“H
ai l’allele APOE-ε3 e APOE-ε4. Questo raddoppia il rischio di sviluppare l’Alzheimer”.
È il primo risultato che leggo nell’analisi del mio genoma.
“Ti pareva, proprio come mia nonna” penso.
Ma poi l’autocommiserazione mi passa subito e decido di cercare risposte razionali alle domande: mi verrà l’Alzheimer? Posso fare qualcosa per evitarlo? Ha senso farmi venire l’ansia (non che sia del tutto controllabile evitare di farsi venire l’ansia) e, soprattutto, sarebbe stato meglio non sapere?
Tutto comincia qualche settimana prima, quando ordino il kit per analizzare il mio DNA sul sito di una delle più note aziende biotecnologiche a offrire questo servizio, 23andMe. Dopo pochi giorni mi arriva una confezione poco più sottile di quella dell’iPhone 6, altrettanto curata nella confezione e colorata. 99 dollari più il costo della spedizione andata e ritorno (ora costa 149 dollari, e a ogni kit in più ti fanno lo sconto del 20%).
Registro il codice a barre che mi hanno assegnato e uso la provetta trasparente per raccogliere un campione della mia saliva. Da lì sarà stato estratto il mio genoma, proprio come fa la polizia scientifica e come vediamo nei film polizieschi e in CSI. Chiudo la provetta, la risistemo nella scatola, la infilo nella busta con l’indirizzo prestampato e la spedisco negli Stati Uniti. Devo aspettare che il laboratorio lo analizzi. Mi avvertiranno per email e potrò trovare la mappa di tutti i miei geni e dei miei cromosomi sul sito. Una prima email mi avvisa che il mio campione è arrivato a destinazione. Dopo un paio di settimane sono pronti i risultati.
Posso navigare nei miei 46 cromosomi e nelle migliaia di geni e nei milioni di lettere di DNA (A, C, G, T) come farei con Google Maps per cercare un indirizzo. Il problema è che i dati sono nudi, cioè senza un’interpretazione predittiva. È come se dovessi cercare una casa in una via che non conosco e in una città ignota. Al buio. Sono infiniti numeri e lettere, è difficile capirci qualcosa. Si può trovare la singola mutazione se si conosce già cosa si sta cercando: per esempio le mutazioni nei geni brca1 e brca2, che codificano due proteine di suscettibilità al cancro del seno. La presenza del brca1 difettoso è ciò che ha spinto Angelina Jolie a sottoporsi a una doppia mastectomia: anche se la sua storia familiare è stata determinante, avendo una madre e una sorella morte di cancro al seno – penso a mia nonna, dalla quale ho ereditato due dita lievemente attaccate come le papere e chissà cos’altro. Per ottenere un’analisi predittiva basta pagare pochi dollari un servizio che si chiama Promethease (o un altro analogo). In pochi minuti e dopo aver letto e capito alcune clausole – tra cui il consiglio di parlare con un medico o un genetista prima di prendere decisioni in base ai risultati – ecco la lettura del mio genoma.
Essere malati di rischio può far venire molta ansia, pur in assenza di sintomi e, addirittura, di malattia.
Nel report ci sono le brutte notizie, quelle buone e i tratti neutrali come l’altezza o la forma del naso. Sono attratta quasi esclusivamente dalle prime. Nell’attesa ho ripassato le cose importanti da ricordare.
Sono molto rare le patologie determinate da un gene, come la Corea di Huntington o la distrofia di Duchenne, mentre tutte le altre sono determinate da molti geni e dalla complessa interazione con l’ambiente e lo stile di vita. Escluse le prime, quello che posso trovare è un rischio, valutato statisticamente (e a volte contraddittoriamente) e su modelli matematici che possono indicarmi una percentuale di probabilità, somigliando così più a una previsione meteorologica per i prossimi decenni che a un vaticinio.
Nessun destino, nessun futuro già segnato, nessuna diagnosi. È come se avessimo su un tavolo alcuni ingredienti, usando i quali può venir fuori una madeleine, una torta salata o indefiniti altri manicaretti – oppure una schifezza immangiabile.
Un’eventuale predisposizione non deve farmi preoccupare. Non mi verrà l’Alzheimer, o meglio potrebbe anche venirmi ma oggi non posso saperlo. C’è un altro aspetto complicato: per la maggior parte delle patologie per cui potrei scoprire una predisposizione non esiste una cura, quindi che vantaggio avrebbe la conoscenza (ma a questo avrei dovuto pensarci prima di comprare il kit)? Nemmeno per le altre: per la Corea, per esempio, il dilemma tra sapere e non sapere è atroce, perché se abbiamo quel gene svilupperemo sicuramente la malattia. Per il resto, come ho detto, il futuro è molto più incerto. Potremmo essere incapaci anche di sopportare il rischio?
Essere malati di rischio può far venire molta ansia, pur in assenza di sintomi e, addirittura, di malattia. L’ipocondriaco genomico potrebbe essere una versione tecnologicamente avanzata o, peggio, potrebbe facilmente trasformare la predisposizione in sicura condanna e il dubbio in ossessione. E il rischio di sovradiagnosi potrebbe trasformarci tutti in una versione genomica di Boris Yellnikoff: “sto morendo, sono i miei geni a dirmelo!”.
Se non fosse già abbastanza complicato, i dati sono continuamente aggiornati perché la genomica è un dominio in evoluzione. Magari potrei scoprire buone notizie la prossima settimana sull’Alzheimer e i miei alleli mutati.
Infine, l’analisi dei nostri dati genetici può riservarci alcune sorprese che non hanno nulla a che vedere con predisposizioni o possibili malattie. Analizzando il mio genoma potrei scoprire di avere un fratello e disegnare un albero familiare esteso, procedendo a ritroso e in tutto il mondo (ovviamente i miei parenti più o meno vicini dovrebbero aver fatto il test). Se pensate di regalarlo a tutta la famiglia, però, pensateci bene. Io non ho dato il consenso alla condivisione dei miei dati sul sito 23andMe. Non sono ancora pronta a scoprire nuovi parenti.