiamo quelli estinti. Ne emerge un mondo grottesco di cigni nudi che infilzano girini con gli arti anteriori, mucche simili ad agili antilopi, gatti col volto squamoso, e così via. Eppure, se non conoscessimo quegli animali, non avremmo modo di ritenerle ricostruzioni inaffidabili. Come sottolinea Cau: “Credo che il paleontologo debba sempre essere consapevole che qualsiasi rappresentazione paleontologica egli propone, per quanto fondata scientificamente, è e sarà sempre figlia del contesto storico-culturale nella quale è stata realizzata. L’immagine puramente scientifica di un dinosauro è un’illusione: tutte le ricostruzioni sono contaminate da influssi extrascientifici”.
Il grande valore della paleoarte è quello di portare un’ipotesi alla luce, di comunicare visivamente le implicazioni di una idea.
Per questo, i paleontologi a volte rinunciano a ricostruire. Tutto ciò di cui si può parlare è il fossile, e del resto si deve (scientificamente) tacere – almeno finché il fossile non è compreso a fondo. Un approccio che ricorda lo shut up and calculate di una certa scuola di fisici, per cui è inutile perdersi nelle interpretazioni filosofiche della teoria quantistica: è un modello per fare previsioni numeriche, lo fa bene e tanto basta. Del resto bisogna fare attenzione: un dinosauro non è la sua rappresentazione. O, come scriveva lo stesso Cau qualche anno fa: “Il concetto paleontologico di Tyrannosaurus rex non è rappresentabile paleoartisticamente. (…) Il concetto paleontologico di Tyrannosaurus rex è un concetto: un insieme molto ampio di simboli, modelli e astrazioni generate da resti fossili.”
Tra scienza e arte
Noi, che non siamo paleontologi, vogliamo qualcosa di diverso dei concetti. Vogliamo ricostruire per gli occhi un reale mai vissuto e quindi così vicino al fantastico. Ma non esiste “la” ricostruzione: esiste un caleidoscopio di ipotesi, sia pure all’interno dei recinti dell’evidenza scientifica. Secondo Matt Martyniuk, allora, il grande valore della paleoarte è proprio quello di portare un’ipotesi alla luce, di comunicare visivamente le implicazioni di una idea:
“Credo che sempre più paleoartisti vogliano assumersi dei rischi, in particolare il rischio di fare arte che può diventare datata o inaccurata. La paleoarte era ossessionata con l’accuratezza. Molti artisti, incluso me stesso, andavano a modificare vecchi lavori ogni volta che veniva pubblicato qualcosa di nuovo. Ho visto numerosi capolavori di paleoarte rovinati in questo modo! Gli artisti per fortuna ora stanno accettando che l’arte è solo l’illustrazione di una ipotesi, e che non sapremo mai, con rarissime eccezioni, come davvero erano questi animali in vita.”
In fondo è giusto che i dinosauri siano anche protagonisti hollywoodiani o pupazzi per intrattenere i bambini. Abitanti passati e presenti della Terra, gli dobbiamo comunque dignità nella nostra cultura adulta, come simbolo della nostra fragilità nel voler individuare certezze che non esistono, sia pure nella più dettagliata conoscenza scientifica. Come dobbiamo pensare al mondo dei dinosauri, allora? A un certo punto, forse, non importa, conclude Andrea Cau. Basta sapere cosa si sta facendo:
“Se un film mostra i dinosauri come mostri, io sorrido, perché sono consapevole che in quel contesto il dinosauro è un simbolo, non è una rappresentazione scientifica di una ipotesi paleontologica basata su resti fossili. Fin dalla loro scoperta nel 1820, i dinosauri sono stati anche icone, trasfigurazioni antropomorfiche e simboli, non solo oggetti di studio scientifico. Pertanto, ben venga qualsiasi emanazione culturale della paleontologia dei dinosauri, ma a patto di rispettare ognuno le proprie sfere di competenza e i diversi linguaggi. Non sempre tutti gli attori in gioco paiono in grado di fare queste necessarie distinzioni, ma un film non è un trattato scientifico, così come un testo divulgativo non dovrebbe essere ridotto a un cartone animato.”