Storia del recupero del riso rosso in Indonesia, tra scienza agronomica, modelli di produzione e tradizioni.
Elisabetta Tola è giornalista scientifica e data journalist. Media Trainer Specialist per l’Italia per conto di Google News Lab. Co-fondatrice dell’agenzia di comunicazione scientifica formicablu. Conduttrice radiofonica a Radio3 scienza, RAI Radio3. Docente di multimedia e comunicazione scientifica.
Marco Boscolo è giornalista e science writer con la passione per i dati. Sui contributi appaiono su LeScienze, ilBoLive, ilTascabile, Aula di Scienze Zanichelli e altrove. Con Elisabetta Tola ha scritto “Semi ritrovati” (Codice 2020). Ha realizzato reportage per Radio3Scienza, Radio Popolare e Radio France Internationale. Con Michele Catanzaro ha vinto il Premio Colombine 2021 per una serie di reportage sulle scienziate africane. È socio di formicablu, agenzia di comunicazione e giornalismo scientifico.
L’
auto lascia la strada principale e attraversa un breve tratturo per entrare nel cortile. Al rumore del nostro motore, dall’edificio principale escono diverse persone. Si infilano le scarpe e ci raggiungono nel piccolo cortile dove abbiamo parcheggiato. Le donne stanno un passo indietro, con lo sguardo curioso, ma timido. Gli uomini sono due, vestiti con colori sgargianti e un copricapo simile a un fez, anch’esso variopinto. Uno ha in mano una bottiglia di birra, stappata; l’altro tiene per le zampe un pollo vivo che si dimena.
“Il comitato di benvenuto” spiega il nostro interprete Boe. (…) L’uomo che ci ha accolti qui a Baku Peduli, nella sede dell’ONG, è il suo direttore Marianus Nuhan, che tutti però chiamano Ryan. Ci racconta che l’organizzazione è stata fondata nel 2005, ma molto lontano da qui. Il 26 dicembre dell’anno prima, uno spaventoso tsunami aveva devastato Sumatra, l’isola più occidentale dell’Indonesia, affacciata sull’Oceano Indiano. Sunspirit è nata per aiutare nella ricostruzione, concentrandosi soprattutto nella provincia di Aceh, la più colpita dall’evento.
Rapidamente, però, le attività dell’organizzazione si sono concentrate sulle difficoltà economiche e tecniche delle comunità rurali. Oggi, grazie anche ad aiuti economici internazionali, Sunspirit partecipa a progetti di ricerca agronomica sulle varietà locali di cereali e organizza corsi di formazione per gli agricoltori che vogliono provare un’alternativa all’agricoltura convenzionale. Soprattutto, come sottolinea Ryan, “lavoriamo per lo sviluppo di un pensiero critico” che i contadini hanno perso in lunghi decenni di assistenza statale.
È stata Sunspirit a ritrovare il riso rosso che a Flores sembrava oramai estinto. “Una ricerca realizzata da noi” racconta Ryan, “ha dimostrato che le varietà di riso rosso autoctone sono quattro”. Finora, però, ne sono state ritrovate solamente due. La prima è quella che viene chiamata “ordinaria”, mentre la seconda, più bizzarra per gli occidentali, è detta “gelatinosa”. Una volta cotto, infatti, il riso è appiccicoso e più adatto a determinate ricette rispetto a quello normale.
Un ettaro di terreno coltivato a riso bianco rappresenta un introito di circa 7.000 euro l’anno, a cui una famiglia deve sottrarre le spese per i semi, gli aiutanti, i pesticidi e i fertilizzanti.
Le due varietà si differenziano anche per il contenuto di amido, ma soprattutto hanno tempi di maturazione diversi e si adattano a terreni con caratteristiche leggermente differenti. “Per esempio, qui abbiamo piantato solamente un tipo di riso, quello ordinario” dice Ryan indicando la conca che si estende dietro la sede dell’ONG. Le piante sono ormai belle alte, ma il riso non è ancora maturo. Qui il riso gelatinoso non avrebbe avuto la stessa resa.
Accanto al riso, Sunspirit ha raccolto finora quindici diverse specie di cereali tipiche di Flores e le conserva in una banca dei semi che si trova in un piccolo edificio separato da quello principale. All’interno, su semplici scaffali che corrono lungo le pareti, una serie di bottiglie di plastica sono usate come contenitori per i semi. Una banca fatta con mezzi poveri, ma estremamente efficace, come ci racconta Fransiska Maïla Jemani, dello staff di Sunspirit.
“La banca funziona come una cooperativa” ci spiega mentre cammina scalza sul suolo grasso e fertile, reso fangoso dalla stagione delle piogge. “Qualsiasi agricoltore che lavori con noi può chiederci i semi, gratuitamente, per piantarli nel proprio terreno: l’unico vincolo è che ce ne restituisca la stessa quantità dopo il raccolto”. In questo modo la banca si mantiene nel tempo e può garantire i semi a chi li chiederà in futuro. Proprio come accade a migliaia di chilometri da qui, nella comunità etiope di Caffee Doonsaa che abbiamo visitato qualche mese prima.
Per mantenere in salute i semi, in accordo con le metodologie stabilite inizialmente da Nikolaj Vavilov e oggi applicate alla gran parte delle banche di semi nel mondo, accanto alla banca vera e propria, Jemani mantiene una parte della collezione in campo. “A dire il vero” specifica lei, “prima bisogna passare dalla nursery”, in pratica un semenzaio. Si tratta di una piccola tettoia dove i semi vengono piantati in vaso; solo successivamente, quando la pianta è sufficientemente grande, la si trapianta nel giardino di Sunspirit.
Questo procedimento è essenziale in particolare quando si vuole moltiplicare un seme di cui si hanno piccole quantità. È quello che è successo con il riso rosso, recuperato in campi abbandonati e sperduti ai quattro angoli di Flores e individuato chiedendo ai contadini se si ricordavano della sua esistenza. Una volta trovata una quantità sufficiente, è stato qui nella nursery che questo riso ha ricominciato a essere moltiplicato, fino a poter essere seminato nei campi degli agricoltori. Ma questa è anche, come ci aveva spiegato Salvatore Ceccarelli, una pratica essenziale per mantenere la vitalità dei semi che vengono conservati in una banca.
Fransiskus Manek viene da Timor, la più grande delle Piccole Isole della Sonda, tristemente nota per una pluridecennale storia di turbolenza. L’isola, fin dalla fine degli anni Novanta, è formalmente suddivisa nella provincia indonesiana del Nusa Tenggara Orientale e lo Stato indipendente della Repubblica Democratica di Timor Est, ma senza che questo sia stato sufficiente a evitare violenze.
Manek è venuto a Flores per studiare in seminario. Voleva diventare un prete cristiano, ma a un certo punto ha sentito un richiamo diverso, quello della terra, ed è arrivato a Sunspirit per una sorta di apprendistato. Così ha cominciato a fare l’agricoltore, rendendosi conto in prima persona che l’analisi di Benedictus Pambur e APEL è corretta. Oggi studia perché in futuro la sua missione non sia quella di convertire le anime al cristianesimo, bensì gli agricoltori alla necessità di abbracciare un modello diverso. Lasciare la strada vecchia per la nuova, con la speranza che questo renda sostenibile l’alimentazione per le generazioni a venire.
Manek ci accompagna a visitare una risaia in piena campagna, non molto lontano da Baku Peduli. Il campo che gestisce per Sunspirit confina con quelli di altre famiglie. Il prezioso riso rosso si trova così circondato da quello bianco. Mentre chiacchieriamo sull’argine rialzato che costeggia la piana a risaie e permette di stare lontani dal fango, altre famiglie sono al lavoro sulle proprie piante. È il periodo della raccolta del riso bianco, mentre per quello rosso bisogna ancora aspettare qualche settimana. Un punto cruciale è la velocità di raccolta. Per raccogliere il riso in un ettaro serve un giorno di lavoro di otto persone, e se i membri della famiglia non sono sufficienti bisogna pagare a cottimo qualcuno che dia una mano; la paga varia notevolmente tra un uomo e una donna: 65.000 rupie contro 35.000, quasi il doppio. “Questi sono prezzi che non comprendono il pasto” spiega Manek, “il cui costo può venire decurtato dalla paga se i raccoglitori non provvedono in altro modo”. Vista la differenza, non c’è da stupirsi che attorno a noi ci sia una maggioranza femminile.
Un ettaro di queste risaie produce mediamente, ci dice Manek, tre o quattro tonnellate di riso con un prezzo di mercato che oscilla attorno alle 10.000 rupie per chilo, che corrispondono grossomodo a 65 centesimi di euro. Un raccolto, quindi, ha un valore di mercato che si aggira sui 2.000–2.500 euro. Considerando che nelle annate buone i raccolti sono tre, un ettaro di terreno coltivato a riso bianco rappresenta un introito di circa 7.000 euro l’anno, a cui una famiglia deve sottrarre le spese per i semi convenzionali (ricomprati a ogni semina), gli aiutanti, i pesticidi e i fertilizzanti.
Non basta fare un po’ di aritmetica per convincere gli agricoltori a cambiare modello di produzione: per esempio, lavorare in regime biologico significa più lavoro per il contadino.
Al posto di questo modello, Sunspirit propone una gestione biologica del campo e l’impiego del riso rosso. Una scelta biologica implica l’eliminazione di una parte consistente della spesa per gli input chimici. Il riso rosso, invece, ha il vantaggio di essere considerato più pregiato sul mercato, arrivando ad avere un valore di circa il 50 per cento in più. Il che significa circa 15.000 rupie al chilo. Tradotto in termini di raccolto, a parità di resa, un raccolto può raggiungere un valore di mercato tra i 3.000 e i 4.000 euro.
Anche ipotizzando di fare soltanto due raccolti l’anno – è la logica della proposta di Sunspirit – significa comunque guadagnare all’incirca la stessa cifra di chi usa il metodo convenzionale, ma con due fondamentali differenze. La prima è che si evita l’iper–sfruttamento del suolo evidenziato da Benedictus Pambur. La seconda è che non dovendo comprare il seme, ma potendolo conservare di raccolto in raccolto, il contadino si emancipa dal sostegno del governo o di chi per esso. Torna a essere in controllo del proprio destino e non più l’operaio specializzato ipotizzato dalla Rivoluzione Verde e dalla distribuzione dei packet negli anni Sessanta e Settanta.
Ma non basta fare un po’ di aritmetica per convincere gli agricoltori a cambiare modello di produzione. Mettendo le mani nella terra quotidianamente, Manek sa benissimo quali sono gli ostacoli al processo. Per esempio, non lo nasconde, lavorare in regime biologico significa più lavoro per il contadino. “Gli altri contadini faticano a capire perché aumentiamo la manodopera quando abbiamo infestazioni di erbe in risaia. Si chiedono perché non usiamo gli erbicidi.
Ci dicono che tanto mica ammazza il riso”. È l’esempio più concreto di quella logica per cui molti dei problemi dell’agricoltura si possono risolvere aumentando la dose del prodotto chimico. Ma è proprio la logica che APEL e Sunspirit criticano.
L’altro grande problema che continua a riemergere con chiunque parliamo in diversi Paesi è la perdita di conoscenze tradizionali. “Noi abbiamo recuperato una forma antica di concimazione” spiega Manek, “che prevede l’uso del mol”. Il mol è una sorta di compost che viene preparato facendo fermentare un miscuglio di frutta e fogliame. “Quando ne parliamo ai corsi, i contadini ci domandano se saranno mai in grado di farlo da soli” e se non sia più facile utilizzare i fertilizzanti chimici che si possono comprare all’emporio. Eppure la preparazione del mol è una pratica che per secoli, con variazioni più o meno costanti, ha caratterizzato la vita agricola di Flores.
Le chiacchiere con Manek continuano mentre comincia a calare il sole e i contadini fanno ritorno verso le proprie case. Anche per noi è arrivato il momento di rientrare a Baku Peduli e poi a Labuan Bajo per la notte. Manek sta parlando fitto fitto con gli altri agricoltori, in maggioranza donne. Discutono energicamente su quale sarà il momento migliore per la raccolta. C’è molta animazione e si capisce che non sono tutti d’accordo. Forse bisognerà fare un altro sopralluogo nei prossimi giorni, ma dipende da quanto pioverà. O forse sarà meglio chiedere anche a Jemani e Ryan prima di decidere, portando anche loro in perlustrazione.
A guardarli dall’esterno, si capisce che ci stanno mettendo tutto l’impegno di cui sono capaci. Vogliono spingere la loro tecnica alla massima capacità, dimostrare che è possibile intraprendere un’altra strada; anzi, far vedere ai contadini di Baku Peduli, di Lembor e di tutta Flores che è più conveniente, più sostenibile e più dignitoso essere indipendenti e in controllo del proprio destino, camminando tutti insieme nella strada tracciata da Pambur, Ryan, Jemani, Turu e da tutti gli altri. Per farlo serve il contributo di tutti, nessuno è meno importante: dalla scienza agronomica alle conoscenze tradizionali.
Nel frattempo la jeep che ci ha portato in campagna è dovuta rientrare prima, così viaggiamo anche noi come fanno molti locali, prendendo un passaggio sul cassone di un camioncino. Boe e Manek saltano su con la facilità di chi lo fa da sempre. Le donne preferiscono andare a piedi: abitano in villaggi non troppo lontani. Noi più che salire ci arrampichiamo con la goffaggine di palombari in superficie. Non facciamo in tempo a poggiare i piedi sul fondo del cassone che con un colpo di clacson il veicolo si mette in movimento.
Mentre sobbalziamo sulla strada irregolare, tenendoci ai supporti con tanta forza che le mani ci fanno male, continuiamo a parlare con Manek. Tra un paio di anni, quando il suo training sarà terminato, tornerà a Timor. “Voglio aprire un centro come quello di Baku Peduli anche a casa mia, nella mia terra. Voglio aiutare gli agricoltori di Timor a garantirsi un futuro economicamente migliore e più sicuro” si affanna a dire con gli occhi che diventano grandi per la convinzione. Ma non ti mancherà qui? Non ti mancherà Flores? “Un po’ sì… Mi mancheranno i campi dove ho dissodato la terra, raccolto il riso… Ma porterò nella mia terra il riso rosso!”. E così, per l’ennesima volta nella storia millenaria dell’umanità, i semi viaggeranno con gli uomini tra le isole, oltre i mari. Estratto da Semi Ritrovati di Elisabetta Tola e Marco Boscolo (codice edizioni, 2020).