C orreva l’anno 1998 e Michael E. Mann, ai tempi un giovane e brillante climatologo e geofisico in forza alla Pennsylvania State University, pubblicò un lavoro su Nature che era destinato a passare alla storia. Nell’articolo, realizzato insieme ai colleghi Raymond S. Bradley e Malcolm K. Hughes, venivano ricostruite le variazioni climatiche (soprattutto i cambiamenti di temperatura media) avvenute sulla Terra negli ultimi seicento anni. Non avendo ovviamente dati certi per i secoli più remoti, venivano utilizzati indicatori indiretti (i cosiddetti proxy) che permettevano di ricostruire il clima del passato. Tra questi, i carotaggi dei ghiacciai, i coralli, i sedimenti dei laghi, gli anelli di accrescimento degli alberi.
L’anno successivo lo stesso team spinse le proprie stime sulla storia climatica del pianeta, in particolare dell’emisfero nord, indietro fino a 1000 anni fa. Nacque così il primo, storico grafico “a mazza da hockey”, nome ispirato dalla forma del suo ultimo segmento: raffigurava la stima delle temperature superficiali medie del pianeta dell’ultimo millennio. Era proprio il tratto conclusivo, col suo terrificante balzo verso l’alto, a indicare un sensibile innalzamento delle temperature medie avvenuto in pochi decenni, ben difficilmente riconducibile a cause non legate all’attività dell’uomo. Nonostante un margine di variabilità dato dagli indicatori non diretti, l’andamento dell’insieme era innegabile. Lo studio raggiunse una grande notorietà due anni dopo, quando l’IPCC (il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) lo inserì nel suo terzo rapporto. Eppure i negazionisti non persero tempo a cercare crepe nel sistema, anche se con gli anni i dati del primo studio di Mann, già solido, sembrarono addirittura rafforzarsi.
Facciamo un passo in avanti di una decina d’anni. Il 2009 fu un anno cruciale per gli studi sul riscaldamento globale: a dicembre ebbe luogo un meeting internazionale sul clima a Copenhagen, la celebre COP15 (Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici): lo scopo era quello di trovare un accordo tra le nazioni per limitare le emissioni di gas serra, al fine di rallentare l’innalzamento delle temperature globali. Dopo lunghe e faticose trattative, la conferenza si risolse in un nulla di fatto. Cosa era successo? Il problema, come spesso avviene in questi contesti, era una forte opposizione di vedute tra paesi in via di sviluppo, in particolare India e Cina, in fortissima crescita economica, e le nazioni più industrializzate. La richiesta di limitare le emissioni e i conseguenti sacrifici richiesti avevano un peso differente a seconda del paese interessato e, come è chiaro, questa differenza di vedute portò a forti conflitti, nonostante la visione di un pianeta sempre più caldo a causa delle emissioni di gas serra fosse condivisa praticamente dall’intera comunità scientifica.
Lo storico grafico “a mazza da hockey” raffigura la stima delle temperature superficiali medie del pianeta dell’ultimo millennio: il nome è ispirato alla forma dell’ultimo segmento con il suo terrificante balzo verso l’alto.
Eppure, nonostante questa quasi totale unanimità, la polemica sul riscaldamento globale antropogenico stava già imperversando: da circa un mese era scoppiato il cosiddetto “Climategate”, una sorta di scandalo (termine da prendere con le molle) avvenuto in seguito alla pubblicazione illegale di alcune mail e documenti interni della Climate Research Unit (CRU) dell’Università dell’Anglia Orientale di Norwich, in Inghilterra.
La bolla del climategate
In seguito a un attacco hacker, dati e documenti dell’istituzione di ricerca vennero diffusi sul web e ben presto finirono su siti complottisti e negazionisti. Ma non solo: anche il giornalista inglese James Delingpole, conservatore e negazionista climatico, diede ampio spazio alla vicenda sulle pagine web del Daily Telegraph, che ai tempi ospitava un suo blog. Alcune frasi, prese totalmente fuori contesto, vennero utilizzate per screditare o indebolire il lavoro della CRU e dell’IPCC. Un breve estratto di una mail, in particolare, rischiò di danneggiare il lavoro di Mann e soci e venne ripreso, tra gli altri, dalla politica statunitense Sarah Palin, nota per le sue visioni ultraconservatrici e per essere una convinta negazionista climatica: in pratica, in vari passaggi gli scienziati sembravano aver incontrato una certa difficoltà nel dimostrare che le temperature odierne si discostassero così tanto da quelle del passato. Ed era proprio nel primo grafico “a mazza da hockey” che, secondo i negazionisti, sarebbero stati falsati i dati per mostrare un innalzamento di temperature in realtà mai avvenuto.
Phil Jones, uno dei climatologi del CRU, in una mail sembrava riferirsi a un “trucco” che Mann aveva utilizzato sul suo grafico originale per nascondere un problema: uno degli indicatori indiretti utilizzati per le stime delle temperature, gli anelli di accrescimento degli alberi, sembrava infatti fornire dati discordanti rispetto all’andamento generale del grafico per quanto riguardava le alte latitudini e le ultime decadi del XX secolo (dal 1961 in poi). Mann sembrava quindi aver nascosto questo elemento, eliminando quei dati nella realizzazione finale del grafico. Il che è vero, ma questo principalmente perché, trattandosi di un indicatore indiretto, non aveva senso utilizzarlo quando si disponeva delle misurazioni dirette delle temperature. In ogni caso, ancora oggi la discrepanza dei dati per questo fattore, seppure secondaria rispetto all’immensa mole di dati a dimostrazione del riscaldamento globale antropogenico, rimane inspiegata. La più diffusa ipotesi che spiegherebbe il cosiddetto “problema della divergenza” sostiene che diffuse siccità, avvenute soprattutto ad alte latitudini, avrebbero rallentato la crescita degli alberi, portando così ad anelli di accrescimento simili a quelli corrispondenti a un periodo effettivamente più freddo del normale.
Nonostante la pretestuosità delle accuse, il Climategate riuscì a causare danni considerevoli: presentandosi a ridosso della conferenza di Copenhagen diede forza alle voci dei negazionisti.
Una volta rivelata tutta la sua inconsistenza, il Climategate venne presto accantonato dalla stampa. Nonostante la pretestuosità delle accuse, il falso scandalo riuscì comunque a causare danni considerevoli: presentandosi a ridosso della conferenza di Copenhagen diede infatti forza alle voci dei negazionisti e, anche se non fu il motivo principale del suo fallimento, contribuì sicuramente a ritardare un accordo formale tra le nazioni, che sarebbe arrivato solo nel 2015, alla COP21 di Parigi. Purtroppo gli effetti di questo finto scandalo si protraggono ancora ai giorni nostri, e danno forza alle voci dei negazionisti. I climatologi del CRU da allora ricevono mail di accuse e minacce di ogni genere. E altri due “Climategate” sono scoppiati negli anni a seguire, ancora più pretestuosi e inconsistenti, basati su mail e dati completamente fuori contesto e che speravano di dimostrare la cospirazione dei climatologi: le polemiche si sono dissipate pochi giorni dopo l’uscita di queste false notizie, a ulteriore dimostrazione dell’assurdità delle accuse.
Problemi di comunicazione
Queste vicende devono farci riflettere su come affrontare il tema del riscaldamento globale, per evitare di cadere in errori di ingenuità che non aiutano ad affrontare il problema. Se da un lato è vero che le parole di Phil Jones sono state diffuse illegalmente e utilizzate completamente al di fuori del loro contesto, è anche vero che l’utilizzo di alcuni termini in quelle mail si è rivelato piuttosto infelice: ad esempio Jones aveva parlato di “trucco” per nascondere il problema della divergenza, quando in realtà era una scelta dettata dalla pura logica. Nondimeno, non parlare apertamente e diffusamente dell’incongruenza dei dati sull’accrescimento degli alberi si è rivelata una scelta sbagliata, dato che così si è offerto il fianco ad accuse di strumentalizzazione dei dati, di scarsa trasparenza e di disonestà intellettuale. E in questo caso si è trattato proprio di una leggerezza, visto che sarebbe bastato rendere noto il problema e ragionarci pubblicamente per far capire come fosse secondario rispetto alla situazione globale. E sì, è vero che gli errori degli scienziati in questo frangente sono stati minimi, ma le ripercussioni di tutto questo falso scandalo invece hanno portato nuova linfa alle motivazioni dei negazionisti climatici. Anche perché bufale e false notizie, è bene ricordarlo, non muoiono mai: rimangono lì, in un limbo in cui galleggiano per anni o decenni, in attesa che qualcuno le riproponga.
Al giorno d’oggi il lavoro di scienziati come Mann non ha solo importanza dal punto di vista della ricerca: ha anche un enorme peso politico. Parlare in maniera chiara e incontestabile di dati scientifici è l’unico modo per gli scienziati di non essere attaccati da chi ragiona per partito preso. E questo andrebbe fatto sempre, in ogni contesto, che si tratti di articoli e congressi scientifici o persino mail private tra colleghi. Soprattutto perché la caccia allo scandalo e al complotto è una delle principali fonti di approvvigionamento dei negazionisti. Scelta dei termini corretti e assoluta trasparenza anche nel presentare eventuali dati discordanti sono elementi fondamentali.
Oggi il lavoro di scienziati come Mann non ha solo importanza dal punto di vista della ricerca: ha anche un enorme peso politico.
Un elemento che sarebbe sempre bene evitare è il sensazionalismo. Eppure, purtroppo, se ne servono tutte le squadre in gioco. Per esempio, sottolineare il superamento della soglia delle 400 parti per milione di anidride carbonica nell’atmosfera è un dato del tutto irrilevante in sé. Quello che conta è il trend, in rapida crescita, nella concentrazione del gas nell’atmosfera. Ed è di quello che bisognerebbe parlare. Costantemente. Su base giornaliera. Scegliere un traguardo numerico come simbolo del cambiamento, così come le immagini strappalacrime di orsi polari prossimi alla morte per inedia, sono metodi propagandistici che possono andar bene per raccolte fondi o per smuovere la pancia delle masse. Ma si tratta di mezzi di cui non si dovrebbe aver bisogno per illustrare un argomento cruciale per il futuro dell’umanità, tanto più se questo è corroborato da dati scientifici sempre più dettagliati. Lo scopo ultimo dovrebbe essere un passaggio di informazioni il più chiare e corrette possibile, e ci sono altre strategie comunicative più oneste intellettualmente e altrettanto efficaci. Un esempio è la pagina di Bloomberg che identifica, in pochissimi click e con un linguaggio adatto a tutti, qual è la causa del riscaldamento globale, lasciando davvero pochi spazi a dubbi. Un altro esempio è un diagramma, creato dal ricercatore finlandese Antti Lipponen, che mostra le anomalie nelle temperature medie globali dal 1900 ad oggi, suddivise per nazione. Altre pagine web che riassumono decenni di ricerche e migliaia di pubblicazioni in maniera adatta a tutti sono Skeptical Science (in parte disponibile in italiano) e Climalteranti.
Nel grande calderone di notizie al quale siamo costantemente esposti tramite giornali, televisioni, web e altre fonti di informazione più o meno attendibili, emergono quotidianamente alcuni argomenti che sono, per loro stessa natura, fonte di dibattito. Ognuno di noi è naturalmente portato a preferire una fazione, una scuola di pensiero, un’idea. È un comportamento perfettamente lecito, insito nella natura umana. E così, argomenti come gli OGM, la sperimentazione animale, le medicine alternative, i pesticidi e altre tematiche legate ad argomenti scientifici sono costante fonte di diatribe. Nulla di sbagliato in questo, interrogarsi e avere dubbi è uno degli elementi fondamentali della ricerca scientifica, ma l’importante è che questo atteggiamento non sia dettato da fattori diversi dalla pura e semplice curiosità e voglia di conoscere i fatti. Uno dei più importanti temi di discussione in campo scientifico è di sicuro il riscaldamento globale, e il perché è chiaro a tutti: sono le forti ripercussioni politiche ed economiche che implica l’“ammissione di colpevolezza” da parte dell’Umanità per l’eccessivo aumento delle temperature medie del pianeta, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Ridurre le emissioni di gas serra per limitare i danni e mantenere al di sotto dei 2°C l’innalzamento delle temperature medie globali è un’impresa titanica per le nazioni, dati alla mano. Eppure è un impegno obbligatorio per evitare danni ancora più imponenti di quelli che già oggi stanno colpendo gli ecosistemi e l’economia, in particolare per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo.
Per affrontare correttamente un argomento cruciale come il cambiamento climatico bisogna per prima cosa mettersi nei panni di scettici e negazionisti, capire se sono mossi da scarsa fiducia nella scienza, se parlano per partito preso, se sono animati da buone o cattive intenzioni. La scienza non è né un credo né un movimento politico, è un metodo: il miglior metodo possibile per capire come funziona il mondo intorno a noi. Vale la pena utilizzarlo.