D iversi scienziati – non scrittori di fantascienza – sostengono che a breve inizieremo a estrarre minerali e metalli preziosi dalla Luna, a esplorare Marte e a costruirvi basi stabili. Secondo gli studiosi di giurisprudenza extraplanetaria non c’è dubbio che nei prossimi anni lo spazio diventerà un tema di discussione e di scontro nelle relazioni internazionali. Prima di colonizzare i pianeti del sistema solare c’è ancora un grosso punto interrogativo a cui dobbiamo fornire risposta. Chi possiede i pianeti e l’area che li circonda?
Nel 1967 il Trattato sullo spazio extraplanetario nasceva con due punti fondamentali: gli stati devono usare lo spazio, la Luna e gli altri pianeti per scopi pacifici; agli stati è vietato di svolgere azioni militari o test. Il trattato proibisce di appropriarsi di una qualsiasi parte dello spazio, un po’ come era stato deciso per l’Antartide con l’Antarctic Treaty System del 1959. Ma non pone obblighi, e ogni Paese che lo ha firmato può abbandonarlo quando vuole.
A cinquant’anni dalla firma del trattato, il mondo si trova davanti a una nuova frontiera nella conquista dello spazio e alcuni passaggi del documento potrebbero essere obsoleti. “Prima la Brexit e poi la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane hanno portato instabilità, spostando l’attenzione delle potenze mondiali su altri temi e non certo su questo dibattito semi-fantascientifico legato all’estrazione di metalli nello spazio”, mi dice Frans von der Dunk, professore di diritto aerospaziale alla University of Nebraska-Lincoln. Un errore, visto che per von der Dunk dovremmo iniziare oggi a preoccuparci in modo serio di quello che succederà lassù. Come ha scritto Oriana Fallaci negli anni Sessanta in Se il sole muore, lo spazio è un atto politico più di quanto possiamo immaginare. “E se la Terra muore, e se il Sole muore, vivremo là sopra. Costi quel che costi”.
Von der Dunk è convinto che i Paesi che avranno la possibilità di spingersi all’esterno dell’atmosfera dovranno scrivere nuove regole per dare una risposta a tutte queste domande. “Da una parte questo insieme di norme deve permettere in buona fede alle aziende private di andare nello spazio, fare denaro a patto di evitare contaminazioni; dall’altra deve proteggere l’interesse pubblico dell’umanità e della comunità internazionale”, continua von der Dunk.
Secondo gli studiosi di giurisprudenza extraplanetaria non c’è dubbio che nei prossimi anni lo spazio diventerà un tema di discussione e di scontro nelle relazioni internazionali.
Ma l’industria aerospaziale si trova davanti a un’altra rivoluzione: dopo mezzo secolo di finanziamenti pubblici, l’esplorazione delle aree esterne all’atmosfera è stata aperta ai privati, e gruppi come SpaceX, BlueOrigin, MoonExpress e Deep Space Industries stanno diventando aziende centrali per il settore. L’ex presidente americano Barack Obama ha più volte incoraggiato la privatizzazione. In un editoriale scritto per CNN poco prima di lasciare la Casa Bianca, nell’ottobre del 2016, Obama sottolinea l’importanza dell’ingresso di aziende private nel mercato aerospaziale. “Abbiamo definito un obiettivo chiaro e vitale per aprire il prossimo capitolo della storia americana nello spazio: inviare uomini su Marte entro il decennio del 2030 e poi farli tornare sani sulla Terra, con l’ambizione finale di rimanere su Marte per un periodo prolungato di tempo”, scrive Obama, aggiungendo: “Per andare su Marte serve la continua cooperazione tra il governo e gli innovatori privati”.
Poco dopo la sua elezione, anche Donald Trump ha confermato questo impegno – “lo spazio è magnifico”, ha detto nel corso di un discorso – ma ha anche ricordato che la nuova amministrazione cambierà profondamente il modo in cui il governo finanzia l’agenzia spaziale americana. “Libererò la NASA dalla limitazione di agire soprattutto come agenzia logistica per le attività nella parte bassa dell’orbita terrestre – una grande cosa”, ha detto Trump in un comizio in Florida lo scorso ottobre. “Invece, riconcentreremo la sua missione sull’esplorazione dello spazio”, ha aggiunto. E ancora nel suo primo discorso davanti al Congresso, a febbraio, Trump ha detto di voler porre “le orme americane in mondi distanti” entro il 2026, il duecentocinquantesimo anniversario dell’indipendenza degli Stati Uniti.
Nei prossimi trent’anni, il settore pubblico e quello privato investiranno e con buone probabilità guadagneranno miliardi di dollari. La NASA calcola che nella fascia degli asteroidi – l’area del sistema solare compresa tra Marte e Giove – ci siano un milione di corpi celesti, che potenzialmente contengono una ricchezza di 700 quintilioni di dollari, un numero con tantissimi zeri che corrisponde a 100.000 miliardi per ogni abitante della Terra. Inoltre, gli astronomi hanno scoperto 9.000 asteroidi vicino alla Terra, ognuno con un valore compreso tra 1 miliardo e 1.000 miliardi di dollari, grazie alla presenza di minerali come nichel, platino, ferro e oro. Anche la Luna e Marte possono diventare un’ottima fonte di denaro. Sulla Luna, per esempio, ci sono miliardi di dollari di elio-3, un isotopo non radioattivo dell’elio, che potrebbe essere usato per generare energia nucleare. L’esplorazione e l’estrazione sono molto costose, soprattutto nelle prime fasi dei progetti. E anche qui – come sta succedendo nei lanci di razzi di SpaceX di Elon Musk e di Blue Origin di Jeff Bezos – il settore privato potrebbe essere una risorsa importante.
La NASA calcola che nella fascia degli asteroidi – l’area del sistema solare compresa tra Marte e Giove – ci siano un milione di corpi celesti, che potenzialmente contengono una ricchezza di 700 quintilioni di dollari.
Ma chi si occupa da vicino di spazio sa che questa volta sia gli Stati Uniti sia la Russia potrebbero perdere la corsa, visto che Cina e l’India stanno entrambe investendo denaro in enormi programmi statali, simili a quelli di Mosca e Washington degli anni Sessanta. A febbraio l’Indian Space Research Organisation (ISRO) – l’agenzia spaziale del governo indiano – ha messo in orbita centoquattro satelliti in un solo lancio. Pechino prevede di stabilire una base permanente sulla Luna e di mandare i suoi astronauti a esplorare la parte non illuminata entro il 2036.
“La Cina è un regime, se le persone che stanno al vertice vogliono qualcosa non devono confrontarsi con il normale processo democratico. Puoi avere la possibilità di stanziare tutto il denaro che vuoi su un progetto ed è fatta”, continua von der Dunk, sottolineando come sia convinto che sarà la Cina a creare la prima stazione permanente e abitata sul satellite.
Intanto gli Stati Uniti stanno cercando di agire in modo indipendente. Nel novembre del 2015 con il passaggio dello Space Act, il Congresso americano ha dato alle aziende americane la possibilità di estrarre e vendere risorse naturali dello spazio provenienti da pianeti e asteroidi. In un articolo su The Conversation, Gbenga Oduntan, docente di diritto internazionale alla University of Kent in Inghilterra, sostiene che la decisione dei politici americani si scontra con diversi trattati internazionali ed è potenzialmente illegale oltre che pericolosa. “Questa decisione è il più grande colpo sparato nella battaglia ideologica per il controllo del cosmo”, ha scritto Oduntan. Henry Hertzfeld, dello Space Policy Institute della George Washington University, ha una visione opposta. “Abbiamo il diritto di usare lo spazio. La legge approvata dal Congresso non risponde a tutte le domande, ma certo è un piccolo passo in questa direzione, un passo giusto. Inoltre siamo molti anni distanti da quando una società riuscirà a estrarre e vendere minerali”.
Nel novembre del 2015 lo Space Act ha dato alle aziende americane la possibilità di estrarre e vendere risorse naturali dello spazio provenienti da pianeti e asteroidi.
Sulla questione ha iniziato a lavorare anche la sottocommissione che si occupa di leggi e trattati del COPUOS, il Committee on the Peaceful Uses of Space creato dalle Nazioni Unite dopo il lancio dello Sputnik da parte dell’Unione Sovietica nel 1959, anno che portò all’inizio formale della corsa allo spazio tra Washington e Mosca. Hertzfeld, che ha lavorato come economista e analista politico per la NASA, crede che il Trattato dello spazio extra-atmosferico del 1967 sia ancora attuale e che fissi una serie di principi base per l’esplorazione e l’uso dello spazio. “Questi principi sono perfetti, sono le nazioni a non essere perfette e a violarli talvolta, ma sta alle nazioni sviluppare le proprie leggi e rispettare quanto hanno firmato”, dice Hertzfeld, sottolineando che fare estrazioni sulla Luna, ad esempio, non significa possederla.
Per von der Dunk, tuttavia, lo Space Act del 2015 è un’azione unilaterale degli Stati Uniti che non fornisce elementi chiari su quale sia la strada che Washington vuole percorrere. Per ora solo due Paesi – il Lussemburgo e gli Emirati Arabi Uniti – hanno detto di essere d’accordo con l’azione degli USA. Si sono espressi contro Brasile e Russia. Mosca ha definito lo Space Act come una interpretazione illegale delle leggi internazionali, anche se per ora – come sottolinea von der Dunk – ci troviamo di fronte solo a una forte opposizione politica e non a uno scontro di tipo legale. Il vero tema è “assicurarsi che gli stati e le aziende non cerchino di interferire in modo pericoloso con le attività degli altri stati nello spazio”, secondo Hertzfeld.
La Cina è molto interessata alla questione e da tempo sta mantenendo una linea difensiva e di attesa, pur essendo vicina alle posizioni della Russia, in chiave anti-americana. Tuttavia, aggiunge von der Dunk, potrebbe seguire un’altra strategia: lasciare libertà di movimento agli Stati Uniti facendoli agire in modo unilaterale e poi – nel momento meno aspettato – entrare in scena fissando le proprie regole per la colonizzazione e lo sfruttamento della Luna. In questo caso Washington sarebbe praticamente obbligata a non fare opposizione, dopo che la Cina non ha sollevato alcun problema sullo Space Act, e così Pechino si troverebbe nella posizione perfetta per conquistare la Luna e vincere la nuova corsa allo spazio.