
Moderni Lombroso
L’idea che una caratteristica fisica possa rivelare dettagli sul carattere di una persona sopravvive ancora oggi.
L’idea che una caratteristica fisica possa rivelare dettagli sul carattere di una persona sopravvive ancora oggi.
N ell’autunno del 1831 Charles Darwin era un giovane di ventidue anni, lontano dall’immagine di rispettabile studioso con una lunga barba bianca a cui oggi lo associamo spesso. Terminati gli studi all’Università di Cambridge, aveva ricevuto un invito per un viaggio di due anni in Sud America, in qualità di naturalista sulla nave Beagle. Un viaggio che avrebbe cambiato la sua vita e la storia della biologia. Eppure quell’esplorazione rischiò di non avere luogo, proprio a causa dell’aspetto esteriore del giovane Darwin: il capitano del Beagle Robert FitzRoy, fervente seguace della fisiognomica, non aveva affatto gradito il naso del naturalista. “Dubitava che una persona con il mio naso possedesse l’energia e la determinazione sufficiente per quel viaggio”, scrive Darwin nella sua autobiografia. “Ma credo che in seguito si sia convinto che il mio naso non dicesse la verità”.
L’idea che una caratteristica fisica possa rivelare dettagli importanti sulla personalità e le qualità del suo possessore circola da almeno un paio di millenni. Il più antico documento scritto dedicato alla fisiognomica è stato attribuito ad Aristotele, ma pare che prima di lui anche Pitagora si affidasse alla lettura dei volti per determinare quali studenti avessero le qualità adatte per essere ammessi alla sua scuola. A guidare questi primi approcci alla fisiognomica era il confronto tra l’aspetto umano e quello dei diversi animali. Una persona ha i capelli soffici? Sarà un codardo, dal momento che pecore e cervi, con il pelo morbido, sono animali timidi. Ha invece i capelli ispidi? Allora avrà il coraggio di leoni e cinghiali, animali dal pelo ruvido e pungente.
Lasciando l’antica Grecia, l’idea di poter leggere l’indole e il comportamento umano da alcuni tratti animaleschi presenti nell’aspetto fisico sopravvisse per secoli, ma la vera legittimazione della fisiognomica “scientifica” arrivò nel diciottesimo secolo, grazie all’opera del pastore protestante Johann Kaspar Lavater. I suoi Frammenti fisiognomici, che sostenevano la possibilità di scoprire l’intima natura di una persona a partire dal suo aspetto esteriore, furono un vero e proprio bestseller: raccolti in quattro volumi illustrati, ebbero decine di traduzioni nelle principali lingue europee. La pretesa di Lavater di infondere scientificità nella disciplina lascia piuttosto a desiderare per gli standard moderni, eppure le sue idee ebbero una forte presa sulla società del tempo e nei decenni successivi – i veri anni d’oro della fisiognomica. È proprio l’influenza della sua opera a far titubare il capitano FitzRoy di fronte al naso di Darwin, rischiando di privare il naturalista dell’esperienza che avrebbe contribuito alla formulazione della teoria dell’evoluzione.
Trasversale ai lavori dei diversi studiosi di fisiognomica, prima e dopo Lavater, si può rintracciare un’idea comune: la possibilità di distinguere rapidamente, con un’occhiata a orecchie, sopracciglia e fronti spaziose, le persone migliori da quelle deprecabili e potenzialmente pericolose. Va da sé che nella prima categoria rientrino gli appartenenti a quella classe etnica, economica e sociale di cui fanno parte gli stessi esperti di fisiognomica e i gentiluomini che ne acquistano i libri. Circa cent’anni dopo il successo di Lavater, è Cesare Lombroso a sfruttare gli strumenti della disciplina per tracciare un identikit del tipico criminale, lasciando un’impronta tanto forte nella cultura del tempo da influenzare giudici, scienziati e artisti. Ben diversamente dagli affascinanti vampiri della moderna filmografia, la prima descrizione del Conte Dracula nell’opera di Bram Stoker sembrerebbe rifarsi alla descrizione di Lombroso del criminale nato.
Uno degli approcci più comuni alla fisiognomica è l’idea che si tratti di una delle tante bislacche teorie del passato, da condannare con un bonario senso di superiorità. Eppure la tentazione di rintracciare un’associazione tra i tratti di un volto e le caratteristiche fisiche o psicologiche di una persona è molto lontana dall’essersi spenta.
Lo scorso settembre, due ricercatori dell’Università di Stanford hanno pubblicato una ricerca che ha fatto sollevare più di qualche sopracciglio. Utilizzando più di 30 000 immagini prelevate da un sito di dating, gli scienziati hanno allenato un sistema di riconoscimento facciale a identificare l’orientamento sessuale di una persona dalle caratteristiche del suo viso. Hanno poi mostrato al sistema di intelligenza artificiale una serie di coppie di volti, chiedendo di riconoscere di volta in volta quale tra i due appartenesse a una persona gay. L’esperimento ha avuto un certo successo nei risultati: il software ha indovinato nell’84% dei casi per i volti maschili e nel 71% per quelli femminili, dimostrando di avere un “radar gay” migliore di quello millantato da alcuni esseri umani. Le critiche non sono mancate, sia da parte di chi ha contestato i metodi utilizzati e le conclusioni a cui giunge lo studio, sia da chi si è detto preoccupato dalle implicazioni etiche e sociali dei risultati. Se davvero l’orientamento sessuale fosse un’etichetta che si può leggere sul nostro volto, che cosa impedirebbe a un sistema di sorveglianza di utilizzare queste informazioni per danneggiare alcune persone?
Negli stessi giorni in cui si discuteva dell’articolo sul radar gay artificiale, è stato pubblicato sulla rivista PNAS uno studio guidato da Craig Venter, biologo e imprenditore statunitense. Secondo la ricerca, condotta dall’azienda privata Human Longevity Inc., è possibile risalire alle caratteristiche facciali di una persona a partire dal suo DNA.
Venter e colleghi hanno sequenziato il DNA di più di mille persone, di cui hanno ottenuto anche una scansione tridimensionale del volto, e hanno quindi allenato un sistema di intelligenza artificiale a rintracciare piccole differenze nelle sequenze genomiche associate a determinati tratti del volto. Un allenamento che ha dato risultati promettenti, sostengono gli autori: nel 74% dei casi il sistema è in grado di identificare in modo corretto una persona in un gruppo di dieci individui presi a caso dal campione. In altre parole, l’intelligenza artificiale della Human Longevity Inc. sa individuare il viso di una persona conoscendo il suo DNA. Lo studio, che ha sollevato molte polemiche, anche da parte di uno degli autori, sembra rinforzare l’idea di una corrispondenza tra quello che possiamo leggere in un volto – la forma delle sopracciglia, la larghezza degli zigomi, la piega della mandibola – e alcune caratteristiche immutabili di una persona, in questo caso conservate nel suo genoma.
Oggi un’ondata di studi scientifici sembra interessata a testare l’ipotesi che le informazioni che osserviamo in una faccia possano indicare qualità o tratti del carattere di una persona.
Queste due ricerche non sono le sole a rivisitare in chiave moderna e tecnologica idee legate alla fisiognomica: un’ondata di studi scientifici sembra interessata a testare l’ipotesi che le informazioni che osserviamo in una faccia possano indicare alcune qualità o tratti del carattere di una persona, che si tratti di intelligenza, propensione al crimine o preferenze sessuali. Se esiste una simile corrispondenza, siamo davvero in grado di interpretare le qualità di una persona da una breve occhiata?
È del tutto improbabile, secondo Alexander Todorov, professore di psicologia di Princeton che ha studiato per anni i meccanismi con cui ci formiamo opinioni osservando il volto degli altri. Nel suo libro Face value. The irresistible influence of first impressions, Todorov analizza la nostra tendenza a credere fortemente alle prime impressioni che ci formiamo sulle persone, generalmente senza alcun fondamento. In fondo siamo tutti fisiognomi naive, sostiene l’autore. Dalla piega di un sorriso o dall’inclinazione di un sopracciglio formuliamo giudizi istantanei, e spesso lasciamo che guidino il nostro comportamento.
Nel 2005, una ricerca di Todorov, condotta con i suoi studenti del laboratorio di Princeton, ha ricevuto una grande attenzione mediatica. Todorov stava studiando il modo in cui le persone formano un giudizio dopo una rapida occhiata al volto di sconosciuti, utilizzando le immagini di candidati alle elezioni del Senato degli Stati Uniti di alcuni anni precedenti (escludendo le fotografie dei politici più noti). Di fronte alle due immagini del vincitore e del secondo classificato, i volontari che hanno partecipato allo studio dovevano indicare quale sembrasse più competente, senza potersi basare su altre informazioni oltre alle fattezze dei volti. Con una certa sorpresa, i ricercatori hanno notato che nel 70% dei casi i giudizi su chi apparisse più competente combaciavano con i risultati delle elezioni, anche quando le immagini comparivano sullo schermo per un tempo brevissimo – soltanto 100 millisecondi, il decimo di un secondo.
Negli anni successivi altri studi hanno confermato simili risultati, anche quando i partecipanti dovevano valutare i volti di candidati di altre nazioni, che con tutta probabilità apparivano come perfetti sconosciuti. Perfino il giudizio di un gruppo di bambini è stato in grado di prevedere il risultato delle elezioni nel 70% dei casi.
È la dimostrazione del fatto che siamo piuttosto bravi a giudicare la competenza delle persone da una semplice occhiata al loro volto? È più probabile il contrario, secondo Todorov: per una certa percentuale di elettori poco informati, che in parte costituiscono il gruppo degli “indecisi”, l’apparenza e le prime impressioni tendono a contare molto nel prendere una decisione di voto. Basandosi su un giudizio superficiale – uno sguardo rassicurante, una mascella ben delineata – potrebbero essere in grado di influenzare il risultato delle elezioni, spiegando la correlazione osservata negli studi.
Se l’idea che un risultato elettorale possa essere fondato su basi così traballanti ci fa paura – e dovrebbe farcene – pensiamo alle molte occasioni in cui noi stessi siamo manovrati da impressioni altrettanto superficiali. Quando scegliamo chi assumere a un colloquio di lavoro, o a chi concedere un prestito, perfino a chi fare la carità. Quando decidiamo di cambiare vagone perché quel tipo sembra proprio sospetto, o quando esitiamo a fermarci se ci chiedono informazioni per strada. Le prime impressioni appaiono affidabili, perché si formano immediatamente e sono spesso condivise da molte persone. Ma si rivelano, nella maggioranza dei casi, del tutto inadatte a valutare il carattere delle persone.
Possiamo mostrare tutto il nostro ricercato sdegno verso la fisiognomica del passato, ma in fondo c’è un che di Lombroso in tutti noi.