L’ ha davvero detto Feynman?” È la domanda che si è posto David Mermin, eminente fisico teorico, in un articolo pubblicato nel 2004 su Physics Today, quando ha scoperto che il motto che lui ricordava di aver coniato qualche anno prima, Shut up and calculate! (Zitto e calcola!), veniva invece quasi sempre attribuito a Richard Feynman, ben più celebre collega e premio Nobel per la fisica nel 1965. Mermin, davanti al mito, tentenna: ma non è che quel modo di dire l’ho sul serio ascoltato da Feynman e non me ne ricordo?
“A chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”, recita la parabola dei talenti narrata nel Vangelo secondo Matteo (25,14-30). Versi che hanno ispirato Robert K. Merton, padre della sociologia della scienza – e coniatore a sua volta di aforismi e frasi celebri –, a esplorare le forme in cui si esprimono le disuguaglianze nella scienza. Ne è nato così “l’effetto Matteo”: gli scienziati eminenti ricevono credito e godono di privilegi più di quanto in realtà gli spetti, a discapito degli scienziati meno noti. Così può capitare, per esempio, che abbiano una maggiore facilità nel pubblicare o nell’ottenere incarichi prestigiosi o che vengano accreditati loro, e solo loro, di scoperte che invece son frutto della collaborazione con scienziati non altrettanto – o non ancora – eminenti.
Vale anche per le citazioni, di qualunque tipo. Le icone più venerate, è ben noto, si son da sempre guadagnate il privilegio di vedersi attribuire la paternità di frasi che non han mai scritto o pronunciato e che sono invece figlie di autori meno noti e iconici, ed è quello che potrebbe aver subito Mermin perché, per quanto noto sia nell’ambiente (c’è persino un teorema che porta anche il suo nome), nulla è paragonabile alla fama e alle vicende leggendarie di uno degli scienziati più famosi di sempre. “Caro lettore,” conclude Mermin nel suo articolo, “se hai le prove che Feynman ha davvero detto stai zitto e calcola, per favore mandamele. Non sarò felice di riceverle. Preferirei essere una vittima di Matteo piuttosto che l’autore di un plagio. Ma vorrei sapere la verità”.
Tra citazione e falso autore “la relazione è simbiotica”, ha sottolineato Garson O’Toole, Sherlock Holmes delle citazioni apocrife, nel suo Hemingway Didn’t Say That: The Truth Behind Familiar Quotations (Little A, New York, 2017) ed è una cosa che rafforza la popolarità di entrambi.
Richard Feynman è citato meno a sproposito di altri grandi fisici, come Einstein; ma alcuni errori di attribuzione sono notevoli, e nessuno ne ha mai indagato la storia.
Garson O’Toole, pseudonimo utilizzato da Gregory F. Sullivan, già ricercatore al Dipartimento di Computer Science della Johns Hopkins University, è noto per il suo enorme lavoro investigativo ospitato sul sito Quote investigator. Lì è possibile scoprire l’origine e le modalità di diffusione di migliaia di citazioni apocrife, malamente attribuite a Mark Twain o Albert Einstein, Voltaire, Churchill ma anche a Jorge Luis Borges, Jim Morrison, Gandhi e molte altre “celebrità”. Feynman è citato di striscio in soli tre post eppure alcune frasi che gli vengono attribuite, ma di cui non s’è mai trovato il vero responsabile, da molto tempo viaggiano sul web o sono impresse su carta, inspiegabilmente propagandate da chi non ti aspetti, intellettuali e colleghi del nostro che evidentemente nessuno ha mai avvisato dell’errore.
Anche a Feynman, come ad Einstein, è stato dedicato un libro che ne raccoglie le frasi più o meno celebri, isolate dal contesto e utili per far bella figura con gli amici, sui social o quando si parla in pubblico. The quotable Feynman, curato dalla figlia Michelle (in italiano è Le battute memorabili di Feynman, Adelphi, 2017), al contrario di quello dedicato al fisico tedesco (The ultimate Quotable Einstein di Alice Calaprice, Princeton Univ Press, 2013), non ha però una sezione dedicata a smontare le “battute” non certificate. Einstein è probabilmente lo scienziato più malamente citato al mondo e rimettere a posto le cose era una necessità che, nel caso di Feynman, citato a sproposito solo in pochi casi, non è sembrata tale. Visto che però questi rari spropositi son memorabili a loro volta e nessuno ne ha mai indagato la storia, ho provato a colmare questa lacuna.
Ornitologia e filosofia della scienza
Nella sua recensione dedicata al volume che raccoglie le citazioni “ufficiali” di Feynman, pubblicata sul supplemento culturale del Sole 24 Ore domenica 6 febbraio 2017, Armando Massarenti ha scritto (in rete ne rimane traccia solo su Twitter):
Ne mancano alcune di veramente memorabili
[di battute, ndr], come quella secondo cui “La filosofia della scienza è utile agli scienziati più o meno quanto l’ornitologia lo è agli uccelli”.
Ma se nel libro quella frase non c’è, è probabile che Feynman non l’abbia mai scritta, forse neanche mai pronunciata. Massarenti è in buona compagnia, altrimenti non ci sarebbe cascato. Brian Cox, per esempio, fisico e divulgatore inglese che aspira a trasformarsi a sua volta in un’icona pop, la riporta a ogni piè sospinto. L’infortunio è occorso persino ad Alan Sokal, fisico della New York University, celebre autore di un articolo pseudo-filosofico e privo di senso (La trasgressione dei confini: verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica, pubblicato nel 1996 sulla rivista sociologica Social Text) scritto per prendere in giro gli esponenti di certe correnti filosofiche che utilizzavano in maniera del tutto impropria il lessico e il metodo della scienza. Sokal, autore con Jean Bricmont di Imposture intellettuali. Quale dev’essere il rapporto tra filosofia e scienza? (Garzanti, 1999), in un’intervista concessa a Julian Baggini nel 2009 (ripubblicata di recente su The Philosophy Press) affermava:
Tornando (…) al fatto che la filosofia fa bene a se stessa e non è necessariamente destinata ad aiutare gli scienziati, devi conoscere la famosa citazione di Feynman che dice “la filosofia della scienza è utile agli scienziati quanto l’ornitologia lo è agli uccelli”. La maggior parte della gente la legge come denigrazione della filosofia della scienza, ma io non la vedo affatto così. (…) Mi piace quella citazione di Feynman proprio perché non è, a mio avviso, critica nei confronti dei filosofi della scienza. Sta dicendo che la filosofia della scienza è qualcosa di diverso.
Potreste fidarvi di Cox e Sokal e prenderla per buona, è una frase efficace dopotutto, ma, parafrasando il Feynman di The character of physical law, non importa quanto sia bella, non importa quanto geniale sia chi l’ha citata, né chi egli sia, se non ci sono fonti non può essere attribuita. Eppure circola. Chi è il colpevole? In buona parte, ritengo sia Steven Weinberg, altro premio Nobel per la fisica (nel 1979, con Abdus Salam e Sheldon Glashow per il suo contributo alla costruzione del modello standard delle particelle elementari), uno che, per capirci, titola ‘Against Philosophy’ il capitolo di un suo libro, Dreams of a Final Theory, e che in un discorso tenuto all’Università di Cambridge nel 1987, in occasione della Celebrazione del terzo centenario dei Principia di Newton (poi pubblicato su Nature), esordisce così:
Il mio intervento di questo pomeriggio riguarderà la filosofia della scienza piuttosto che la scienza stessa. Questa cosa è, in qualche modo, per me insolita e, suppongo, lo sia in generale per uno scienziato nel pieno delle sue attività. Ho letto l’osservazione (anche se ho dimenticato la fonte) che la filosofia della scienza è tanto utile agli scienziati quanto l’ornitologia agli uccelli.
L’avesse scritta davvero Feynman quella frase lì, Weinberg avrebbe davvero potuto dimenticarne la fonte? Non solo all’epoca Feynman è ovviamente ben noto a Weinberg ma lo è anche al grande pubblico, reduce com’è dalla sua battaglia – che sui media ha avuto grande clamore – contro William Rogers, presidente della commissione d’inchiesta istituita da Ronald Reagan per accertare le cause dell’esplosione dello Space Shuttle Challenger avvenuta l’anno prima nei cieli della Florida. È inverosimile, dunque, che la fonte sia Feynman, e prima del 1987 di quella frase lì non se ne trova traccia. Dopo sì ma solo a partire dal 1998, anno di pubblicazione di due libri: Causality and Explanation di Wesley C. Salmon in cui è citato l’intervento di Weinberg ma mai, in quel contesto, Feynman e A House Built on Sand: Exposing Postmodernist Myths About Science a cura di Noretta Koertge. Qua si trova:
Il famoso detto di Richard Feynam (forse apocrifo) che la filosofia della scienza è tanto utile agli scienziati quanto l’ornitologia agli uccelli è stato citato e ricitato da Steven Weinberg.
Il problema, in questo caso, è che Weinberg quella frase lì non l’ha attribuita a nessuno, non ricorda, così scrive. Dove può averla letta o sentita? Nell’Agosto del 1952 Barnett Newman, celebre pittore e scultore statunitense, aveva partecipato in qualità di relatore alla Woodstock Art Conference a Woodstock, New York. Lì, discutendo con Susanne Langer, filosofa, aveva attaccato i professionisti dell’estetica, affermando:
Sento che anche se l’estetica si è affermata come scienza, come artista non mi influenza. Mi sono occupato un po’ di ornitologia; Non ho mai incontrato un ornitologo che pensasse che l’ornitologia fosse utile per gli uccelli.
Capite bene che da qui a “L’estetica è utile all’artista come l’ornitologia lo è agli uccelli” il passo è breve. La battuta diventa subito famosa e viene riciclata nei contesti più vari come ad esempio in un volume del 1955 della Association of American Medical Colleges in cui diventa, in maniera poco intelligibile per i profani di questioni mediche:
L’istruzione sanitaria sta agli studenti di medicina come l’ornitologia agli uccelli.
Molti anni dopo, da Albert Edward Elsen in Law, ethics, and the visual arts: cases and materials (1979):
Per parafrasare il detto del famoso pittore americano, Barnett Newman, la critica sta alla fotografia come l’ornitologia agli uccelli
E ancora, da Charles Rosen in The Frontiers of Meaning: Three Informal Lectures on Music (1994):
Per parafrasare un’osservazione famosa di Barnett Newman, la musicologia è per i musicisti ciò che l’ornitologia è per gli uccelli.
Che anche Weinberg avesse in mente Newman è probabile ma non è facile da dimostrare. Può averla parafrasata anche Feynman, a un certo punto? Sì, come chiunque altro del settore, per esempio Murray Gell-Mann, un altro divulgatore di termini curiosi (quark, per dirne uno) e produttore di battute memorabili, perché no? Resta il fatto che a partire da metà degli anni Novanta del secolo passato, dopo la pubblicazione di alcuni volumi che raccolgono i suoi interventi e saggi “popolari”, la stella di Feynman esplode nel firmamento delle celebrità ed è lì pronta a farsi accreditare qualunque citazione bizzarra colleghi la fisica a qualunque cosa. Il sesso, per esempio.
Fisica e sesso
Circola parecchio in rete quest’altra citazione di Feynman:
La fisica è come il sesso: certo, può dare qualche risultato concreto, ma non è per questo che la facciamo.
È presente, ahimé, già dall’inizio di questo millennio, anche nella pagina dedicata a Feynman del MacTutor History of Mathematics archive, l’autorevole sito dell’Università di St. Andrews (Scozia) che ospita le biografie di circa 2300 matematici. Ebbene, anche questa frase Feynman non l’ha mai scritta da nessuna parte e non c’è in nessuna registrazione o trascrizione dei suoi discorsi. Una nota riportata nella pagina delle citazioni di Feynman su Wikiquote puntualizza bene la questione: “Questa frase non sembra provenire da nessuno dei suoi libri o essere citata in nessuna biografia”. Una ricerca su Google Books mostra che il libro più vecchio che cita “la fisica è come il sesso” è Scary Monsters and Bright Ideas (2000) del giornalista scientifico Robyn Williams. A pag. 44, in questo libro si legge:
Einstein disse: “Non capisci davvero qualcosa se non riesci a spiegarlo a tua nonna”. Richard Feynman ha aggiunto: “La fisica è come il sesso: certo, può dare alcuni risultati pratici, ma non è per questo che la facciamo”
.
“Dato che Einstein non ha mai detto la prima frase, è probabile che Feynman non abbia mai detto la seconda”, conclude la nota. Il ragionamento non fa una piega ma bisogna scavare ancora un po’. Da dove è spuntata fuori? E per quale ragione? A dire una cosa assai simile, si può scoprire senza troppo sforzo, fu il maestro di Feynman a Princeton, John Archibald Wheeler, fisico teorico audace e fantasioso. A lui si deve la diffusione del termine “buco nero” e fu lui a battezzare wormhole i cunicoli scavati nella geometria dello spazio-tempo, le ipotetiche vie per accedere in maniera pressoché immediata a un altro universo – ammesso che esista – o a regioni distanti dello stesso universo. Indimenticabile è pure lo slogan It from bit, coniato per indicare il fatto che il bit, l’unità elementare dell’informazione, è anche il mattone con cui è costruito il nostro universo.
Wheeler dunque, coniatore professionista, viene intervistato il 5 Aprile 1967 da Gloria Lubkin, editor di Physics Today e Charles Weiner, storico della scienza e, all’epoca, direttore del Center for the History of Physics dell’American Institute of Physics. I temi affrontati sono parecchi, senza escludere la terminologia che tanto gli interessa (la parte più divertente peraltro). A un certo punto Weiner chiede lumi sulla fissione nucleare e Wheeler, che di questa faccenda come di altre è un vero esperto, risponde:
È molto interessante, a questo proposito, che la sopravvivenza delle specie dipende per alcuni aspetti dalla fissione nucleare, per altri dal sesso, e le persone sono parimenti riluttanti a parlare di entrambe le cose.
Frase che ben si presta ad essere rielaborata (e distorta) per farla diventare proverbiale. A questo ci pensa Alvin Martin Weinberg, fisico e direttore, dal 1955, degli Oak Ridge National Laboratory nel Tennessee. Lo fa in un articolo del 1973, dove scrive:
In poche parole, la fisica nucleare è diventata una grande impresa a causa della sua relazione con l’energia nucleare. Mi viene in mente a tal riguardo l’osservazione di John Wheeler sull’importanza della fissione. Parlando con un folto gruppo di fisici nucleari diversi anni fa, quando le discussioni pubbliche sia sul sesso che sulla fissione non erano viste di buon occhio, aveva detto: “La fissione è come il sesso. Di solito non se ne discute tra persone perbene; ma ognuno di noi sa, nel suo cuore, che non saremmo qui se non fosse per quello”.
Cosa che ribadisce nell’ottobre 1985, a Washington, alle audizioni della task force sulla politica scientifica del comitato sulla scienza e la tecnologia della camera dei rappresentati degli Stati Uniti.
Insomma, pare proprio che Wheeler quella frase lì se la sia portata in giro per riunioni e congressi e che Alvin Weinberg e altri ne siano rimasti colpiti. Poi, col tempo, al pari di molte altre frasi celebri di fisici celebri, sia finita, storpiata, adattata, reinventata, tra le frasi attribuite a un fisico ancora più celebre. Ma come l’ornitologia sta agli uccelli al pari dell’estetica all’artista, della musicologia ai musicisti e della filosofia della scienza alla scienza, così tante altre cose, e non solo la fisica nucleare, possono essere come il sesso, per esempio la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), per rimanere nei dintorni. Lo ha affermato quasi quaranta anni fa niente “l’illustre radiologo” R. H. Epstein dell’Università di Dallas:
La Risonanza Magnetica Nucleare è come il sesso: la prima volta che ne senti parlare, non ci puoi credere.
No, non ci si può credere.
Scienza e religione
A differenza di altre, c’è una citazione “incerta” che somiglia però molto a cose che Feynman ha detto o scritto:
La scienza è una cultura del dubbio, la religione è una cultura della fede.
Potrebbe anche essere un virgolettato audace, una sintesi più o meno fedele compiuta da qualche giornalista che lo ha intervistato o ne ha commentato le opere. E tra le opere, sulla questione scientifico-religiosa, quelle importanti sono due. La prima risale al 2 maggio 1959, ha per titolo The Relation of Science and Religion ed è il celebre intervento che Feynman tiene durante un forum della Young Men’s Christian Association al California Institute of Technology di Pasadena (la YMCA cantata dai Village People, un’associazione di giovani cristiani molto attiva dentro le Università Statunitensi, alcune delle quali sono nate dalle ceneri delle sue scuole di formazione).
La seconda è una conferenza dal titolo The Uncertainty of Values, tenuta nell’aprile 1963 in occasione delle John Danz Lecture Series presso l’Università di Washington (quella di Seattle e non di Washington). Entrambi gli interventi sono diventati i capitoli di due volumi. Il primo lo trovate in Il piacere di scoprire (in italia per Adelphi, titolo originale: The pleasure of finding things out: the best short works of Richard P. Feynman, prima edizione del 1999) e il secondo in Il senso delle cose (sempre Adelphi, titolo originale: The Meaning of It All: Thoughts of a Citizen Scientist, prima edizione del 1998) e da entrambi si possono estrarre citazioni a profusione.
“La scienza” dice per esempio Feynman in The Relation of Science and Religion, “si fonda sull’incertezza e il dubbio”, “l’incertezza è parte fondamentale del progresso scientifico” ma “nulla è certo o provato oltre ogni dubbio” e se si investiga lo si fa “per curiosità, non perché si conosce la risposta”. “Ogni concetto scientifico” afferma ancora “si trova da qualche parte all’interno di una scala graduata ma mai alle due estremità: assoluta falsità o verità assoluta” Si potrebbe andare avanti a lungo ma venendo a quello che più ci interessa, al rapporto tra scienza e religione, ecco che spunta:
Lo spirito dell’incertezza nella scienza è un atteggiamento verso le questioni metafisiche che è abbastanza diverso dalla certezza e dalla fede richieste nella religione.
Lo “spirito dell’incertezza” può dunque essere diventato la “cultura del dubbio” riportata nella citazione presumibilmente apocrifa di cui stiamo indagando la genesi, indubbiamente. Il concetto viene ribadito a Seattle quattro anni più tardi:
L’incertezza necessaria per apprezzare la natura non è facilmente correlabile alla sensazione di certezza di fede che di solito è associata a una profonda convinzione religiosa.
E allora sì, Science is a culture of doubt, religion is a culture of faith è la sintesi accettabile di qualcosa che il nostro non ha però mai scritto così. A chi vogliamo darne il merito e la colpa? Nel pagliaio del web, appaiono due indizi. Il primo è contenuto in una delle prime recensioni di The Meaning of it All, scritta dal giornalista scientifico Stephen Battersby e pubblicata su Nature a fine 1998. Ecco qua:
Feynman è relativamente garbato con la religione, sottolinea solo che è difficile conciliare una cultura del dubbio (scienza) con quella della fede.
Mentre nella sua forma iper-citata, la frase sembra apparire sul web per la prima volta (ma non v’è certezza) in una pagina che viene archiviata sulla Wayback Machine il 21 ottobre 1999 e curata da Bruce Railsback, geologo dell’Università della Georgia. Tutto sembra dunque prender vita ancora una volta a fine anni Novanta, quando la trasformazione in icona pop del nostro sta per compiersi definitivamente. E per quanto riguarda Mermin?
Tutte le strade portano a Cornell
Non mi sono dimenticato di Mermin. Nel 1989, analizzando i tormenti dei fisici teorici alla prese con la meccanica quantistica, nella sua rubrica Reference Frame ospitata da Physics Today, scriveva:
Se fossi obbligato a sintetizzare in una sola frase quello che mi suggerisce l’interpretazione di Copenhagen
[della meccanica quantistica, ndr] questa potrebbe essere “zitto e calcola!”
Feynman qualcosa di simile lo aveva già detto molti anni prima. Nelle sue celebri Lectures infatti, nel primo capitolo del terzo volume, lì dove discute i principi della meccanica quantistica e analizza le strane conseguenze a cui portano i risultati di certi fondamentali esperimenti, aveva affermato:
Nessuno ha trovato una via d’uscita da questo puzzle. Quindi, al momento, dobbiamo limitarci a calcolare le probabilità. Diciamo “al momento”, ma sospettiamo fortemente che sia qualcosa che rimarrà con noi per sempre – che è impossibile superare quel rompicapo – che questa è la natura.
E poi, ancora, è stato Feynman a dire in televisione (alla BBC, nel 1983, per la serie “Fun to imagine”):
Non c’è nessun talento, nessuna speciale abilità che permetta di comprendere la meccanica quantistica o di immaginare i campi elettromagnetici, che si raggiunga senza pratica, lettura, apprendimento e studio.
L’ispirazione di Feynman è pertanto indubbia ma possiamo prender per buono il fatto che sia stato Mermin ad aver utilizzato per primo, nel suo “settore professionale”, quell’esortazione. Più difficile è sostenere che sia stato lui a inventarla. In un commento al suo articolo qualcuno ricorda infatti di averla già sentita in una storia raccontata tanti anni prima, negli anni Cinquanta del secolo passato, quando a un ricercatore dubbioso sul reale funzionamento della bomba a idrogeno era stato risposto proproi così: zitto e calcola! È plausibile ma non semplice da verificare. Sembra proprio un “sentito dire” e trovarne l’autore è praticamente impossibile, siamo dalle parti di Terenzio che quando era stato accusato di plagio dal poeta Luscio di Lanuvio, aveva replicato: “ormai non c’è un detto che non sia già stato detto prima”. Da chi altri, allora?
Una faticosa ricerca, lo confesso, mi ha fatto scoprire l’esistenza di The Cornell Engineer un periodico del College of Engineering della Cornell University. Nell’editoriale che accompagna il quinto numero del Volume 43, pubblicato nel 1978, c’è scritto:
Gli “artisies”
[tutti quelli che non studiano ingegneria ma arti o scienze, ndr] sono stati addestrati a comunicare le loro idee con chiarezza mentre agli ingegneri è stato detto di calcolare e star zitti.
A Mermin, che è a Cornell sin dal 1964, il luogo e l’anno in cui Feynman pronuncia la celebre frase “penso di poter affermare tranquillamente che nessuno capisce la meccanica quantistica”, potrebbero essere fischiate le orecchie.
A ritirar fuori questa faccenda, ci pensa nel 1997 il cosmologo Max Tegmark, uno dei principali sostenitori dell’ipotesi del Multiverso e che, se amate la saggistica e la divulgazione, forse ricordate come l’autore di L’universo matematico. La ricerca della natura ultima della realtà (Bollati Boringhieri, 2014). In una nota di un articolo che ha per titolo The interpretation of quantum mechanics: many worlds or many words, poi pubblicato nel 1998 su Fortschritte der Physik (Progress of Physics), sostiene di essere in debito, per quel modo di dire, con Anupam Garg, un fisico che insegna alla Northwestern University in Illinois ma che, guarda un po’ il caso, ha preso il Phd a Cornell nel 1983 ed è stato stretto collaboratore di Mermin.
La soluzione del mistero è dunque lì, a Cornell, sulla punta meridionale del lago Cayuga, il luogo in cui, nel dopoguerra, Feynman comincerà a scarabocchiare su carta quegli strani disegni che “nessuno capiva cosa volessero dire”, i diagrammi che prenderanno il suo nome, rappresentazione grafica dei processi di interazione tra le particelle elementari cariche che Freeman Dyson, recentemente scomparso, avrebbe tradotto in linguaggio matematico. A proposito della rappresentazione della realtà fisica, della propagazione della luce in particolare, con i disegni, Feynman disse, in una delle sue lezioni – e lo sappiamo per certo:
Chi sente dire che tutto quel che faccio si riduce a disegnare due frecce alla lavagna per calcolare la probabilità che qualcosa accada, pensa: questo tizio non sa la fisica. Ma il tizio sa che è proprio questo ciò che si deve fare, e ammette, dunque, di non sapere ‘perché’ lo fa. E fidatevi: se io dico di non sapere quel che faccio, probabilmente non lo sanno nemmeno gli altri.