D a più di quarant’anni, il dibattito scientifico attorno ai buchi neri si avvita sempre sulla stessa questione: se ne può uscire (dal buco e dal dibattito)? E se la risposta è sì, come se ne esce? Entrarci è un attimo, è come scivolare lungo le pareti di un imbuto, farsi trascinare da una cascata d’acqua, precipitare in un pozzo senza fondo, senza aver nulla a cui aggrapparsi. La vicenda è nota ma è utile ricordarne brevemente alcuni, ineludibili, aspetti.
Un buco invisibile e nero
Einstein, con la relatività generale, ci ha insegnato che lo spazio-tempo viene deformato dalla presenza di un corpo, subisce cioè una curvatura per effetto della materia di cui il corpo è costituito. Tutto ciò che si trova nei dintorni del corpo avverte a sua volta gli effetti della curvatura, sperimenta cioè quella che conosciamo come attrazione gravitazionale. L’immagine della biglia su un telo è fin troppo abusata ma, anche se imprecisa, rende l’idea: il telo si incurva sotto il peso della biglia e qualunque altra biglia assai più leggera, sistemata lì nei pressi, non potrà far altro che rotolare verso la più pesante come se ne fosse attratta. La sintesi di John Wheeler è perfetta: “La materia dice allo spazio-tempo come curvarsi, lo spazio-tempo dice alla materia come muoversi”.
Questa condizione, tutto sommato pacifica, può cambiare drasticamente se il corpo si concentra entro una regione dello spazio-tempo demarcata da una superficie chiamata orizzonte degli eventi, un bordo dal quale non conviene sporgersi troppo perché altrimenti non ci sarà più verso di opporsi alla caduta. Son cose che succedono: le stelle, per esempio, non sono eterne e in quelle estremamente massicce, una volta che il combustibile nucleare s’è consumato, la forza di gravità domina su qualunque altra forza e s’avvia quella che è chiamata catastrofe gravitazionale, un processo inarrestabile in grado di ridurle all’interno della regione critica. Non sfugge nulla da quei luoghi, neanche la luce. Sono buchi invisibili e neri.
Un buco nero è famelico, ingurgita tutto quello che ha la sfortuna di passargli accanto: saremmo destinati a sparire nel nulla, se proprio il nulla non ci venisse in soccorso.
L’unico modo di ottenere informazioni su un buco nero è così quello di interrogare lo spazio-tempo che lo circonda. Ne possiamo quindi solo desumere, per via indiretta, la massa, la carica e lo stato di rotazione. Se il corpo ruota, trascina infatti con sé nella rotazione anche lo spazio-tempo circostante. Non c’è altro che si possa apprendere: della natura del corpo che ha originato il buco nero s’è persa traccia e non ci son più appigli a cui attaccarsi.
Informazioni perdute
Un buco nero è famelico, ingurgita tutto quello che ha la sfortuna di passargli accanto, materia e radiazione e così facendo aumenta la dimensione dell’orizzonte degli eventi. Saremmo destinati a un triste destino, a sparire nel nulla, se proprio il nulla, il vuoto, non ci venisse parzialmente in soccorso. Da un punto di vista classico, il vuoto è uno stato in cui non sono presenti né materia né campi e coincide con lo stato a energia totale nulla. In un vuoto del genere un buco nero non ha più niente da mangiare. Nel mondo dei quanti invece, regolato com’è dal principio di indeterminazione di Heisenberg, l’energia dello stato di vuoto non può essere mai esattamente zero e, allo stesso modo, il numero di particelle che lo abitano non può essere costantemente nullo. Il vuoto quantistico dunque non è vuoto ma un ambiente ricco di entità virtuali (non direttamente osservabili), ad esempio coppie di particelle di carica opposta che ne emergono e vi si immergono nei brevissimi tempi concessi dal principio di indeterminazione. Piccole ma pericolose prelibatezze, per un buco nero.
Stephen Hawking, a metà degli anni Settanta, ne tiene conto, immaginando che le coppie di particelle virtuali che hanno la sfortuna di emergere a cavallo dell’orizzonte degli eventi, possano venir separate: lì, sul bordo di un buco nero, una delle due potrebbe precipitare e l’altra riuscire a fuggir via, rendendo così il buco nero “meno nero di come viene dipinto”. Per equilibrare l’energia positiva della particella uscente, quella in caduta, memore di aver fatto parte di una coppia un po’ particolare, porta con sé un’energia di segno opposto.
Il risultato di questo processo è una progressiva riduzione dell’energia – e quindi anche della massa – del buco nero che infine evapora lasciando nello spazio solo radiazione termica, caos. L’informazione nascosta è ora così perduta per sempre, un fatto inaccettabile, proibito dalle regole della meccanica quantistica. Hawking ha difeso questo paradosso con vigore per quasi trent’anni, arrendendosi solo nel 2004. La sua ultima linea di ragionamento è che l’informazione è in effetti conservata. Non nel nostro universo osservabile, però, ma in altri universi paralleli che appartengono al multiverso nel suo complesso.
I vuoti sono tanti, milioni di milioni
Quello che è accaduto negli ultimi anni attorno ai tentativi di comprensione della natura e del comportamento dei buchi neri è stato raccontato spesso, gli aneddoti e le scommesse si sprecano. Ci sono state spiegazioni in termini di stringhe (ce n’è sempre almeno una) e in termini di firewall, assai ipotetici muri di fuoco che dovrebbero circondare i buchi neri e incenerire all’istante chiunque provi ad attraversarli. Lo stesso Hawking, due anni fa, ha quasi mollato la presa: non rimane che abbandonarsi al caos per superare il paradosso dell’informazione, deve aver pensato. E allora non esiste più un orizzonte degli eventi permanente al di là del quale l’informazione è perduta: c’è piuttosto una regione piena di turbolenze da cui l’informazione potrebbe, chissà come, riemergere. L’uomo però è pieno di risorse e riemerge presto pure lui.
L’idea gliela dà Andrew Strominger, fisico di Harvard che si occupa di stringhe. Strominger sostiene che durante il processo di formazione di un buco nero una particella carica in caduta deposita nel vuoto un “fotone soft”, ovvero un quanto di radiazione che ha energia pari a zero. Hawking nota il fotone soft, se ne innamora e con lo stesso Strominger e Malcolm Perry, dell’Università di Cambridge, si mette al lavoro. Quelli che producono sono proprio i risultati di cui gli esperti stanno parlando negli ultimi mesi: il margine di un buco nero è fatto di fotoni e gravitoni soft, a energia nulla, è questo che immaginano. Ma si tratta di principi fondamentali e di idee che sono ancora tutte da discutere e comprendere a fondo.
Il buco nero appare come immerso in uno dei possibili e infiniti vuoti che conservano memoria di cosa è cascato al suo interno.
Un vuoto a cui s’aggiunge qualcosa del genere, qualcosa che non ha massa e ha energia nulla, è ancora un vuoto, va da sé. Non è più lo stesso vuoto però, perché le informazioni veicolate dai quei quanti non si limitano a quelle che riguardano la loro energia. Ecco che così il buco nero appare come immerso in uno dei possibili e infiniti vuoti, uno diverso dall’altro, che tengono memoria di cosa è cascato al suo interno. Due buchi neri che differiscono tra loro per un “fotone soft”, son così circondati da due vuoti diversi ed evaporano in modo diverso. Eccola la scorciatoia per recuperare l’informazione perduta. La visione popolare, naif, è affascinante ma ci son tanti conti ancora da regolare, ipotesi da testare, conseguenze di cui prendere atto.
Punti di svolta
Andrew Strominger, qualche giorno fa, ha vinto e condiviso il Breakthrough Prize in Fundamental Physics, un assegno da tre milioni di dollari, con altri due fisici: Joseph Polchinski, il padre del già citato firewall, e Cumrun Vafa, ancora un teorico delle stringhe, dottorato a Princeton sotto la supervisione di Ed Witten, il fisico più citato di sempre.
Il Breakthrough Prize, tra quelli assegnati per meriti scientifici, è uno dei premi più ricchi. I soldi provengono dalla Milner Foundation, giocattolo del parecchio discusso Yuri Borisovich Milner, titolare di un patrimonio netto, stimato da Forbes nel 2016, pari a quasi tre miliardi di dollari. Milner, forse lo ricorderete, nel 2015 aveva finanziato un progetto da cento milioni di dollari e della durata di dieci anni, chiamato Breakthrough Listen, dedicato alla ricerca di segni di vita intelligente nel Cosmo e caldamente sostenuto da Hawking, anche lui vincitore di un Breakthrough Prize nel 2013. Forse ricorderete ancor meglio l’iniziativa dell’aprile di quest’anno, quella condivisa con Zuckerberg e l’onnipresente Hawking, che ha per nome Breakthrough Starshot, il progetto del viaggio a vela dalla Terra fino ad Alpha Centauri.
Viaggiano tanti soldi con Milner, parecchi verso la fisica di frontiera, soprattutto quella che non ha ancora avuto la soddisfazione di ricevere una verifica sperimentale (ammesso che sia possibile). Non è però l’unica fonte a cui si abbeverano Hawking e i teorici delle stringhe. Un’altra sorgente di grande portata è l’Istituto “George P. and Cynthia Woods Mitchell” per la fisica fondamentale e l’astronomia che ha sede a Galveston (dov’è nato, in un supermercato, Sheldon Cooper), nell’area metropolitana di Houston, all’interno della Texas A&M University. George P. Mitchell, morto nel 2013 e noto come il “padre del fracking”, è stato uno dei principali sovrani del gas naturale in Texas e anche, bontà sua, un filantropo.
Nel 2007 raccolse nel suo ranch, seimila acri di pineta a ovest di Houston, alcuni tra “i più brillanti scienziati del mondo” – il più brillante tra tutti Hawking – per discutere liberamente delle risposte alle domande fondamentali della fisica, dell’universo e di tutto quanto, in particolare quelle legate al problema dell’inconciliabilità tra la meccanica quantistica e la relatività generale. C’erano anche Perry e Strominger che quel posto han continuato a frequentare per anni, lì dove, in origine, avrebbero dovuto lavorare con Hawking alla soluzione del paradosso dell’informazione. La cosa si è poi svolta a Hereford, una città dell’Inghilterra occidentale, a causa delle precarie condizioni di salute del nostro che gli hanno impedito di imbarcarsi su un aereo per il Texas. Grandi questioni, grandi finanziamenti (privati) insomma. Che anche le risposte siano grandi è ancora troppo presto per affermarlo.