C i sono gli apocalittici e gli ottimisti razionali. I cauti tendenti al sì e i cauti tendenti al no. I provocatori e gli attendisti. La geografia delle posizioni bioetiche sull’editing genomico degli embrioni umani è piuttosto accidentata.
Sono trascorsi cinque anni dall’invenzione di CRISPR, la tecnica che consente di modificare il DNA lettera per lettera con una facilità prima inimmaginabile, e ormai non passa una settimana senza che esca un nuovo studio, che porta conoscenze fresche e promette applicazioni utili nei vari campi delle scienze della vita. Ma per quanto riguarda il fronte più scottante, ovvero la possibilità di effettuare correzioni genetiche sull’uomo, ereditabili di generazione in generazione, il baricentro del dibattito non sembra ancora essersi assestato.
La prima linea della comunità scientifica appare in movimento. Il no secco dichiarato su Science e Nature dai ricercatori più in vista del settore nel marzo del 2015 si era già trasformato in un quasi-no al Summit internazionale di Washington sull’editing dei geni umani, organizzato alla fine dell’anno dalle principali accademie scientifiche di USA, Gran Bretagna e Cina. Quindi è diventato un ni nell’ultimo rapporto delle Accademie americane delle scienze e della medicina che, in poche parole, propongono: continuiamo a sperimentare cautamente sugli embrioni in vitro ed evitiamo di avviare gravidanze finché la tecnica è acerba e il consenso sociale lontano, ma non precludiamoci la possibilità di farlo in futuro, se non altro per prevenire la trasmissione di malattie genetiche gravi quando non ci sono alternative disponibili.
Confini
Nessuno ha ancora osato varcare la linea rossa, avviando una gravidanza con embrioni umani geneticamente modificati. Ma si sta allargando il club dei gruppi di ricerca che hanno compiuto i passi preparatori, modificando gli embrioni ai primi stadi di sviluppo senza provare a impiantarli. Lo hanno fatto per primi i cinesi, lo stanno facendo nel Regno Unito e in Svezia, lo ha fatto in agosto anche un gruppo negli Stati Uniti. Apparentemente gli ultimi risultati, pubblicati da Shoukhrat Mitalipov su Nature, hanno segnato un salto di qualità in termini di efficienza e affidabilità della tecnica nell’uomo, facendo sembrare meno azzardata l’ipotesi di compiere anche l’ultimo decisivo passo.
Sono trascorsi cinque anni dall’invenzione di CRISPR, ma per quanto riguarda la possibilità di effettuare correzioni genetiche sull’uomo il baricentro del dibattito non si è ancora assestato.
In realtà potremmo trovarci presto nella condizione di dover retrocedere di qualche casella, come nel gioco dell’oca, perché l’interpretazione dei dati presentati nello studio è stata pesantemente contestata da alcuni dei massimi esperti del settore. Ma seppure non ci fosse riuscito Mitalipov, probabilmente sarà qualcun altro a trovare i trucchi di laboratorio necessari per ridurre in modo sostanziale i rischi dell’editing genetico. E se proprio non dovessimo raggiungere un livello più che accettabile di sicurezza negli embrioni, è probabile che in futuro riusciremo a correggere le cellule progenitrici di spermatozoi e ovociti. Il risultato, in fondo, sarebbe lo stesso: evitare la trasmissione di difetti genetici attraverso la linea germinale.
Dal punto di vista etico, oltretutto, scartare le cellule sessuali in cui la correzione non è riuscita bene sarebbe assai meno problematico che produrre embrioni ad hoc e poi analizzarli con la diagnosi pre-impianto per selezionare quelli in cui CRISPR ha fatto abbastanza bene il suo lavoro. Sacrificare embrioni umani è generalmente ritenuto inaccettabile dai credenti, ma rappresenta una decisione eticamente gravosa anche per molti non credenti.
Posizioni mobili
Se dovessimo giudicare l’editing della linea germinale solo sulla base della sicurezza, gli ostacoli sarebbero tutto sommato superabili. Soprattutto se la valutazione dei rischi fosse fatta in termini relativi, senza puntare a standard di perfezione assoluta che in medicina non sono mai esistiti, come ama ricordare uno dei pionieri della tecnica, il molto provocatorio (e altrettanto brillante) genetista di Harvard George Church. Se dovessimo posizionare gli specialisti del settore lungo un asse cartesiano, in cui lo zero indica la contrarietà assoluta e dieci l’entusiasmo, lui sarebbe certamente a fondo scala, a capo dei liberal e agli antipodi dei conservatori.
Le posizioni di altri protagonisti di questa avventura scientifica sono ancora piuttosto mobili, come dicevamo. Volendo giocare a rappresentare graficamente la bioetica dell’editing germinale, si può notare uno scivolamento verso il sì anche di Jennifer Doudna, la biochimica di Berkeley a cui spetta buona parte del merito per l’invenzione di CRISPR. Un paio di anni fa sarebbe apparso naturale posizionarla tra i conservatori, in quanto promotrice del Summit in cui è stata discussa l’ipotesi di una moratoria sugli esperimenti con gli embrioni umani. Il libro che quest’anno ha scritto insieme a Samuel Sternberg (A Crack in Creation: Gene Editing and the Unthinkable Power to Control Evolution) ha una veste editoriale apocalittica; scomoda Hitler, Frankenstein, Gattaca, e paragona addirittura l’editing genomico alla bomba atomica. Ma le posizioni di Doudna sono in evoluzione, è lei stessa a dichiararlo apertamente, e a ben vedere il cuore del testo mostra un’apertura sulla frontiera germinale.
Se dovessimo giudicare l’editing della linea germinale solo sulla base della sicurezza, gli ostacoli sarebbero tutto sommato superabili.
“Ogni mutazione causata da CRISPR, in modo intenzionale o meno, impallidisce in confronto alla tempesta genetica che infuria dentro di noi dalla nascita alla morte”, scrive la scienziata, ricordando che il DNA cambia di continuo per cause naturali: ogni persona sperimenta circa un milione di mutazioni al secondo nel proprio corpo. In organi a proliferazione rapida come l’epitelio intestinale quasi ogni lettera sarà mutata almeno una volta in almeno una cellula quando avremo compiuto 60 anni. Anche spermatozoi e ovociti incorporano mutazioni, e ognuno di noi inizia la vita con cinquanta-cento mutazioni casuali sorte ex novo nelle cellule sessuali dei nostri genitori. “Se CRISPR potesse eliminare una mutazione che causa una malattia nell’embrione con un elevato livello di certezza e solo un piccolo rischio di introdurre una seconda mutazione fuori bersaglio altrove, i vantaggi potenziali potrebbero superare nettamente i pericoli”, conclude Doudna.
Ma va detto che anche un singolo incidente potrebbe avere conseguenze devastanti non solo per l’individuo direttamente interessato, ma anche per le prospettive dell’intero settore di ricerca.
Rischi, valutazioni, scetticismi
In passato, la terapia genetica classica ci ha messo almeno un decennio a riprendere fiducia dopo la morte di un ragazzo che si era arruolato in una sperimentazione mal gestita. Se è vero che il rischio non è solo una valutazione fredda dei potenziali danni e della loro probabilità di verificarsi, ma incorpora anche una componente psicologica (come sostiene l’equazione di Peter Sandman: risk= hazard + outrage), allora la faccenda si fa più complicata. Ed è soprattutto per questo che, personalmente, ritengo si debba procedere con una buona dose di cautela. La ricerca in psicologia insegna che eliminare del tutto la variabile emozionale dalle decisioni personali e collettive è un’impresa quasi disperata. Pesare scientificamente i pro e i contro è fondamentale, certo, ma non basta.
Manipolare in modo “permanente” il genoma umano oggi appare a molti un azzardo senza precedenti, un atto eversivo sul piano culturale e persino ontologico.
Molti ritengono che la strada sia segnata ormai, che ciò che si può fare prima o poi verrà fatto. Superata questa fase di eccitazione e di paure, insomma, CRISPR potrebbe diventare un altro strumento nella cassetta degli attrezzi biotech a disposizione degli aspiranti genitori che bussano alle porte delle cliniche per la fecondazione assistita. Eppure manipolare in modo “permanente” il genoma umano oggi appare a molti un azzardo senza precedenti, un atto eversivo sul piano culturale e ontologico persino. Probabilmente sulla nostra percezione influisce il “pregiudizio dello status quo”, per cui preferiamo tenerci i problemi a cui siamo abituati piuttosto che affrontare le incertezze associate ai cambiamenti. O se preferite possiamo chiamare in causa lo yuck factor, quella repulsione istintiva che si può provare di fronte a pratiche avvertite come innaturali o dissacranti. Fatto sta che l’idea che il genoma umano sia un’entità da preservare, perché depositaria di qualche attributo tanto basilare quanto intangibile (l’essenza umana) o perché la natura sa quel che fa meglio della scienza, continua ad avere i suoi sostenitori. “L’evoluzione ha lavorato per ottimizzare il genoma umano per 3,85 miliardi di anni. Pensiamo davvero che un piccolo gruppo di riparatori del genoma umano possano fare di meglio senza ogni tipo di conseguenze indesiderate?”, si è chiesto retoricamente Francis Collins, che è stato a capo del progetto internazionale di sequenziamento del DNA umano e ora dirige i National Institutes of Health.
Lo spauracchio eugenetico
Probabilmente in futuro ci accorgeremo che dicendo sì a CRISPR nel campo della riproduzione umana non abbiamo aperto il vaso di Pandora né liberato il mondo da ogni male. Come ha spiegato il direttore del Broad Institute Eric Lander al Summit del 2015, non saranno in molti a giovarsi dell’applicazione alla linea germinale di questa tecnica, che invece si sta già rivelando utilissima per studiare le basi molecolari delle malattie, alla ricerca di nuovi approcci terapeutici, e che promette di allargare gli orizzonti della terapia genica classica, attraverso la correzione delle cellule malate del corpo del singolo paziente anziché degli embrioni o delle cellule sessuali. In breve per le patologie con una base genetica semplice si può trovare quasi sempre un’altra soluzione senza ricorrere all’editing della linea germinale (la diagnosi genetica pre-impianto), mentre per le malattie complesse il gioco appare troppo complicato.
Ma in alcuni rari casi l’editing degli embrioni o delle cellule sessuali potrebbe essere l’unico modo di garantire dei figli biologici sani alle coppie più sfortunate, ad esempio quando il gene difettoso è presente in doppia copia. Seppure i beneficiari fossero pochi, per quei pochi sarebbe comunque una gran cosa. A mio parere passano il segno i filosofi che come Julian Savulescu sostengono che l’editing degli embrioni sarebbe addirittura un imperativo etico. In un mondo in cui si muore di fame, di guerra, di malattie curabili, aumentare le chance di garantire figli sani a un’esigua minoranza di persone che hanno i mezzi per accedere alle tecniche più avanzate dell’embriologia e della genetica è cosa legittima, anzi buona e giusta, ma non esattamente prioritaria. Gli studiosi della disabilità sono anch’essi divisi di fronte al dilemma di CRISPR, perché se da una parte c’è la possibilità di prevenire malattie che causano enormi sofferenze, dall’altra esiste il timore che di questo passo finiremo per rifiutare anche la diversità umana insieme alle imperfezioni di cui tutti siamo portatori.
“Tecnicamente usare CRISPR negli embrioni per combattere una malattia sarebbe una pratica eugenetica”, scrive Doudna, aggiungendo però che nella categoria rientrano pratiche comunemente accettate come la fecondazione assistita, le ecografie prenatali, persino le vitamine assunte in gravidanza. “Se questa viene considerata eugenetica, allora io sono eugenista”, ha affermato con piglio battagliero il co-scopritore della doppia elica James Watson nell’ultima edizione del suo libro sul DNA, aggiornato per rendere conto degli ultimi sviluppi tecnologici (DNA: The Story of the Genetic Revolution).
Dal momento che l’eugenetica può essere definita in vari modi, ognuno può rispondere come meglio crede al quesito relativo a CRISPR.
“Spero solo che molti biologi che condividono la mia opinione lo dicano a testa alta senza farsi intimidire dalle inevitabili critiche”. Ebbene, se questa possa essere considerata eugenetica è una questione a cui è difficile rispondere. “Il dibattito su questo punto è un discorso che si avvita, un gioco di specchi. L’uso di questa categoria, così storicamente e semanticamente densa, non aiuta a chiarire i problemi sul tappeto. Anzi”, sostiene lo storico della scienza Francesco Cassata, autore del libro Eugenetica senza tabù. Usi e abusi di un concetto.
Dal momento che l’eugenetica può essere definita in vari modi, ognuno può rispondere come meglio crede al quesito relativo a CRISPR. L’Unesco può dichiarare la propria ferma opposizione all’editing germinale sostenendo che “rinnoverebbe l’eugenetica”. Mentre sul fronte opposto il saggista ottimista e razionale Matt Ridley può spiegare sul Times che l’editing genetico non è un pendio scivoloso verso l’eugenetica.
Lo spauracchio scompare se con questa parola si indicano soltanto le pratiche coercitive del nazismo, ma si tratta di una definizione troppo restrittiva, perché l’eugenetica non è stata solo quella. Ritorna se si dubita che oggi gli aspiranti genitori siano davvero liberi di scegliere, sottoposti come sono alle pressioni delle aspettative sociali e alle forze del mercato. Fra le tante letture possibili in proposito, consiglio gli scritti dello storico della medicina Nathaniel Comfort che, pur essendo generalmente liberal, ha finito per scoprirsi quasi conservatore sull’editing germinale. In The Science of Human Perfection lo studioso della Johns Hopkins University definisce l’eugenica non come un’aberrazione storica, ma come un “impulso costante” che ha sempre attraversato la storia della medicina e della genetica, e che oscilla tra i due poli del sollievo della sofferenza, da una parte, e del miglioramento biologico della specie umana, dall’altra. “Questa linea è ormai sempre più sottile e probabilmente a un certo punto sparirà. Gli sviluppi scientifici stanno progressivamente cancellando lo spartiacque etico tracciato agli albori del brave new world dell’ingegneria genetica – tra terapia genica e potenziamento, tra individuo e popolazione”, spiega Cassata. In definitiva, se rispondere in modo onesto e soddisfacente a un interrogativo è tanto difficile, potrebbe essere saggio concludere che ci stiamo ponendo la domanda sbagliata.